Ostia fu il Portus Romae, una colonia affacciata sul mare, avamposto armato preposto al controllo della costa e della foce del Tevere, oltre che delle saline (il sale era una merce di scambio preziosa perchè utilizzata per la conservazione dei cibi).
In epoca antica il mare lambiva la città e il fiume aveva un altro corso, deviato dall' inondazione del 1557
La città si espanse costantemente fino al IV/V secolo d.C., sovrapponendo nel limitato spazio racchiuso dalle mura sillane, edifici nuovi su edifici vecchi, strade nuove su strade antiche, la città imperiale su quella repubblicana.
In epoca imperiale, Ostia divenne il maggior emporio del Mediterraneo, la sua popolazione era costituita da ricchi armatori, fabbri navali, commercianti, magazzinieri e mugnai preposti alla preparazione del pane da inviare a Roma.
I suoi edifici privati e pubblici non raggiunsero mai lo splendore di quelli di Roma, ma i suoi abitanti dediti al commercio e all'artigianato godettero di un buon tenore di vita..
FASI STORICHE
VII aC
(640-616 circa) Anco Marzio – 4° re di Roma, conquista Ficana e altri villaggi affacciati sul Tevere x avere controllo sulla via d’accesso al Mare e alle Saline poste presso la bocca del Fiume.
IV a C
Nel IV secolo a.C. fu costruito il Castrum (una cittadella militare x il controllo strategico della Foce e della Costa), in opera quadrata e di forma rettangolare (14.500m²).
III e II aC
Nel 211 aC Scipione Africano salpa alla volta della Spagna, dove ottenne la vittoria nella Battaglia di Ilipa, nella Spagna sud-occidentale, spezzando definitivamente il potere cartaginese dalla Spagna e mettendo al riparo l'Italia da ulteriori invasioni. La vittoria definitiva su Annibale ebbe luogo il 18 ottobre del 202 a.C. a Zama, nell’entroterra tunisino. Annibale si rifugiò in Oriente, dove tentò senza fortuna di suscitare nuove guerre contro Roma, mentre Scipione a Roma celebrò un grandioso Trionfo e prese il soprannome onorifico di Africano.
I aC
durante la guerra civile fra Silla e Mario, Ostia fu occupata e Saccheggiata prima da Mario nell’ 87aC (evidentemente partigiana di Silla) e poi nel 67 aC anche dai pirati CILICI.
Le nuove mura furono realizzate in opera quasi reticolata, con tufelli in tufo di Monteverde. Ne sono conservati solo scarsi tratti e non è noto se proseguissero anche sul lato lungo il fiume, dove avrebbero ostacolato tuttavia le operazioni portuali. È possibile che terminassero con due torri quadrate in prossimità del fiume, di cui si conservano i resti fuori dell'area archeologica attuale.
Età Augustea
Sotto Domiziano la zona fu completamente ristrutturata, con un uniforme rialzamento del terreno e la realizzazione della rete fognaria.
II dC - Traiano
Nuovo porto, terme porta Marina, curia , basilica, nuovi horrea, case in serie x nuovo ceto medio (impiegati e commercianti).
Adriano
Adriano rinnovò la città, ampliò il Foro e avviò la costruzione delle Terme del Foro, inaugurate sotto Antonino Pio. Fece costruire le Case Giardino.
Antonino Pio
Completa la costruzione delle Terme del Foro, culti orientali si erano già diffusi sotto Adriano ma ebbero maggior sviluppo sotto Antonino Pio che li istituzionalizza. Si diffusero soprattutto i Mitrei.
Commodo – Colonia Felix Commodiana
Dedica Particolare attenzione a Ostia, fa ristrutturare teatro, ampliare horrea per accogliere il grano.
Sotto il principato di Commodo Ostia raggiunge massima espansione e splendore. Poco + grande di Pompei, ma densamente popolata.
I Severi
La città viene restaurata ma non ampliata, anche se in questo periodo nasce la Via SEVERIANA x collegare Ostia a Terracina (via Costiera).
Il piazzale delle Corporazioni viene suddiviso in STATIONES, viene ampliata la caserma dei Vigili, viene costruito il tempio Rotondo forse terminato sotto i GORDIANI.
La Crisi del III e IV dC
In COCOMITANZA con i gravi turbamenti politici e economici, la città si spopola VELOCEMENTE, i mulini decadono. La città viene lasciata andare in rovina senza nessuno che la restauri.
Sotto i governi stabili di Diocleziano e Costantino vi fu una breve ripresa, non + città di traffici ma di rappresentanza amministrativa, sono databili a questa fase di ripresa alcune delle domus signorili situate a sinistra del decumano prima delle Terme del Foro e nella zona di Porta Marina. Forse utilizzate come luogo di villeggiatura. La zona di Porta Marina collegata alla Via Severiana fino a tutto il IV secolo.
Il grosso delle attività economiche viene trasferito nel piccolo centro abitativo di Portus sorto a ridosso del Porto di Traiano, che sopravvive fino alla caduta dell’impero d’occidente nel 474 dC (V sec).
Costantino fa costruire una basilica Cristiana, i cui resti sono stati recentemente rintracciati a sud di Porta Romana, negli stessi anni gli Aristocratici reagiscono facendo restaurare l'antico tempio di Ercole presso le acque Salvie.
Dopo la caduta dell'Impero Romano
la città fu devastata e saccheggiata, e dal IX secolo divenne una cava di materiali edilizi preziosi (vennero prelevati da Ostia i marmi per la costruzione della Basilica Vaticana, del Duomo di Pisa, di Orvieto e perfino per edifici di Genova).
Lo scavo scientifico e il restauro di Ostia antica incominciò agli inizi del 1900 e si protrasse per anni (600.000 m³ di detriti furono smaltiti). L'area scavata è pari ai 2/3 della città imperiale di II secolo (340.000 m²), e si estende da Porta Romana a Porta Marina (1800m), da Porta Laurentina al Tevere (600m).
Quello che appare nel visitare questo sito è la vita quotidiana di una cittadina molto attiva, costituita da 66 insule, 22 domus, 162 caseggiati, 19 terme, 18 mitrei, 2 mulini, due fulloniche, un teatro, templi, magazzini, edifici pubblici, foriche, centinaia di tabernae.
ITINERARIO:
Necropoli Ostiense - Porta Romana - Piazza della Vittoria - Magazzini Repubblicani - Terme dei Cisiarii - Portico del Tetto Spiovente e del Nettuno - Terme del Nettuno - Caserma dei Vigili - Insule e caseggiati - Caupona di Fortunato - Teatro - Piazzale delle Corporazioni.
NECROPOLI DELLA VIA OSTIENSE
All'ingresso del sito archeologico ci si trova sull'antica e basolata Via Ostiense, la strada che collegava Roma a Ostia, che come tutte le strade d'accesso alle città, era fiancheggiata da tombe. Le tombe, infatti, venivano costruite all'esterno del centro abitato, nel rispetto di antiche norme.
La necropoli di Ostia fu utilizzata ininterrottamente per sei secoli (II secolo a.C./IV secolo d.C.), e si estendeva oltre Acilia fino al Centro Giano.
I primi sepolcri di epoca repubblicana sono a un livello più basso della strada di epoca imperiale, e si presentano come monumenti tipo altari in tufo, oppure da recinti di tufo a pianta quadrangolare a cielo aperto. All'interno erano tombe a pozzetto in cui venivano depositate le olle/urne cinerarie. Le tombe erano spesso affiancate da un secondo recinto dove venivano cremati i corpi (ustrinum).
Tombe repubblicane: recinti di tufo quadrangolari a cielo aperto |
Tombe repubblicane: monumenti tipo altari in tufo |
cippo di Caninio sotto il livello stradale imperiale |
"C.Caninio figlio di Gaio, pretore urbano, per decisione del senato assegnò quest'area ad uso pubblico".
Via dei Sepolcri |
In epoca imperiale, aumentata la popolazione in tutto l’impero, si svilupparono nuovi sepolcri a colombaio, dove nelle nicchie ricavate sulle pareti venivano riposte le olle (contenitori di terracotta per le ceneri).
Con l’avvento delle religioni orientali, e in particolar modo l’ebraismo e il cristianesimo per i quali il corpo non poteva essere incinirito, le tombe si trasformano in camere contenenti sarcofagi di marmo o terracotta (a Isola Sacra sono presenti molte tombe di questo tipo), mentre ad Ostia se ne possono trovare alcuni esempi vicino le mura della città (cinta sillana).
Colombari Gemelli (al centro l'ustrino) visti dalla Via dei Sepolcri |
Colombari Gemelli - un grande sarcofago del III secolo d.C., di tipologia orientale. Dall'iscrizione si deduce che il sarcofago accoglieva due coniugi. |
sarcofago in stile orientale |
Ingressi affacciati su Via dei Sepolcri della Tomba degli Archetti |
camera interna trasformata in Colombaio - Tomba degli Archetti |
archetti che decorano parete esterna e danno il nome alla tomba |
tomba o stalla?? con effetto cromatico decorativo |
Mausoleo di Ermogene |
Visitata la necropoli si varca quel che resta della Porta Romana, dove la Via Ostiense diviene il Decumano Massimo.
Porta Romana (sulla destra il basamento per una statua di un imperatore) |
Porta Romana e inizio del Decumano Massimo con i resti dei rivestimenti marmorei della Porta Romana |
basamento della Porta Romana |
frammenti delle iscrizioni poste sull'attico di Porta Romana |
copia della Vittoria alata (originale sta al museo) |
ninfeo |
ninfeo |
Magazzini repubblicani |
apodyterium (con pavimento a motivi geometrici) |
frigidarium |
particolare del mosaico del frigidarium |
vasche del frigidarium (in primo piano) e i calidaria e i tepidaria (in secondo piano) delle Terme dei Cisiarii |
tepidarium delle Terme dei Cisiarii |
Faustina Maggiore (dalla calcara delle Terme dei Cisiari - Museo Ostiense) |
Fino al I secolo d.C. l’approvvigionamento idrico di Ostia era garantito dall’acqua piovana, raccolta in cisterne, e dai pozzi che captavano la falda acquifera sotterranea.
Il Castellum Aquae di Porta Romana (serbatoio di distribuzione e punto d’arrivo dell’acquedotto), è stato costruito a ridosso della cinta muraria silliana, ormai persa la sua funzione difensiva. Questa grande riserva d’acqua si appoggia alla parete interna della cinta muraria sull’angolo fra questa e la prima torre d’angolo della cinta, e sfrutta la struttura a gradoni che serviva da contrafforte alla cinta muraria.
La cisterna presenta una volta a botte rinforzata da archi. I lati nord e ovest della cisterna che non si appoggiano al muro di cinta sono rinforzati da contrafforti. Le pareti interne sono ricoperte di Opus Signinum che utilizzava cocciopisto come impermeabilizzante.
Da dove arrivava l'acqua?
Non è chiaro dove l’acquedotto captasse
l’acqua. I resti dell’acquedotto sia in trincea che ad arcate sono
scarsi e frammentari perché danneggiati dalle costruzioni abusive del secolo
scorso. Seguendo le tracce dei pochi resti rimasti sappiamo che l’acquedotto
passava presso la via del Mare nella zona dei Monti di San Paolo
(Dragoncello), per poi virare in direzione del fosso di Malafede
posto fra Acilia e la Cristoforo Colombo, dove sono stati ritrovati i
resti di un LACUS (bacino artificiale per lo
sfruttamento di una falda acquifera di IV aC).
Gli archeologi della scuola Francese di Roma che stanno scavando in quella zona
dal 2010 ipotizzano che questo Lacus captasse acqua da una falda
acquifera, utilizzata per alimentare l’acquedotto Ostiense. Questa ipotesi
non avvalla la precedente avanzata da Pavolini che proponeva
che l’acquedotto Ostiense fosse alimentato da altri 2 acquedotti di
datazione precedente che giungevano nella valle di Malafede per
alimentare una piscina limaria simile a quella di Capanelle.
Negli anni tra il 1993 e 1997, nel corso di una campagna di scavi nella
valle di Malafede furono messi in luce i resti di 2 acquedotti che
corrono appaiati in direzione parallela al fosso di Malafede. La distanza
fra i 2 acquedotti è di circa un metro, essi corrono appaiati a quote diverse fino
ad unirsi all’acquedotto Ostiense poco oltre Vitinia.
Costruiti in parte in elevato e in parte in trincea in epoche diverse e con
materiali e tecniche diverse, uno in tufelli l’altro in laterizi. In
base alla pendenza dei condotti Pavolini avonzò l’ipotesi che i 2
acquedotti provenissero dalla zona di Trigoria, posta alle pendici
dei Colli Albani.
Ma studi più recenti riconoscono nella struttura ritrovata tra Vitinia e Casal Bernocchi, non il nostro acquedotto ma un antico viadotto della via Ostiense, utile x superare terreno acquitrinoso in pendenza, e condotti di smaltimento x le acque.
mosaico policromo di un sacello sul Decumano Massimo |
Portico del Tetto Spiovente |
Via dei Vigili |
Mosaico delle Province e il livello stradale di età domizianea |
Per approfondimenti sul mosaico: https://www.ostia-antica.org/regio2/5/5-1-a.htm?fbclid=IwAR2kTnUJGSOz3CK0UFEOGSIW_sZZCfRm39GEXmG08YMapskaeQB8D7lyVhg
pozzo medievale davanti al Portico del Nettuno |
Portico del Nettuno |
Terme del Nettuno |
ingresso principale originario delle Terme del Nettuno posto su Via dei Vigili |
ingresso principale originario delle Terme del Nettuno posto su Via dei Vigili |
area dei bagni termali |
locale di servizio delle terme |
locale di servizio delle terme |
palestra delle Terme del Nettuno |
ambienti posti dietro il colonnato della palestra |
Sabina come Cerere (dalla Palestra delle Terme del Nettuno - Museo Ostiense) |
Mosaico del Nettuno |
particolare del Mosaico del Nettuno |
frigidarium con mosaico di Scilla e Nereidi |
frigidarium con mosaico di Scilla e Nereidi |
Ecce undique clamores circumsonant: supra balneum enim habito. ...
Ecco che, da tutte le parti, risuonano intorno gli schiamazzi: infatti abito sopra delle terme.
Ci sono vari generi di voci, e inducono le orecchie all’odio. Alcuni si allenano e lanciano pesi, altri faticano, oppure fanno finta di faticare. Tutte le volte che espirano, io sento i sibili e i respiri affannati. Quando invece mi imbatto in un uomo pigro e soddisfatto di un volgare massaggio, sento il rumore delle spalle percosse.
Nel frattempo sopraggiunge il giocatore di palla e comincia a contare le palle. Aggiungi ora il tipo litigioso ed il ladro colto in flagrante. Ci sono uomini ai quali, nelle terme, piace la loro voce, ci sono per giunta i fanciulli che balzano nella piscina con un forte scroscio d’acqua.
Immagina la voce stridula del depilatore: non sta mai zitto, se non mentre depila le ascelle ed induce un altro a gridare. Infine, ci sono le grida del venditore di bibite, ed il salsicciaio, il pasticcere, il bottegaio delle osterie: tutti quanti vendono la loro merce con una distinta cantilena.(da Seneca)
Via della Palestra (a sinistra la Caserma dei Vigili e a destra l'uscita settentrionale delle Terme del Nettuno) |
Via della Palestra (a sinistra le Terme del Nettuno e a destra la Caserma dei Vigili) |
cortile della Caserma dei Vigili |
portico del cortile della Caserma dei Vigili |
fontana per le abluzioni |
Caesareum |
Caesareum |
alloggi dei vigili e ambienti per le attrezzature |
ingresso principale della Caserma dei Vigili |
ambiente affrescato e pavimentato con mosaico |
latrina del lato ovest della Caserma dei Vigili |
latrina del lato est della Caserma dei Vigili |
latrina del lato est della Caserma dei Vigili |
sedili della latrina del lato est della Caserma dei Vigili |
tempietto alla dea Fortuna nella latrina del lato est della Caserma dei Vigili |
pavimento di una mescita |
pavimento di due mescite |
Sulle pareti dell'excubitorium trasteverino furono ritrovati quasi cento graffiti (nessuno dei quali sopravvissuto sino a noi), mentre fortunatamente il loro ricordo è stato affidato alle trascrizioni edite subito dopo il rinvenimento del complesso.
I graffiti tracciati tra il 215 e il 245 d.C. dagli stessi militi sulle pareti intonacate nei momenti di riposo, queste trascrizioni hanno gettato lumi sull'organizzazione dei vigili e sulla loro vita in caserma. In essi infatti ricorrono non solo saluti agli imperatori e ringraziamenti agli dei ed in particolare al genio dell'excubitorio, ma vengono indicati il nome ed il numero della coorte, i nomi ed i gradi dei vigili. Di grande rilievo è la menzione dei sebaciaria, un servizio altrimenti ignoto e perciò di difficile definizione e controversa. Dalla lettura dei graffiti sembra che tale incarico della durata di un mese comportasse qualche rischio, cui allude l'espressione "omnia tuta" (tutto a posto), mentre del faticoso impegno richiesto da tale mansione testimonia l'annotazione graffita dal vigile alla fine del turno: "lassus sum successorem date" (sono stanco, datemi il cambio). In base a tali elementi e alla derivazione del nome da sebum (sego) sono state avanzate numerose ipotesi, tra le quali la più accreditata appare quella del servizio notturno di vigilanza della città alla luce di torce di sego.
Ciascuna corte era composta di sette centurie di 100 uomini (ma in quartieri densamente abitati le centurie potevano essere aumentate fino a 10 o 12). i vigili erano reclutati fra i cittadini romani e fra i liberti, i quali dopo sei anni di servizio, poi ridotti a tre, potevano ottenere la cittadinanza romana.
Ai vigili competevano l'estinzione e la prevenzione degli incendi, ma anche il servizio di vigilanza e pubblica sicurezza specialmente durante la notte.
In ciascun reparto erano vigili specializzati per le varie mansioni del corpo:
acquarii, addetti alle pompe ed alle prese d'acqua e pertanto paragonabili ai moderni pompieri,
balneari, incaricati della vigilanza dei bagni pubblici,
horreari, sorveglianti nei magazzini,
carcerarii, carcerieri e quaestionarii, impegnati negli interrogatori dei prigionieri.
Di tutte le mansioni la più importante e gravosa fu senz'altro il servizio prestato negli incendi, sempre così frequenti in una città con case a più piani costruite con largo impiego di legno, specialmente in un quartiere come il Trastevere che dobbiamo immaginare con strade strette e spesso occupate dai banchi delle botteghe. A questo si aggiunga l'importanza del fuoco nell'antichità quale elemento primario per la cottura dei cibi, l'illuminazione, il riscaldamento.
Gli strumenti di cui disponevano i vigili per combattere il fuoco:
scale e corde (funes) , i centones, una sorta di grandi coperte con le quali, opportunemente bagnate, si cercava di soffocare o isolare le fiamme.
Si conoscono anche le pompe a sifone (siphones) per l'adduzione di acqua attraverso le tubature, quando non si ricorreva al più semplice sistema di passare di mano in mano recipienti (hamae) o secchi di giunchi (vasa spartea), responsabili tra l'altro del nomignolo dispregiativo di sparteoli dato ai vigili dal popolo.
fullonica |
fullonica |
Via delle Corporazioni |
insula lungo Via delle Corporazioni e passaggio con la parallela Via della Fontana |
Via della Fontana (botteghe dell'Insula dell'Ercole Bambino sulla destra) |
resti di pittura parietale |
corridoio d'accesso all'appartamento dell'Insula del Soffitto Dipinto |
scale d'accesso ai piani superiori dell'insula |
Caseggiato delle Fornaci (sulla sinistra) visto esternamente su Via della Fontana |
passaggio tra l'Insula del Soffitto Dipinto e il Caseggiato delle Fornaci |
Caseggiato delle Fornaci |
frammenti di macchine per la fresatura del grano e l'impastatura delle farine |
scale esterne dell'edificio per accedere ai piani superiori |
probabile stalla |
calcara medievale nel Caseggiato delle Fornaci |
fontana "a bauletto" su Via della Fontana |
fontana "a bauletto" su Via della Fontana |
schema della fontana "a bauletto" |
interno della fontana "a bauletto" |
INSULE
Insula del Soffitto Dipinto con Caupona di Fortunato
si trova lungo il decumano, all'ingresso della via della Fontana; il mosaico pavimentale mostra un cratere inquadrato da un'iscrizione che invita a bere vino se si ha sete!
Le insulae erano sorte nel IV sec. a.C., in stridente contrasto con le splendide abitazioni signorili, dall'esigenza di offrire alloggio, entro il ristretto territorio dell'Vrbs, ad una popolazione in continuo aumento. Le insulae sfruttavano infatti, come gli attuali condomini, lo spazio in altezza che, nel periodo imperiale, raggiunse e supero' il sesto piano, come la famosa insula Felicles che si elevava su Roma come un grattacielo.
Le insulae divennero presto il tipo di abitazione piu' diffuso a Roma, specialmente in epoca Imperiale. Questi palazzi a piu' piani, alti oltre venti metri, erano divenuti cosi' numerosi che Cicerone definiva Roma una citta' sospesa per aria.
La costruzione delle insulae divenne presto un'attivita' lucrosa.
Gli imprenditori edili (per altro gli unici a cui era consentito il traffico su ruote anche di giorno), per guadagnare di piu', costruivano edifici i piu' alti possibili, dai muri sottili e con materiali scadenti. Basti pensare le insulae avevano muri maestri di spessore non superiore ai 45 cm (valore minimo previsto dalla legge) ed una superficie alla base di circa 300 mq, che, per gli sviluppi in altezza dell'edificio, erano del tutto insufficienti per assicurare la necessaria stabilita' al palazzo (ne sarebbero stati necessari almeno 800 mq).
I proprietari poi, impararono presto a suddividere i gia' angusti alloggi in celle ancor piu' esigue, vere tane, per accogliervi inquilini ancor piu' poveri. Ogni insula conteneva circa 200 persone.
Tutto questo fece delle insulae abitazioni poco sicure, continuamente preda di incendi e di crolli, tanto da spingere l'imperatore Augusto a dover proibire ai privati di elevare queste costruzioni sopra i 60 piedi (circa 20 m).
Durante l'Impero pero', dove la speculazione edilizia e l'esigenze abitative crebbero con l'aumentare della popolazione, l'altezza di questi edifici supero' di gran lunga il limite dei 60 piedi imposto da Augusto; il Giovenale nel II sec. d. C. affermava:
Guarda la massa torreggiante di quella dimora, dove, un piano sopra l'altro, si arriva al decimo. (citato da MUMFORD, op. cit.)
Il fenomeno dell'urbanesimo sempre crescente, la necessita' di sfruttare lo spazio, la miseria di gran parte della popolazione cittadina determinarono, nel corso dei secoli, l'accrescersi di questo tipo di dimore che furono uno dei piu' chiari esempi di discutibile organizzazione municipale, ma anche di arricchimento personale.
***Per esempio Crasso, il potente banchiere e triumviro, con le insulae accumulo' ricchezze favolose e si vantava di non aver mai speso per costruirle: per lui era piu' vantaggioso acquistare immobili danneggiati (o addirittura crollati) e messi in vendita a basso prezzo, procedere a sommarie riparazioni (spesso, con le stesse macerie del palazzo) e poi affittarli (a prezzi maggiorati). Era diventato famoso, infatti, per la rapidita' con cui accorreva sul luogo di un crollo offrendo allo sfortunato proprietario dello stabile di comprarlo li' stesso, ovviamente, a prezzo stracciato.
Anche per le insulae si poteva effettuare una differenziazione in due categorie: c'erano palazzi di tipo piu' signorile in cui alloggiava la classe media (funzionari, mercanti, piccoli industriali) forse abbastanza decenti, ed altri di tipo piu' popolare in cui viveva il proletariato; nei primi al pianterreno c'era un solo appartamento, che aveva le caratteristiche di una domus; nei secondi, al pianterreno c'erano le tabernae, cioe' i negozi e i magazzini (dove i commercianti lavoravano e dormivano).
Le insulae romane costituirono l'esempio tipico di una societa' divisa in una classe di privilegiati e in un proletariato depresso. Diceva Petronio Arbitro in piena eta' imperiale: La piccola gente se la cava male, perche' le mascelle degli aristocratici fanno continuamente festa.
Ma gia' prima, in eta' repubblicana, Tiberio Gracco cosi' arringava il popolo: Le bestie dei campi e gli uccelli del cielo hanno le loro tane ed i loro nascondigli, ma gli uomini che combattono e muoiono per l'Italia godono soltanto dell'aria e del sole.
Ma vediamo bene nel dettaglio come era strutturata una tipica insula.
Le insulae sorgevano alte e sconnesse, appiccicate le une alle altre nei vicoli fetidi e rumorosi.
La loro struttura era generalmente in legno, ma talvolta potevano essere anche in muratura. Entrambi i tipi di costruzioni pero', erano continuamente soggette rispettivamente a incendi e a crolli, visto, da un lato, l'utilizzo indiscriminato di fiamme libere negli appartamenti, e, dall'altro, la presenza di speculatori edilizi che risparmiavano sui materiali di costruzione.
Tutto questo rendeva ancora piu' difficile di quanto gia' non lo fosse la vita in questi grandi palazzi.
L'insula comprendeva, riuniti nei cenacula (corrispondenti all'incirca ai nostri appartamenti), numerosi locali piuttosto angusti, areati da finestre che si affacciavano sulla strada. Gli appartamenti (appunto cenacula) erano per lo piu' di piccole dimensioni, con stanze strette, buie, fredde d'inverno e calde d'estate: le finestre infatti non avevano vetri (erano troppo costosi...) ma solo sportelli di legno e quindi in inverno bisognava scegliere se morire di freddo o stare al buio. Le stanze erano quasi senza mobili e non avevano funzioni specifiche come nelle domus: spesso, quindi, uno stesso locale fungeva da stanza da pranzo e da letto.
Nei palazzi piu' prestigiosi il Pianterreno costituiva un'unita' abitativa a disposizione di un singolo locatario e assumeva l'aspetto e i vantaggi di una casa signorile alla base dell'insula.
Naturalmente i civia non vivevano solo nelle insulae, anzi la maggior parte della classe dei commercianti viveva in case con due o piu' raramente tre piani, destinando il piano terra generalmente, come poi nelle insule, alla conduzione di una o piu' attivita' commerciali, e gli altri quali abitazioni di una o due famiglie. In queste abitazioni il pianterreno era occupato da magazzini e botteghe, chiamati in generale tabernae, come i "bar" (Termopolia o pupina), venditori di mercanzia ..., in cui gli inquilini non solo lavoravano, ma vivevano e dormivano, poiche' una scala di legno univa la bottega ad un soppalco che costituiva anche l'abitazione dei bottegai (tabernarii).
Dal piano superiore in poi erano ubicati gli appartamenti, di varie dimensioni spesso subaffittati.
L'insula, al centro solitamente aveva un cortile con del verde e nei palazzi più prestigiosi era posta una fontana che riforniva gli inquilini. Ma generalmente, non c'erano comodita': solo gli appartamenti signorili del pianterreno erano collegati all'acquedotto e alla rete fognaria; gli altri erano senz'acqua (nonostante Roma ne' abbondasse) e senza servizi igienici. Bisognava fare numerosi viaggi per andare a prendere l'acqua alla fontana pubblica, nella piazza; quanto ai rifiuti, "tutti" i rifiuti, venivano eliminati di notte buttandoli giu' dalle finestre, o venivano deposti in cisterne coperte in fondo alla tromba delle scale, dove, periodicamente, venivano prelevate da contadini in cerca di letame o da spazzini. Si immagini quindi quale fosse il fetore di quelle case e come facilmente vi potessero divampampare le epidemie.
Le finestre e, se c'erano, i balconi in legno, ingentiliti dai fiori posti dalla povera gente sui davanzali, guardavano nella strada da cui ne ricevevano la luce (molto poca). Tali abitazioni mancavano di tubi di scarico, di gabinetti, di cucine, di riscaldamento. Le grandi fogne di cui Roma andava superba non erano collegate alle abitazioni piu' affollate.
Generalmente al contrario di oggi le persone piu' ricche abitavano ai primi piani, mentre quelle meno abbienti nei piani piu' alti. Difatti ai piani superiori mancava un'accesso diretto all'acqua, erano piu' scomodi per via dell'altezza, e anche piu' lontani dalle uscite in caso di incendi, cosa frequente dato che le fiamme erano usate libere.
Il canone di affitto veniva pagato ogni sei mesi, il primo gennaio e il primo luglio. Poiche' gli affitti erano cari, i casi di inquilini morosi erano numerosi e di conseguenza erano numerosi anche gli sfratti. Ogni sei mesi, percio', le strade di Roma, gia' affollatissime, si riempivano di una folla di sfrattati che, trascinando con se' i propri miseri averi, si aggirava alla ricerca di un alloggio ... e non di rado, l'unica soluzione era dormire sotto i ponti.
Il mobilio tipico della casa plebea e' semplice, troviamo principalmente: le cassepanche (capsa) usate per conservare sia vestiti che oggetti, dei piccoli letti (cubicula) spesso incassati nei muri, qualche sgabello (scabellum) per sedersi, e un tavolo, e talvolta degli armadi.
Ninfeo sul Decumano Massimo |
Ninfeo sul Decumano Massimo |
Caupona di Fortunato |
"Fortunato dice: poiché hai sete, bevi il vino dal cratere"
mosaico pavimentale con iscrizione della Caupona di Fortunato |
ingresso agli Horrea di Hortensius (a destra della foto) |
Horrea di Hortensius (ingresso e retrostante cortile porticato) |
Faustina Maggiore (dagli Horrea di Hortensius - Museo Ostiense) |
cornice del Portico degli archi trionfali |
ninfeo e oratorio cristiano |
iscrizione dell'oratrio cristiano |
sarcofago di S.Ciriaco |
Decumano Massimo: Horrea di Hortensius (a sinistra), Portico del Nettuno e Teatro (a destra) |
Teatro
Parole chiave: CAVEA – ORCHESTRA – SCENA – PALCO
Costruito a partire dal 12 a.C. da Agrippa, genero di Augusto.
Il teatro è tra le strutture più antiche in laterizi presenti ad Ostia, con larghi tratti di muri in opera reticolata. Ampliato sotto Adriano e poi Commodo che aggiunse il fronte ad arcate in laterizio e ingrandì la cavea aggiungendo un terzo livello. (3500/4000 posti), venne anche abbellito ed impreziosito l'ingresso centrale con stucchi. Dopo la sua morte il teatro fu inaugurato da Settimio Severo e Caracalla (196 d.C.) come riportato da un'iscrizione che si conserva a destra dell'orchestra.
Iscrizione dell'inaugurazione del Teatro di Settimio Severo e del figlio Caracalla su un corridoio laterale d'accesso all'orchestra
Iscrizione di Settimio Severo e Caracalla
Restaurato nella prima metà del 1900 da Antonino De Vico, Vaglieri, poi dal Calza e infine ricostruito nelle forme attuali dal GISMONDI (plastico di Roma al museo della civiltà romana) sotto Mussolini per l’Esposizione universale del 1942, che non avvenne a causa della guerra.
Ancor oggi, nelle calde serate d'estate, il Teatro viene utilizzato per spettacoli di vario genere.
Descrizione
Era un tipico teatro romano, con cavea sostenuta da arcate, affacciate sul decumano massimo: gli spazi tra questo e la facciata curvilinea del teatro erano stati pavimentati in travertino e delimitati da cippi ugualmente in travertino, dotati di catene, e vi erano sorti due ninfei (fontane monumentali) semicircolari (II,VII,6-7).
resti di uno degli archi gemelli |
resti di uno degli archi gemelli |
Esternamente presenta un portico, dentro il quale ci sono una serie di botteghe e delle scale, che portano alla cavea
All'interno delle arcate si apriva un portico-deambulatorio concentrico, che dava su una serie di sedici ambienti disposti radialmente, a cui si alternavano l'ingresso centrale verso i posti situati più in basso e le quattro scale che permettevano di raggiungere i posti al secondo e al terzo livello. I sedicii ambienti radiali ospitavano taberne (botteghe) dotate di retrobottega. Le taberne erano decorate con semplici affreschi. Nel deambulatorio, a destra dell'ingresso principale, è presente un pozzo con puteale in travertino.
corridoio d'accesso all'orchestra del Teatro
Il disegno degli stucchi erano composto da ottagoni e tondi con motivi vegetali e animali, mentre aree rettangolari erano decorate con scene più complesse.
I primi tre gradini della cavea, bassi e con rivestimenti in marmo tuttora conservati, erano destinati ad ospitare i seggi per i posti riservati ai personaggi più importanti. Gli altri gradini oggi presenti sono di restauro.
gradinate della cavea.
La cavea era divisa in tre settori, ma se ne sono conservati solo due. Al disopra del terzo settore andato perso, era un portico in summa cavea (alla sommità della cavea - anche questo perso) con colonne marmoree (oggi collocate fuori posto dietro la scena).
Le parodoi, corridoi tra la cavea e l'edificio scenico, ai lati dell'orchestra conservano resti della muratura originaria di epoca augustea.
Il proscenio rialzato rispetto all'orchestra era decorato sulla fronte con una serie di nicchie alternativamente semicircolari e rettangolari, rivestite in marmo e inquadrate da colonnine che sorreggevano un coronamento sporgente. Vi sono collocate sopra delle mensole decorate con maschere teatrali, che dovevano appartenere alla decorazione dell'edificio nella fase severiana.
La scena ha un prospetto con nicchie semicircolari e rettangolari. Un portico ad arcate in opera quadrata di tufo di età augustea si trova dietro la scena, e su di esso sono stati messi elementi architettonici che decoravano il Teatro.
La scena ha un prospetto con nicchie semicircolari e rettangolari. |
Un portico ad arcate in opera quadrata di tufo di età augustea si trova dietro la scena, e su di esso sono stati messi elementi architettonici che decoravano il Teatro. |
Il frontescena (frons scaenae) era privo di articolazione in nicchie, riprendendo la pianta lineare di quello di epoca augustea. Vi si addossavano pilastri e colonne in marmo, disposti su tre ordini.
elemento architettonico decorativo del Teatro |
Ino-Leucotea (dal Teatro - Museo Ostiense) |
Cornificia (nei pressi del Teatro - Museo Ostiense) |
ninfeo a sinistra del Teatro |
ninfeo alla destra del Teatro |
Scilla (dal ninfeo del Teatro - Museo Ostiense) |
Al centro era un tempio, molto probabilmente dedicato a Vulcano, protettore e divinità principale di Ostia, come attestano le epigrafi e i testi antichi che parlano dell'importanza del culto e del suo sacerdote, il Pontifex Volkani, ma i santuari che gli erano dedicati non sono identificati con certezza, se non forse uno di loro nel tempietto del Piazzale delle Corporazioni.
Le corporazioni sponsorizzarono la costruzione del teatro e vollero essere ricordati attraverso questi mosaici.
Corporazioni:
-STUPPATORES cordai – stoppa
-PELLION conciatori di pelli (usavano sale x la concia)
-Armatori di legname disboscarono Italia e Europa
-MENSORES con il MOGGIO x la misurazione del grano (tipo misurini)
Pane e Circensi, l’annona distribuiva grano, olio, carne secca
-Armatori TURRIS porto Torres (Sassari) in Sardegna rotte verso la Gallia
-Armatori KARALITANI da Cagliari rotte verso Nord Africa, Spagna e Portogallo
-Elefanti – ambasciatori del nord Africa: Sabrata, Lepis Magna, Cartagine
Piazzale delle Corporazioni |
Piazzale delle Corporazioni |
antico ingresso al Piazzale delle Corporazioni |
stationes del porticato del Piazzale delle Corporazioni |
Piazzale delle Corporazioni |
stationes del porticato del Piazzale delle Corporazioni |
statio 7: moggio e rutellum (per la misurazione del grano) |
statio 11: amorino alato su delfino, due delfini e due busti femminili |
statio 17: moggio e spighe di grano - "NAVICULARI GUMMITANI" (dell'Africa) |
statio 34: moggio e due delfini, "NAVICULARI CURBITANI" (da Kurba, Tunisia) |
statio 48: anfora tra due palme da dattero e tre pesci (commercianti dell'Algeria) |
statio 52: scena di venatio con cacciatore e toro |
statio 53: Nereide, cavallo marino e delfino |
statio 14: commercianti di Sabrata (Libia) |
statio 28: l'elefante, cervo e cinghiale |
stazio 27: il Nilo e un ponte di barche |
il triangolo di marmo sul muro porta la scritta "NAVICULARI AFRICANI" |
statio 21:" NAVICUL ET NEGOTIANTES KARALITANI" (da Cagliari) |
statio 22: delfini e faro |
statio 46: due navi, un delfino e il faro |
statio 25: trasferimento di merci da una nave all'altra |
statio 23: faro, due delfini, due navi e un polpo |
statio 18: "NAVICUL KARTHAG" (da Cartagine) |
Tempio di Cerere o Vulcano (visto posteriormente) |
Tempio di Cerere o Vulcano |
colonna dorica del Tempio di Cerere |
Ara dei Gemelli: Rinvenimento di Romolo e Remo |
Ara dei Gemelli: Carro di Marte |
Ara dei Gemelli: Marte e Venere |
I primi scavi dell'edificio furono condotti tra il 1880 e il 1891 da Rodolfo Lanciani.
Il teatro di Ostia al termine degli scavi di Dante Vaglieri, 1913 (Archivio Fotografico Pa-Oant B2090)
Nel 1924 Guido Calza divenne direttore degli scavi di Ostia e propose un ambizioso progetto di ricostruzione delle gradinate al Ministero della Pubblica Istruzione, per rendere il teatro nuovamente utilizzabile. Il progetto fu affidato al famoso architetto Raffaele de Vico con la consulenza di Italo Gismondi, autore tra l’altro del grande plastico dell'antica Roma oggi conservato al Museo della Civiltà Romana.
Per vedere immagini e approfondire argomento restauro
https://www.ostia-antica.org/fulltext/shepherd/shepherd_acta.pdf
In previsione dell'Esposizione Universale del 1942 Ostia antica fu interessata da una massiccia campagna di scavi, che mirava al disseppellimento della maggior parte della città a fini propagandistici. In questo contesto fu deciso di ricostruire una parte della facciata del monumento, rialzando quattro delle ventitré arcate del primo ordine esterno (1938-39). La ricostruzione si basava sui frammenti di pilastri e di arcate trovati da Dante Vaglieri all'inizio del secolo, rifatti utilizzando mattoni moderni molto simili a quelli antichi. Ulteriori interventi di restauro si succedettero negli anni successivi: nel dopoguerra Italo Gismondi scoprì che in età tardo antica il teatro poteva essere allagato, trasformando l’orchestra in una “kolymbetra”, un basso bacino per giochi acquatici (i tetimimi, rappresentazioni mitologiche che dovevano ricordare per certi versi il nuoto sincronizzato). Anche oggi il teatro viene costantemente monitorato e mantenuto in perfetta efficienza per lo svolgimento della stagione teatrale estiva.
Teatro: la ricostruzione della facciata esterna,1939 (foto: Archivio Fotografico PA-OANT B2885)
La ricostruzione degli anni Venti in genere viene criticata dagli esperti di restauro archeologico, soprattutto per la voluta indistinguibilità tra le parti antiche e quelle moderne (cd. “restauro mimetico”). Certamente interventi come questo si giustificano con la diversa sensibilità verso i resti archeologici che si aveva in quel periodo e con la volontà politica di valorizzare un’importante area archeologica alle porte di Roma. Per commemorare la ricostruzione fu realizzata una grande iscrizione di marmo, tuttora visibile nel corridoio d'accesso sulla destra del monumento (guardando dal Piazzale delle Corporazioni). Il tempo ha quasi cancellato le lettere, che componevano una celebrazione propagandistica del regime, pagina di storia ostiense quasi dimenticata.
Il teatro latino
è una delle più grandi espressioni della cultura della Roma antica.
Edificio scenico
I Romani cominciarono a costruire edifici teatrali in muratura soltanto dopo il 30 a.C. Nel periodo precedente i luoghi degli eventi teatrali erano costruzioni di legno provvisorie spesso erette all'interno del circo o di fronte ai templi di Apollo e della Magna Mater.
Il teatro romano dell'età imperiale, invece, è un edificio costruito in piano e non su un declivio naturale come quello greco, e ha una forma chiusa, che rendeva possibile la copertura con un velarium, ed è l'esempio di teatro che più si avvicina all'edificio teatrale moderno.
La cavea, la platea semicircolare costituita da gradinate, fronteggiava il palcoscenico (pulpitum), che per la prima volta assume una profondità cospicua, rendendo possibile l'utilizzo di un sipario e una netta separazione dalla platea.
Scenografia
Vitruvio testimonia come all'inizio le scenografie del teatro romano non fossero molto elaborate, e che gli attori, proprio come nell'antica Grecia, affidassero alla loro arte il compito dell'evocazione dei luoghi e delle circostanze. In seguito negli anfiteatri si cominciò a costruire vere e proprie macchine teatrali, adibite agli effetti speciali.
Elementi scenografici sempre presenti erano:
il proscenium, la porzione di palcoscenico in legno più vicina al pubblico, raffigurante in genere un via o una piazza, corrispondente all'attuale proscenio.
la scenae frons, un fondale dipinto.
i periaktoi, di derivazione greca, prismi triangolari rotabili con i lati dipinti con una scena tragica su un lato, comica su un altro e satiresca sul terzo.
l'auleum, un telo simile al nostro attuale sipario (sconosciuto ai greci) che permetteva veloci cambi di scena o veniva calato alla fine dello spettacolo. In alcuni teatri invece di cadere dall'alto veniva sollevato.
Pubblico
Le tre file di gradini marmorei vicino all'orchestra erano posti d'onore per personaggi importanti. Gerarchia nell’assegnazione dei posti, le donne della plebe sedevano in alto in ultima fila insieme con gli schiavi.
Gli spettatori a cui il teatro romano si rivolgeva era il complesso della plebe dell'Urbe. Alle rappresentazioni e ai giochi potevano accedere tutti. La rappresentazione si svolgeva in una cornice di esibizioni varie, dai giocolieri alle danzatrici, con cui il teatro doveva competere per vivacità e colpi di scena.
Vicino al palco sedevano i senatori, nobili e magistrati e le persone di rango superiore.
Divisione in settori, ogni settore aveva la sua entrata separata così che vari gruppi sociali non si potessero incontrare. Le donne del popolo erano relegate nella parte + alta e quindi lontane dalla scena.
Il teatro subì altri ristrutturazioni nel tempo, documentate da vari resti; nella prima metà del nostro secolo venne riportato alla luce e da allora utilizzato per spettacoli classici nelle sere di estate.
Rappresentazioni
Fortemente caratterizzato nella direzione dell'intrattenimento, era spesso incluso nei giochi, accanto ai combattimenti dei gladiatori, ma soprattutto, sin dalle origini è collegato alle feste religiose.
Il teatro era rivolto alla popolazione intera, e l'ingresso era gratuito.
L'istituzione di pubblici spettacoli organizzati dallo Stato romano ebbe grande importanza. Il carattere statale e ufficiale dell'organizzazione fece sì che i committenti delle opere teatrali fossero le autorità. A differenza del teatro greco, la connotazione civile o rituale lascia il posto al carattere di intrattenimento.
Per il pubblico romano la partecipazione è motivata dal divertimento più che dalla tensione religiosa o politica. Accanto agli eventi teatrali convivevano le corse dei carri, i combattimenti dei gladiatori, venationes e naumachie, celebrazioni, spettacoli di acrobazia e danze.
Fin dall'epoca di Romolo si celebravano giochi e festeggiamenti in onore del dio Conso (Consualia). Ma fu Tarquinio Prisco a lanciare i festeggiamenti dei ludi romani facendoli diventare la festa più importante della città, che cadeva attorno alla metà di settembre.
Nel 364 a.C., durante i ludi romani fu introdotta per la prima volta nel programma della festa una forma di teatro i LUDI SCENICI, per i quali fecero venire appositamente dei ludiones (cioè artisti e danzatori), dall'Etruria.
I Ludi scenici consistevano in scenette farsesche, contrasti, parodie, canti e danze, chiamati FESCENNINI fescennina licentia. Durante i fescennini si svolgevano canti travestimenti e danze buffonesche caratterizzata dall’improvvisazione degli attori su un canovaccio. L’uso della maschera invece proveniva dalla Campania e più precisamente dalla città di Atela, da cui deriva il nome Atellana.
Lo spirito farsesco dei FESCENNINI Etrusci e dell’ATELLANA Campana, generò la prima forma drammaturgica latina di cui abbiamo notizia: la satura. "Satura quidem tota nostra est" diceva con orgoglio Quintiliano nel I secolo: rispetto ad altri generi importati, la satira (letteralmente 'miscuglio') è totalmente romana.
Queste manifestazioni, per lo più considerate come bassi divertimenti popolari, subirono la severità dei legislatori dell'epoca. Il carattere licenzioso e gli attacchi a personalità di spicco dell'epoca incorsero nello sfavore delle autorità, che misero dei limiti a queste rappresentazioni, con leggi austere a difesa dei costumi romani e persino la proibizione di posti a sedere nei teatri.
Non di rado i testi erano censurati, impedendo riferimenti diretti alla vita civile o politica, mentre era esaltato il gusto della gestualità e della mimica.
A partire dal VI aC nel mondo greco-italico si assiste alla fioritura di spettacoli teatrali nei quali prevale l'aspetto buffonesco.
A Roma, la provenienza di molti testi è di origine greca, in forma di traduzioni letterali o rielaborazioni (vertere), mescolate ad alcuni elementi di tradizione etrusca.
Era anche d'uso la contaminatio, consistente nell'inserire in un testo principale scene di altre opere, adattandole al contesto.
Con Andronico e Gneo Nevio, il teatro latino comincia ad acquisire una fisionomia propria. Nel 240 a.C. Livio Andronico, liberto di stirpe greca, fa rappresentare la prima vera opera teatrale della latinità. Mentre Andronico rimane legato ai modelli della commedia greca, Nevio propone drammi di soggetto romano, più originali nel linguaggio e ricchi di invenzioni nello stile, arrivando a inserire in una sua commedia una satira rivolta a personaggi contemporanei come Publio Cornelio Scipione, che gli valse il carcere: la satira personale fu in seguito espressamente proibita dalla legge.
Il prologo fu un'invenzione di Euripide. Un attore esponeva l'antefatto, la storia e la sua conclusione. In Plauto il prologo ha per lo più la funzione di esporre una interpretazione degli eventi, mentre in Terenzio diventa il modo di esporre, spesso polemicamente, le ragioni dell'autore.