Ostia Antica - 1° Percorso - by Valeria Scuderi


La visita di Ostia Antica è stata suddivisa da Valeria Scuderi in 4 precorsi:

Bibliografia:
Ostia - Carlo Pavolini - Laterza 2006 (1° edizione 1983).
Ostia - Calza e Becatti - Istituto poligrafico e Zecca di Stato 2005
Ostia - Guida Turistica di Roma capitale 2006

Fonti di Riferimento on line:


INTRODUZIONE
Ostia fu il Portus Romae, una colonia affacciata sul mare, avamposto armato preposto al controllo della costa e della foce del Tevere, oltre che delle saline (il sale era una merce di scambio preziosa perchè utilizzata per la conservazione dei cibi).

Porto d'approdo per navi da guerra e commerciali. Il suo nome deriva dalla parola latina ostium, ovvero "imboccatura, foce".

In epoca antica il mare lambiva la città e il fiume aveva un altro corso, deviato dall' inondazione del 1557

La città si espanse costantemente fino al IV/V secolo d.C., sovrapponendo nel limitato spazio racchiuso dalle mura sillane, edifici nuovi su edifici vecchi, strade nuove su strade antiche, la città imperiale su quella repubblicana.

In epoca imperiale, Ostia divenne il maggior emporio del Mediterraneo, la sua popolazione era costituita da ricchi armatori, fabbri navali, commercianti, magazzinieri e mugnai preposti alla preparazione del pane da inviare a Roma. 

Molti erano i liberti che lavoravano a Ostia e che vivevano in questa ricca città commerciale una vita più che dignitosa. Vi erano ovviamente anche gli schiavi, ma a differenza di Roma dove vivevano molti disoccupati a Ostia la parola disoccupazione era sconosciuta.

I suoi edifici privati e pubblici non raggiunsero mai lo splendore di quelli di Roma, ma i suoi abitanti dediti al commercio e all'artigianato godettero di un buon tenore di vita..

FASI STORICHE

VII aC
(640-616 circa) Anco Marzio – 4° re di Roma, conquista Ficana e altri villaggi affacciati sul Tevere x avere controllo sulla via d’accesso al Mare e alle Saline poste presso la bocca del Fiume.

IV a C
Nel IV secolo a.C. fu costruito il  Castrum (una cittadella militare x il controllo strategico della Foce e della Costa), in opera quadrata e di forma rettangolare (14.500m²). 
Le mura del castrum di IV secolo a.C., di spessore di poco superiore a 1,50 m, sono costruite in opera quadrata di blocchi di tufo di Fidene, sistemati irregolarmente di testa e di taglio. 
Un tratto delle mura sul lato orientale è stato riutilizzato come muro di spina di un caseggiato di taberne  e si è dunque conservato. Altri tratti del muro si conservano all'interno del Piccolo Mercato, degli Horrea Epagathiana, e dell'officina degli Stuppatores .

III e II aC  
Nel 211 aC Scipione Africano salpa alla volta della Spagna, dove 
ottenne la vittoria nella Battaglia di Ilipa, nella Spagna sud-occidentale, spezzando definitivamente il potere cartaginese dalla Spagna e mettendo al riparo l'Italia da ulteriori invasioni. La vittoria definitiva su Annibale ebbe luogo il 18 ottobre del 202 a.C. a Zama, nell’entroterra tunisino. Annibale si rifugiò in Oriente, dove tentò senza fortuna di suscitare nuove guerre contro Roma, mentre Scipione a Roma celebrò un grandioso Trionfo e prese il soprannome onorifico di Africano.

Terminate le Guerre Puniche, Ostia perde carattere militare x trasformarsi in un Porto x Approvvigionamento del grano,​ ​
e il nucleo abitativo inizia ad espandersi al di fuori dei confini del Castrum. 

I aC  
durante la guerra civile fra Silla e Mario, Ostia fu occupata e Saccheggiata prima da Mario nell’ 87aC (evidentemente partigiana di Silla) e poi nel 67 aC anche dai pirati CILICI

Cicerone fa costruire la cinta muraria difensiva con torri d’avvistamento lungo tutto il percorso. Le mura furono concluse da Publio Clodio Pulcro, tribuno della plebe nel 58 a.C.

Le nuove mura furono realizzate in opera quasi reticolata, con tufelli in tufo di Monteverde. Ne sono conservati solo scarsi tratti e non è noto se proseguissero anche sul lato lungo il fiume, dove avrebbero ostacolato tuttavia le operazioni portuali. È possibile che terminassero con due torri quadrate in prossimità del fiume, di cui si conservano i resti fuori dell'area archeologica attuale.

Età Augustea 
Nel 12 a.C. fu avviata la costruzione del Teatro sotto la supervisione di Agrippa (amico e genero di Augusto) in opera reticolata e opera quadrata di tufo. Alle spalle della Scena fu costruito un piazzale facente funzione di Foro "il Piazzale delle Corporazioni", sfruttando lo spazio libero fra il Decumano e le sponde del Tevere, che in età repubblicana era stato delineato come publicus, cioè ad uso pubblico, dal pretore urbano Caninio.

Tiberio/Caligola
Tiberio (14-37 d.C.), abbatte le vecchie mura del Castrum per espandere la città verso Ovest. Avviando la costruzione del Foro e dedica alla memoria del padre adottivo il tempio di Roma e Augusto che si trova sul lato opposto rispetto al Campidoglio di epoca Adrianea​.
Sempre Tiberio avvia la costruzione dell'acquedotto cittadino che verrà terminato sotto Caligola (37-41 d.C.).

Claudio
Nel 54 d.C. Claudio inaugura il suo Porto, fa ingrandire i Grandi Horrea, costruisce un primo impianto termale  sotto via dei Vigili, le terme delle Province". 

Vespasiano
Potenzia l'acquedotto, costruendo un nuovo ramo per l'approvvigionamento dell'acqua potabile. 
L'acquedotto, terminava in corrispondenza del serbatoio adiacente alle mura a sud di Porta Romana. Il serbatoio (di epoca Domizianea perchè posta 3 metri al disopra del precedente calpestio repubblicano), distribuiva l'acqua in città attraverso una rete capillare di serbatoi e tubi di piombo (fistulae), con iscrizioni con il nome della colonia o dei proprietari della concessione.

Domiziano
Sotto Domiziano la zona fu completamente ristrutturata, con un uniforme rialzamento del terreno e la realizzazione della rete fognaria.
Domiziano fa rialzare livello del pavimento di circa ​3m. data natura sabbiosa del suolo e presenza falde acquifere ciò permette di potenziare fondamenta delle abitazioni che possono crescere in altezza (insule).
Fa costruire le Terme di Nettuno, sopra a quelle delle Province 
 – poi ampliate e ristrutturate da Adriano.

II dC - Traiano
Nuovo porto, terme porta Marina, curia , basilica, nuovi horrea, case in serie x nuovo ceto medio (impiegati e commercianti).

Adriano
Adriano rinnovò la città, ampliò il Foro e avviò la costruzione delle Terme del Foro, inaugurate sotto Antonino Pio.​ Fece costruire le Case Giardino.​ 
Il Capitolium fu eretto nel 120, sotto il regno dell'imperatore Adriano, durante i lavori di ampliamento di Ostia e di sistemazione del foro, come dimostrano i bolli laterizi presenti sui mattoni utilizzati per la costruzione del tempio.

Antonino Pio
Completa la costruzione delle Terme del Foro, culti orientali si erano già diffusi sotto Adriano ma ebbero maggior sviluppo sotto Antonino Pio che li istituzionalizza. Si diffusero soprattutto i Mitrei.

Commodo – Colonia Felix Commodiana
Dedica Particolare attenzione a Ostia, fa ristrutturare teatro, ampliare horrea per accogliere il grano.
Sotto il principato di Commodo Ostia raggiunge massima espansione e splendore. Poco + grande di Pompei, ma densamente popolata.

I Severi
La città viene restaurata ma non ampliata, anche se in questo periodo nasce la Via SEVERIANA x collegare Ostia a Terracina (via Costiera).

Il piazzale delle Corporazioni viene suddiviso in STATIONES, viene ampliata la caserma dei Vigili, viene costruito il tempio Rotondo forse terminato sotto i GORDIANI.

La Crisi del III e IV dC
In COCOMITANZA con i gravi turbamenti politici e economici, la città si spopola VELOCEMENTE, i mulini decadono. La città viene lasciata andare in rovina senza nessuno che la restauri.

Sotto i governi stabili di Diocleziano e Costantino vi fu una breve ripresa, non + città di traffici ma di rappresentanza amministrativa, sono databili a questa fase di ripresa alcune delle domus signorili situate a sinistra del decumano prima delle Terme del Foro e nella zona di Porta Marina. Forse utilizzate come luogo di villeggiatura. La zona di Porta Marina collegata alla Via Severiana fino a tutto il IV secolo.

Il grosso delle attività economiche viene trasferito nel piccolo centro abitativo di Portus  sorto a ridosso del Porto di Traiano, che sopravvive fino alla caduta dell’impero d’occidente nel 474 dC (V sec).

Costantino​ ​fa costruire una basilica Cristiana, i cui resti sono stati recentemente rintracciati a sud di Porta Romana, negli stessi anni gli Aristocratici reagiscono facendo restaurare l'antico tempio di Ercole presso le acque Salvie.

Dopo la caduta dell'Impero Romano
la città fu devastata e saccheggiata, e dal IX secolo divenne una cava di materiali edilizi preziosi (vennero prelevati da Ostia i marmi per la costruzione della Basilica Vaticana, del Duomo di Pisa, di Orvieto e perfino per edifici di Genova).

Lo scavo scientifico e il restauro di Ostia antica incominciò agli inizi del ​1900 e si protrasse per anni (600.000 m³ di detriti furono smaltiti).​ ​L'area scavata è pari ai 2/3 della città imperiale di II secolo (340.000 m²), e si estende da Porta Romana a Porta Marina (1800m), da Porta Laurentina al Tevere (600m).

Nel 1927 venne inaugurato il Teatro, dopo il restauro e la parziale ricostruzione di Antonino De Vico, seguiranno poi negli studi e nelle ricostruzioni grafiche da Calza e Gismondi in occasione dei grandi scavi e delle ricostruzioni avvenute per l’E42.

Quello che appare nel visitare questo sito è la vita quotidiana di una cittadina molto attiva, costituita da 66 insule, 22 domus, 162 caseggiati, 19 terme, 18 mitrei, 2 mulini, due fulloniche, un teatro, templi, magazzini, edifici pubblici, foriche, centinaia di tabernae.

ITINERARIO:
Necropoli Ostiense - Porta Romana - Piazza della Vittoria - Magazzini Repubblicani - Terme dei Cisiarii - Portico del Tetto Spiovente e del Nettuno - Terme del Nettuno - Caserma dei Vigili - Insule e caseggiati - Caupona di Fortunato - Teatro - Piazzale delle Corporazioni.

NECROPOLI DELLA VIA OSTIENSE

All'ingresso del sito archeologico ci si trova sull'antica e basolata Via Ostiense, la strada che collegava Roma a Ostia, che come tutte le strade d'accesso alle città, era fiancheggiata da tombe. 
Le tombe, infatti, venivano costruite all'esterno del centro abitato, nel rispetto di antiche norme. 

I sepolcri correvano lungo la Via Ostiense, ma solo sul suo lato sinistro, perché il pretore Caninio in epoca repubblicana aveva destinato l'area tra la strada e il Tevere ad uso pubblico, per lasciare libera la fascia di terreno vicino al Tevere, considerata suolo pubblico adibito allo svolgimento delle attività connesse al porto fluviale.

Nel tempo la necropoli continuò ad estendersi verso sud. Nell'età imperiale con l'aumentare delle tombe, si rese necessaria la pavimentazione di un'altra via parallela alla via Ostiense, che fu denominata "via dei Sepolcri".

La necropoli di Ostia fu utilizzata ininterrottamente per sei secoli (II secolo a.C./IV secolo d.C.), e si estendeva oltre Acilia fino al Centro Giano.

I primi sepolcri di epoca repubblicana sono a un livello più basso della strada di epoca imperiale, e si presentano come monumenti tipo altari in tufo, oppure da recinti di tufo a pianta quadrangolare a cielo aperto. All'interno erano tombe a pozzetto in cui venivano depositate le olle/urne cinerarie. Le tombe erano spesso affiancate da un secondo recinto dove venivano cremati i corpi (ustrinum).

Tombe repubblicane: recinti di tufo quadrangolari a cielo aperto
Tombe repubblicane: monumenti tipo altari in tufo
cippo di Caninio sotto il livello stradale imperiale
Lungo la Via Ostiense e la sua prosecuzione dentro le mura, il Decumano Massimo, si trova una serie di cippi in travertino, tutti con lo stesso testo, che ricordano:
"C.Caninio figlio di Gaio, pretore urbano, per decisione del senato assegnò quest'area ad uso pubblico".
Uno di questi cippi è ancora posto vicino al Portico del Tetto Spiovente, entro le mura, sotto il livello stradale di età imperiale.

La Necropoli Ostiense si estende anche sulla Via dei Sepolcri, parallela alla Via Ostiense, con tombe a colombaio e tombe ad arcosolio, iscrizioni funebri e sarcofaghi.

Via dei Sepolcri

In epoca imperiale, aumentata la popolazione in tutto l’impero, si svilupparono nuovi sepolcri a colombaio, dove nelle nicchie ricavate sulle pareti venivano riposte le olle (contenitori di terracotta per le ceneri). 

Con l’avvento delle religioni orientali, e in particolar modo l’ebraismo e il cristianesimo per i quali il corpo non poteva essere incinirito, le tombe si trasformano in camere contenenti sarcofagi di marmo o terracotta (a Isola Sacra sono presenti molte tombe di questo tipo), mentre ad Ostia se ne possono trovare alcuni esempi vicino le mura della città (cinta sillana). 

Tombe a Inumazione

Tra le tombe della Necropoli della Via Ostiense meglio conservate:

- i Colombari Gemelli, due tombe distinte ma speculari e costruite nello stesso momento. Le camere sepolcrali hanno nicchie semicircolari per accogliere in olle i resti dei defunti bruciati nell'ustrino (recinto per la cremazione dei corpi), comune alle due tombe.

Colombari Gemelli (al centro l'ustrino) visti dalla Via dei Sepolcri
Colombari Gemelli


- un grande sarcofago del III secolo d.C., di tipologia orientale. Dall'iscrizione si deduce che il  sarcofago accoglieva due coniugi.
sarcofago in stile orientale

- la Tomba degli Archettinota per la decorazione della muratura esterna posteriore. La tomba degli archetti si presenta come un colombario, ma sul fianco destro rispetto all’entrata è presente una tomba a pozzetto che testimonia l’evoluzione attraverso i secoli del sepolcro, che prima di assumere l'aspetto attuale si presentava come un recinto a cielo aperto costruito in opera reticolata. L'ingresso attuale affaccia su Via dei Sepolcri. 

La decorazione della muratore posteriore presenta lesene in laterizio terminanti con archetti che la dividono in cinque campateLe lunette sono decorate ad intarsio con mattoni rossi e gialli e pietra pomice. 

L'architrave posta presso l'ingresso porta la scritta 
"h(oc) m(onumentum) h(eredes) n(on) s(equentur)
ovvero "questo sepolcro non potrà essere venduto o destinato ad altri usi dagli eredi".

Ingressi affacciati su Via dei Sepolcri della Tomba degli Archetti
camera interna trasformata in Colombaio  - Tomba degli Archetti
archetti che decorano parete esterna e danno il nome alla tomba
  
-Tomba o Stalla??? 
Un ampio ambiente fiancheggiato da due vestiboli + piccoli realizzato in laterizio e reticolato, dove viene alternato il basalto al tufo creando un effetto cromatico decorativo. L'architettura del luogo fa supporre che prima di essere trasformata in tomba questa fosse una stalla oppure una taberna ad uso dei parenti che si recavano in visita alla necropoli.

tomba o stalla?? con effetto cromatico decorativo

- il Mausoleo di Ermogene (tra la Via Ostiense e la Via di Ermogene),  impiantata su una costruzione precedente. Si trattava di un'appartenente all'ordine equestre (cavaliere scriba e membro del consiglio degli equites) di età adrianea, che per l'attività svolta all'interno della città, meritò un funerale e una tomba costruita a spese pubbliche e gli fu donata una statua equestre nel foro.

Mausoleo di Ermogene

Visitata la necropoli si varca quel che resta della Porta Romana, dove la Via Ostiense diviene il Decumano Massimo.


Porta Romana (sulla destra il basamento per una statua di un imperatore)
Il basamento della porta si trova al livello più basso e più antico del piano stradale (I secolo a.C.).

Porta Romana e inizio del Decumano Massimo con i resti dei rivestimenti marmorei della Porta Romana
basamento della Porta Romana
La porta ad un solo fornice era collegata con due torri quadrate alla struttura muraria sillana (82/79 a.C.), fatta di conci di tufo in opera quadrata. La porta, originariamente in tufo, fu rivestita in marmo nel I secolo d.C.

Due frammenti d'iscrizioni con lo stesso testo, facenti parte dell'attico della porta, e poste oggi a ridosso delle mura, attestano la costruzione e il restauro della cinta muraria.

frammenti delle iscrizioni poste sull'attico di Porta Romana
Decorava forse il frontone della porta la Vittoria alata posta nella Piazza della Vittoria, appena oltre la porta, vicino ad una grande vasca che costituiva un ninfeo in opera vittata.

copia della Vittoria alata (originale sta al museo)
ninfeo
Questa grande piazza permetteva lo stazionamento dei cisiarii (carrettieri) addetti al collegamento tra Roma e Ostia delle merci.

ninfeo
Sul lato destro della piazza invece vi sono i grandi magazzini repubblicani, dotati di infrastrutture legate al trasporto fluviale delle merci verso Roma.
Il complesso presenta un grande portico con pilastri in tufo che circondava botteghe.

Magazzini repubblicani
Il settore centrale e settentrionale fu trasformato in epoca adrianea (II secolo d.C.) in terme che s'affacciavano verso il fiume, le cosiddette Terme dei Cisiarii, che probabilmente apparteneva al Collegio dei carrettieri.

Dopo aver varcato l'ingresso delle terme (oggi sotto una strada moderna), si entrava nel:
apodyteriumlo spogliatoio con ancora i resti di un bancone.

apodyterium (con pavimento a motivi geometrici)
- poi nel frigidariumcon mosaico del II secolo d.C. che raffigura scene della vita dei carrettieri fuori di una doppia cinta muraria con torri sorrette da telamoni.
*La vasca di quest'ambiente fu trasformata in epoca tarda in calcara.

frigidarium
particolare del mosaico del frigidarium

- e per finire nei tepidaria e poi nei calidaria.

vasche del frigidarium (in primo piano) e i calidaria e i tepidaria (in secondo piano) delle Terme dei Cisiarii
tepidarium delle Terme dei Cisiarii
Faustina Maggiore (dalla calcara delle Terme dei Cisiari - Museo Ostiense)
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CASTELLUM AQUAE E ACQUEDOTTO OSTIENSE


Acquedotto Ostiense
Fino al I secolo d.C. l’approvvigionamento idrico di Ostia era garantito dall’acqua piovana, raccolta in cisterne, e dai pozzi che captavano la falda acquifera sotterranea.
 
Il Castellum Aquae di Porta Romana (serbatoio di distribuzione e punto d’arrivo dell’acquedotto), è stato costruito a ridosso della cinta muraria silliana, ormai persa la sua funzione difensiva. Questa grande riserva d’acqua si appoggia alla parete interna della cinta muraria sull’angolo fra questa e la prima torre d’angolo della cinta, e sfrutta la struttura a gradoni che serviva da contrafforte alla cinta muraria.

La cisterna presenta una volta a botte rinforzata da archi. I lati nord e ovest della cisterna che non si appoggiano al muro di cinta sono rinforzati da contrafforti. Le pareti interne sono ricoperte di Opus Signinum che utilizzava cocciopisto come impermeabilizzante.


Questa è la seconda cisterna di cui Ostia fu dotata, la prima di epoca Tiberiana si trova sotto la palestra delle Terme del Nettuno. Questa invece sembra essere coeva al rialzamento artificiale del piano di calpestio di circa 3 metri, voluto durante il regno di Domiziano per permettere di edificare la città anche in altezza, poggiando le nuove strutture sulle vecchie.

Da dove arrivava l'acqua?

Non è chiaro dove l’acquedotto captasse l’acqua. I resti dell’acquedotto sia in trincea che ad arcate sono scarsi e frammentari perché danneggiati dalle costruzioni abusive del secolo scorso. Seguendo le tracce dei pochi resti rimasti sappiamo che l’acquedotto passava presso la via del Mare nella zona dei Monti di San Paolo (Dragoncello), per poi virare in direzione del fosso di Malafede posto fra Acilia e la Cristoforo Colombo, dove sono stati ritrovati i resti di un LACUS (bacino artificiale per lo sfruttamento di una falda acquifera di IV aC).

Gli archeologi della scuola Francese di Roma che stanno scavando in quella zona dal 2010 ipotizzano che questo Lacus captasse acqua da una falda acquifera, utilizzata per alimentare l’acquedotto Ostiense. Questa ipotesi non avvalla la precedente avanzata da Pavolini che proponeva che l’acquedotto Ostiense fosse alimentato da altri 2 acquedotti di datazione precedente che giungevano nella valle di Malafede per alimentare una piscina limaria simile a quella di Capanelle.

Negli anni tra il 1993 e 1997, nel corso di una campagna di scavi nella valle di Malafede furono messi in luce i resti di 2 acquedotti che corrono appaiati in direzione parallela al fosso di Malafede. La distanza fra i 2 acquedotti è di circa un metro, essi corrono appaiati a quote diverse fino ad unirsi all’acquedotto Ostiense poco oltre Vitinia.

Costruiti in parte in elevato e in parte in trincea in epoche diverse e con materiali e tecniche diverse, uno in tufelli l’altro in laterizi. In base alla pendenza dei condotti Pavolini avonzò l’ipotesi che i 2 acquedotti provenissero dalla zona di Trigoria, posta alle pendici dei Colli Albani.

Ma studi più recenti riconoscono nella struttura ritrovata tra Vitinia e Casal Bernocchi, non il nostro acquedotto ma un antico viadotto della via Ostiense, utile  x superare terreno acquitrinoso in pendenza, e condotti di smaltimento x le acque.

​SISTEMA IDRICO PRIMA DELLA COSTRUZIONE DELL'ACQUEDOTTO 

La FALDA FREATICA e il CUNEO SALINO
circa 3 metri sotto il livello di calpestio del Castrum di IV secolo (e quindi circa 6/7 metri sotto il livello di calpestio attuale) corre una falda acquatica Freatica di acqua dolce.

Per capire come si è formata questa falda freatica di acqua dolce occorre capire il territorio a livello geologico. Trovandoci vicino al mare e presso la foce del Tevere comprendiamo che il terreno è formato da un misto di detriti portati dal fiume e dal costante insabbiamento della costa. Il terreno di detriti più fertili poggia su un banco di sabbia e ghiaia per nulla fertili ma che permettono all'acqua piovana di penetrare in profondità. 

Tuttavia anche l'acqua salata del mare riesce facilmente a penetrare sabbia e ghiaia, e quindi come mai che l'acqua captata dai tanti pozzi di epoca repubblicana era perfettamente dolce?
Il così detto cuneo salino fa si che l'acqua dolce più pesante si poggia su di un letto di acqua salina più leggera, e quindi scesa più in basso.

POZZI
Quando si scavano i pozzi bisogna stare attenti a scavarli a fior di terra, onde evitare di andare a captare acqua salata. 
Inoltre l'eccessivo sfruttamento dei pozzi potrebbe far si che terminata l'acqua dolce risalga in superficie quella salata.

Le camicie dei pozzi scavati nella sabbia e ghiaia venivano rivestiti con lastre sagomate a cerchio di terracotta o di tufo (anelli cilindrici calati nella camicia del pozzo), oppure rivestiti di laterizi e resi impermeabili da una malgama di cementizia e cocciopisto

Nella camicia dei pozzi venivano incavate le pedarole che servivano per scendere a ispezionare i pozzi. 

Le vere poteali dei pozzi erano dei cilindri in marmo, travertino oppure dei semplici doli in ceramica.


CAMERE SOTTERRANEE DI CAPTAZIONE E NORIE
Con il passare del tempo invece dei pozzi si iniziò a scavare delle camere ipogee in cui era possibile entrare fisicamente, una parte era a uso cisterna, mentre nella zona asciutta venivano posizionate le norie, ruote dentate in legno azionate a trazione animale o umana e che facevano risalire in superficie più secchi d'acqua, le norie sono presenti nei centri termali, perchè utilizzate sopratutto per riempire le vasche di acqua calda riscaldata nei prefurnia sotterranei. 

noria ritrovata presso Terme dei Cisiari

IMPLUVIUM E COMPLUVIUM
L'acqua piovana veniva anche raccolta in cisterne chiamate impluvium alimentate da un compluvium posizionato nei tetti a spiovente delle abitazioni. L'acqua incanalata nel compluvium veniva scaricata in delle vasche, sotto le quali erano le cisterne di raccolta. Spesso le vasche assumevano un aspetto decorativo delle domus a uso fontana, e quindi l'acqua raccolta nelle cisterne veniva poi captata dai pozzi posizionati a lato delle vasche, che potevano presentarsi anche come dei semplici tombini privi di vere.

PERCHE' UN ACQUEDOTTO 
Ostia è una città che galleggia sull'acqua, la sua captazione a fior di terra è semplice, e allora perchè munire la città anche di un acquedotto? 

Perchè l'azione meccanica dell'acquedotto rende più semplice far funzionare le terme, le latrine e l'impianto fognario. La forza motrice dell'acqua veniva anche usata per azionare mulini, il suo uso era fondamentale nelle fulloniche, ma anche nei tanti forni dove si impastava il pane da mandare a Roma.

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Ritornando sul Decumano Massimo si possono notare alcuni pavimenti in mosaico policromo appartenenti ad un sacello.

mosaico policromo di un sacello sul Decumano Massimo
S'incontra poi il Portico del Tetto Spiovente, costruito in opera laterizia in epoca adrianea, con retrostanti botteghe.

Alle spalle di questo portico si trovavano gli Horrea di Antonino Pio, costruiti durante l'età di Commodo.

Portico del Tetto Spiovente
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Girando a destra su Via dei Vigili, si costeggiano sulla sinistra le Terme di Nettuno ed una cisterna delle terme.

Via dei Vigili
Sotto il piano stradale, dove il percorso di visita s'interrompe, si trova un pavimento a mosaico bianco e nero, il Mosaico delle Province, che apparteneva ad un edificio termale (il più antico di Ostia), di età claudia e distrutto da Domiziano per far posto alle nuove Terme di Nettuno e alla Caserma dei Vigili, rialzando di un metro anche il livello stradale.

Mosaico delle Province e il livello stradale di età domizianea
I soggetti raffigurati nel mosaico alludono alle funzioni internazionali e commerciali di Ostia: formelle con figure femminili raffiguranti le quattro Province (Spagna, Sicilia, Egitto e Africa), e formelle con i venti raffigurati da teste maschili, incorniciano il pannello centrale con delfini.

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Ritornando sui propri passi sino a riguadagnare il Decumano Massimo, al centro della trada si nota un pozzo medievale, mentre sulla destra si trova il Portico del Nettuno, costruito in età adrianea.

pozzo medievale davanti al Portico del Nettuno
Portico del Nettuno
Questo portico monumentale, dalle alte arcate separate da lesene in opera laterizia con basi e capitelli in travertino, era dotato di botteghe.

Dietro il portico si trovavano le grandi Terme di Nettuno, costruite dal governo centrale in età adrianea sulle precedenti terme domizianee.

Terme del Nettuno
Salendo su di un terrazzino, corrispondente al primo piano delle terme,si possono apprezzare meglio l'estensione e i mosaici del complesso termale.

Originariamente l'ingresso era su Via dei Vigili, accedendo direttamente  nella sala con il mosaico di Nettuno.

ingresso principale originario delle Terme del Nettuno posto su Via dei Vigili
ingresso principale originario delle Terme del Nettuno posto su Via dei Vigili
A lato dell'ingresso vi era una latrina e gli spogliatoi.
Verso nord, sul lato est, si trovavano il frigidarium, due tepidaria e due calidaria, circondati da locali di servizio.

area dei bagni termali
locale di servizio delle terme

locale di servizio delle terme
Sul lato occidentale delle terme si trovava la palestra colonnata all'aperto. Anch'essa era decorata con mosaici che soggetti alle intemperie si sono rovinati già in epoca antica.

palestra delle Terme del Nettuno
ambienti posti dietro il colonnato della palestra
Sabina come Cerere (dalla Palestra delle Terme del Nettuno - Museo Ostiense)
Le terme prendono il nome dal grande (18 x 12m) mosaico di Nettuno che occupa una grande sala: Nettuno guida una quadriga di ippocampi circondato da animali marini, delfini e tritoni.

Mosaico del Nettuno
particolare del Mosaico del Nettuno
Nella sala accanto si trova il mosaico di Anfitrite (in questo momento ricoperto da teli per la conservazione), la sposa di Nettuno, che si dirige verso il suo sposo preceduta da Imene con la fiaccola nuziale e da quattro tritoni che suonano cembali e kantharos.

Nel mosaico di Scilla e Nereidi del frigidarium è rappresentato il mostro marino che sferra un colpo di remi tra Nereidi e tritoni.

frigidarium con mosaico di Scilla e Nereidi
frigidarium con mosaico di Scilla e Nereidi

Abitare sopra le terme​ _ Seneca​
Ecce undique clamores circumsonant: supra balneum enim habito. ...

Ecco che, da tutte le parti, risuonano intorno gli schiamazzi: infatti abito sopra delle terme.
Ci sono vari generi di voci, e inducono le orecchie all’odio. Alcuni si allenano e lanciano pesi, altri faticano, oppure fanno finta di faticare. Tutte le volte che espirano, io sento i sibili e i respiri affannati. Quando invece mi imbatto in un uomo pigro e soddisfatto di un volgare massaggio, sento il rumore delle spalle percosse.
Nel frattempo sopraggiunge il giocatore di palla e comincia a contare le palle. Aggiungi ora il tipo litigioso ed il ladro colto in flagrante. Ci sono uomini ai quali, nelle terme, piace la loro voce, ci sono per giunta i fanciulli che balzano nella piscina con un forte scroscio d’acqua.
Immagina la voce stridula del depilatore: non sta mai zitto, se non mentre depila le ascelle ed induce un altro a gridare. Infine, ci sono le grida del venditore di bibite, ed il salsicciaio, il pasticcere, il bottegaio delle osterie: tutti quanti vendono la loro merce con una distinta cantilena.(da Seneca)

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Dietro le terme, parallela a Via dei Vigili, corre la Via della Palestra, dove si trova l'attuale ingresso della Caserma dei Vigili.

Via della Palestra (a sinistra la Caserma dei Vigili e a destra l'uscita settentrionale delle Terme del Nettuno)
La caserma fu costruita nel 90 d.C. ma nella configurazione attuale fu inaugurata nel 137 d.C.
Esternamente si presenta come un edificio aperto solo da feritoie e poche finestre.

Via della Palestra (a sinistra le Terme del Nettuno e a destra la Caserma dei Vigili)
Nel cortile interno, porticato con pilastri e pavimentato con bipedali, si svolgevano le esercitazioni.

cortile della Caserma dei Vigili
portico del cortile della Caserma dei Vigili
Su un lato ci sono due fontane per le abluzioni, mentre sul lato opposto si trova il Caesareum, il sacello per il culto imperiale, di cui rimangono due colonne e un mosaico con raffigurato il sacrificio di un toro (coperto per proteggerlo).
Sul podio vi sono are e basi di statue dedicate agli imperatori.

fontana per le abluzioni
Caesareum
Caesareum
Gli alloggi dei vigili e i depositi degli attrezzi erano disposti intorno al cortile, ed avevano soffitti lignei.
Su tutti i lati del cortile si trovava un piano superiore.

alloggi dei vigili e ambienti per le attrezzature
Sul lato est, dove si trovava l'ingresso principale della caserma, si trova un ambiente affrescato e con un pavimento a mosaico, forse un ambiente di rappresentanza.

ingresso principale della Caserma dei Vigili
ambiente affrescato e pavimentato con mosaico
La caserma era dotata di due latrine: una sul lato ovest, e una sul lato est. In quest'ultima si trova ancora un altare dedicato alla dea Fortuna.

latrina del lato ovest della Caserma dei Vigili
latrina del lato est della Caserma dei Vigili
latrina del lato est della Caserma dei Vigili
sedili della latrina del lato est della Caserma dei Vigili
tempietto alla dea Fortuna nella latrina del lato est della Caserma dei Vigili
In età severiana vennero costruite ai lati dell'ingresso principale, su Via dei Vigili, tre mescite per i soldati.
Di queste rimangono solo i mosaici del pavimento con scene riguardanti il bere.

pavimento di una mescita
pavimento di due mescite


















FUNZIONI DEI VIGILI
Sappiamo molte cose su come operavano i vigili nell'antica Roma grazie alla scoperta del 1865 in Trastevere dell'Excubitorium della VII Coorte dei vigili della XIV Regio Agustea

L'edificio venne identificato con un excubitorium o corpo di guardia distaccato nel Trastevere della VII Coorte, che secondo la riforma augustea era preposta alla sorveglianza della IX regio (Campomarzio) e XIV regio (Trastevere). 

Sulle pareti dell'excubitorium trasteverino furono ritrovati quasi cento graffiti (nessuno dei quali sopravvissuto sino a noi), mentre fortunatamente il loro ricordo è stato affidato alle trascrizioni edite subito dopo il rinvenimento del complesso.


I graffiti tracciati tra il 215 e il 245 d.C. dagli stessi militi sulle pareti intonacate nei momenti di riposo, queste trascrizioni hanno gettato lumi sull'organizzazione dei vigili e sulla loro vita in caserma. In essi infatti ricorrono non solo saluti agli imperatori e ringraziamenti agli dei ed in particolare al genio dell'excubitorio, ma vengono indicati il nome ed il numero della coorte, i nomi ed i gradi dei vigili. Di grande rilievo è la menzione dei sebaciaria, un servizio altrimenti ignoto e perciò di difficile definizione e controversa. Dalla lettura dei graffiti sembra che tale incarico della durata di un mese comportasse qualche rischio, cui allude l'espressione "omnia tuta" (tutto a posto), mentre del faticoso impegno richiesto da tale mansione testimonia l'annotazione graffita dal vigile alla fine del turno: "lassus sum successorem date" (sono stanco, datemi il cambio). In base a tali elementi e alla derivazione del nome da sebum (sego) sono state avanzate numerose ipotesi, tra le quali la più accreditata appare quella del servizio notturno di vigilanza della città alla luce di torce di sego. 


Durante la repubblica a pagare le tasse erano solo coloro che appartenevano alle tribù che avevano fondato la città di Roma. Augusto comprese che per poter far pagare i tributi anche a liberti e cittadini di nazionalità straniera occorreva riformare il sistema tributario dividendo la città in quartieri (regio) dove tutti i residenti romani e non avrebbero dovuto pagare le tasse. La città che si era estesa oltre i confini delle mura Serviane venne suddivisa in 14 Regioni amministrative alla fine del 7aC.

Contemporaneamente, Augusto riformò anche l'esercito e cariche militari. ​L​a competenza sulla vigilanza cittadina, polizia e prevenzione e gestione degli incendi era affidata ai Tresviri Capitales, che si avvalevano di un corpo di schiavi amministrati da un prefetto dell'ordine equestre. Nell'anno 6 d.C. Augusto riformò completamente il servizio, costituendo il corpo dei vigili che divise in 7 corti, ogni coorte doveva assicurare il servizio nel territorio di due regioni e aveva la caserma (statio) in una di esse ed un distaccamento (excubitorium) nell'altra. Entrambe erano comandate e amministrate da un unico prefetto (praefectus vigilum) scelto nell'ordine equestre.

Ciascuna corte era composta di sette centurie di 100 uomini (ma in quartieri densamente abitati le centurie potevano essere aumentate fino a 10 o 12). i vigili erano reclutati fra i cittadini romani e fra i liberti, i quali dopo sei anni di servizio, poi ridotti a tre, potevano ottenere la cittadinanza romana.


Ai vigili competevano l'estinzione e la prevenzione degli incendi, ma anche il servizio di vigilanza e pubblica sicurezza specialmente durante la notte.

In ciascun reparto erano vigili specializzati per le varie mansioni del corpo: 

acquarii, addetti alle pompe ed alle prese d'acqua e pertanto paragonabili ai moderni pompieri, 

balneari, incaricati della vigilanza dei bagni pubblici, 

horreari, sorveglianti nei magazzini, 

carcerarii, carcerieri e quaestionarii, impegnati negli interrogatori dei prigionieri.


Di tutte le mansioni la più importante e gravosa fu senz'altro il servizio prestato negli incendi, sempre così frequenti in una città con case a più piani costruite con largo impiego di legno, specialmente in un quartiere come il Trastevere che dobbiamo immaginare con strade strette e spesso occupate dai banchi delle botteghe. A questo si aggiunga l'importanza del fuoco nell'antichità quale elemento primario per la cottura dei cibi, l'illuminazione, il riscaldamento.


Gli strumenti di cui disponevano i vigili per combattere il fuoco:

scale e corde (funes) , i centones, una sorta di grandi coperte con le quali, opportunemente bagnate, si cercava di soffocare o isolare le fiamme.


Si conoscono anche le pompe a sifone (siphones) per l'adduzione di acqua attraverso le tubature, quando non si ricorreva al più semplice sistema di passare di mano in mano recipienti (hamae) o secchi di giunchi (vasa spartea), responsabili tra l'altro del nomignolo dispregiativo di sparteoli dato ai vigili dal popolo.


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Nelle vicinanze si trova una delle fulloniche (le antiche lavanderie e tintorie romane) di Ostia.

fullonica
fullonica
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Via delle Corporazioni
Ritornando verso il Decumano Massimo, percorrendo Via della Fontana o Via delle Corporazioni, si costeggiato due insule e un caseggiato: l'Insula dell'Ercole Bambino, l'Insula del Soffitto Dipinto e ilCaseggiato delle Fornaci.
Il caseggiato apparteneva probabilmente dello stesso proprietario.

insula lungo Via delle Corporazioni e passaggio con la parallela Via della Fontana
L'Insula dell'Ercole Bambino è di epoca adrianea.

Su Via della Fontana s'affacciano cinque botteghe, mentre la parte dell'insula che s'affaccia su Via delle Corporazioni consta di una bottega e del primo piano di un appartamento (di tipo medianum).

Via della Fontana (botteghe dell'Insula dell'Ercole Bambino sulla destra)
In quest'insula si ritrovano sobrie pitture parietali a riquadri colorate e alcune piccole rappresentazioni figurate.

resti di pittura parietale
L'Insula del Soffitto Dipinto era certamente una casa a due piani abitata da persone del ceto medio.

Su Via delle Corporazioni s'affacciavano cinque botteghe (di cui una era un "bar"), mentre la parte est dell'insula era occupata da un appartamento (del tipo medianum).

Un corridoio che attraversava l'insula ne permetteva l'ingresso sia da Via delle Corporazioni che daVia della Fontana (oggi gli ambienti sono chiusi al pubblico).

corridoio d'accesso all'appartamento dell'Insula del Soffitto Dipinto
Due scale esterne permettevano l'accesso agli appartamenti superiori.

scale d'accesso ai piani superiori dell'insula
Le decorazioni pittoriche di quest'insula risalgono alla fine del II secolo d.C.

A nord dell'Insula del Soffitto Dipinto si trova il Caseggiato delle Fornaci.

Caseggiato delle Fornaci (sulla sinistra) visto esternamente su Via della Fontana
passaggio tra l'Insula del Soffitto Dipinto e il Caseggiato delle Fornaci
Una grande sala era circondata da sale più piccole.

Caseggiato delle Fornaci

frammenti di macchine per la fresatura del grano e l'impastatura delle farine

L'edificio è stato occupato da un panificio, e nel piano superiore probabilmente erano conservati il grano e la legna.

scale esterne dell'edificio per accedere ai piani superiori

Probabilmente vi erano anche stalle per gli animali adoperati nel mulino.
probabile stalla

In epoca medievale nell'edificio è stata istallata una calcara.
calcara medievale nel Caseggiato delle Fornaci
Via della Fontana prende il nome da una fontana pubblica, del tipo "a bauletto", ancora ben conservata, posta sol lato orientale della strada.
fontana "a bauletto" su Via della Fontana
fontana "a bauletto" su Via della Fontana
Questa è una delle fontane di questo genere che si potevano trovare ad Ostia, dove la copertura a botte serviva a mantenere l'acqua fresca.

schema della fontana "a bauletto"
interno della fontana "a bauletto"

INSULE

Insula del Soffitto Dipinto con Caupona di Fortunato

si trova lungo il decumano, all'ingresso della via della Fontana; il mosaico pavimentale mostra un cratere inquadrato da un'iscrizione che invita a bere vino se si ha sete!  


Le insulae erano sorte nel IV sec. a.C., in stridente contrasto con le splendide abitazioni signorili, dall'esigenza di offrire alloggio, entro il ristretto territorio dell'Vrbs, ad una popolazione in continuo aumento. Le insulae sfruttavano infatti, come gli attuali condomini, lo spazio in altezza che, nel periodo imperiale, raggiunse e supero' il sesto piano, come la famosa insula Felicles che si elevava su Roma come un grattacielo.

Le insulae divennero presto il tipo di abitazione piu' diffuso a Roma, specialmente in epoca Imperiale. Questi palazzi a piu' piani, alti oltre venti metri, erano divenuti cosi' numerosi che Cicerone definiva Roma una citta' sospesa per aria.
La costruzione delle insulae divenne presto un'attivita' lucrosa


Gli imprenditori edili (per altro gli unici a cui era consentito il traffico su ruote anche di giorno), per guadagnare di piu', costruivano edifici i piu' alti possibili, dai muri sottili e con materiali scadenti. Basti pensare le insulae avevano muri maestri di spessore non superiore ai 45 cm (valore minimo previsto dalla legge) ed una superficie alla base di circa 300 mq, che, per gli sviluppi in altezza dell'edificio, erano del tutto insufficienti per assicurare la necessaria stabilita' al palazzo (ne sarebbero stati necessari almeno 800 mq).


I proprietari poi, impararono presto a suddividere i gia' angusti alloggi in celle ancor piu' esigue, vere tane, per accogliervi inquilini ancor piu' poveri. Ogni insula conteneva circa 200 persone. 


Tutto questo fece delle insulae abitazioni poco sicure, continuamente preda di incendi e di crolli, tanto da spingere l'imperatore Augusto a dover proibire ai privati di elevare queste costruzioni sopra i 60 piedi (circa 20 m).


Durante l'Impero pero', dove la speculazione edilizia e l'esigenze abitative crebbero con l'aumentare della popolazione, l'altezza di questi edifici supero' di gran lunga il limite dei 60 piedi imposto da Augusto; il Giovenale nel II sec. d. C. affermava:
Guarda la massa torreggiante di quella dimora, dove, un piano sopra l'altro, si arriva al decimo. (citato da MUMFORD, op. cit.)


Il fenomeno dell'urbanesimo sempre crescente, la necessita' di sfruttare lo spazio, la miseria di gran parte della popolazione cittadina determinarono, nel corso dei secoli, l'accrescersi di questo tipo di dimore che furono uno dei piu' chiari esempi di discutibile organizzazione municipale, ma anche di arricchimento personale. 


***Per esempio Crasso, il potente banchiere e triumviro, con le insulae accumulo' ricchezze favolose e si vantava di non aver mai speso per costruirle: per lui era piu' vantaggioso acquistare immobili danneggiati (o addirittura crollati) e messi in vendita a basso prezzo, procedere a sommarie riparazioni (spesso, con le stesse macerie del palazzo) e poi affittarli (a prezzi maggiorati). Era diventato famoso, infatti, per la rapidita' con cui accorreva sul luogo di un crollo offrendo allo sfortunato proprietario dello stabile di comprarlo li' stesso, ovviamente, a prezzo stracciato.

Anche per le insulae si poteva effettuare una differenziazione in due categorie: c'erano palazzi di tipo piu' signorile in cui alloggiava la classe media (funzionari, mercanti, piccoli industriali) forse abbastanza decenti, ed altri di tipo piu' popolare in cui viveva il proletariato; nei primi al pianterreno c'era un solo appartamento, che aveva le caratteristiche di una domus; nei secondi, al pianterreno c'erano le tabernae, cioe' i negozi e i magazzini (dove i commercianti lavoravano e dormivano).

Le insulae romane costituirono l'esempio tipico di una societa' divisa in una classe di privilegiati e in un proletariato depresso. Diceva Petronio Arbitro in piena eta' imperiale: La piccola gente se la cava male, perche' le mascelle degli aristocratici fanno continuamente festa.

Ma gia' prima, in eta' repubblicana, Tiberio Gracco cosi' arringava il popolo: Le bestie dei campi e gli uccelli del cielo hanno le loro tane ed i loro nascondigli, ma gli uomini che combattono e muoiono per l'Italia godono soltanto dell'aria e del sole.


Ma vediamo bene nel dettaglio come era strutturata una tipica insula.

Le insulae sorgevano alte e sconnesse, appiccicate le une alle altre nei vicoli fetidi e rumorosi.
La loro struttura era generalmente in legno, ma talvolta potevano essere anche in muratura. Entrambi i tipi di costruzioni pero', erano continuamente soggette rispettivamente a incendi e a crolli, visto, da un lato, l'utilizzo indiscriminato di fiamme libere negli appartamenti, e, dall'altro, la presenza di speculatori edilizi che risparmiavano sui materiali di costruzione.
Tutto questo rendeva ancora piu' difficile di quanto gia' non lo fosse la vita in questi grandi palazzi.

L'insula comprendeva, riuniti nei cenacula (corrispondenti all'incirca ai nostri appartamenti), numerosi locali piuttosto angusti, areati da finestre che si affacciavano sulla strada. Gli appartamenti (appunto cenacula) erano per lo piu' di piccole dimensioni, con stanze strette, buie, fredde d'inverno e calde d'estate: le finestre infatti non avevano vetri (erano troppo costosi...) ma solo sportelli di legno e quindi in inverno bisognava scegliere se morire di freddo o stare al buio. Le stanze erano quasi senza mobili e non avevano funzioni specifiche come nelle domus: spesso, quindi, uno stesso locale fungeva da stanza da pranzo e da letto.

Nei palazzi piu' prestigiosi il Pianterreno costituiva un'unita' abitativa a disposizione di un singolo locatario e assumeva l'aspetto e i vantaggi di una casa signorile alla base dell'insula.


Naturalmente i civia non vivevano solo nelle insulae, anzi la maggior parte della classe dei commercianti viveva in case con due o piu' raramente tre piani, destinando il piano terra generalmente, come poi nelle insule, alla conduzione di una o piu' attivita' commerciali, e gli altri quali abitazioni di una o due famiglie. In queste abitazioni il pianterreno era occupato da magazzini e botteghe, chiamati in generale tabernae, come i "bar" (Termopolia  o  pupina), venditori di mercanzia ..., in cui gli inquilini non solo lavoravano, ma vivevano e dormivano, poiche' una scala di legno univa la bottega ad un soppalco che costituiva anche l'abitazione dei bottegai (tabernarii).

Dal piano superiore in poi erano ubicati gli appartamenti, di varie dimensioni spesso subaffittati.

L'insula, al centro solitamente aveva un cortile con del verde e nei palazzi più prestigiosi era posta una fontana che riforniva gli inquilini. Ma generalmente, non c'erano comodita': solo gli appartamenti signorili del pianterreno erano collegati all'acquedotto e alla rete fognaria; gli altri erano senz'acqua (nonostante Roma ne' abbondasse) e senza servizi igienici. Bisognava fare numerosi viaggi per andare a prendere l'acqua alla fontana pubblica, nella piazza; quanto ai rifiuti, "tutti" i rifiuti, venivano eliminati di notte buttandoli giu' dalle finestre, o venivano deposti in cisterne coperte in fondo alla tromba delle scale, dove, periodicamente, venivano prelevate da contadini in cerca di letame o da spazzini. Si immagini quindi quale fosse il fetore di quelle case e come facilmente vi potessero divampampare le epidemie.

Le finestre e, se c'erano, i balconi in legno, ingentiliti dai fiori posti dalla povera gente sui davanzali, guardavano nella strada da cui ne ricevevano la luce (molto poca). Tali abitazioni mancavano di tubi di scarico, di gabinetti, di cucine, di riscaldamento. Le grandi fogne di cui Roma andava superba non erano collegate alle abitazioni piu' affollate.

Generalmente al contrario di oggi le persone piu' ricche abitavano ai primi piani, mentre quelle meno abbienti nei piani piu' alti. Difatti ai piani superiori mancava un'accesso diretto all'acqua, erano piu' scomodi per via dell'altezza, e anche piu' lontani dalle uscite in caso di incendi, cosa frequente dato che le fiamme erano usate libere.

Il canone di affitto veniva pagato ogni sei mesi, il primo gennaio e il primo luglio. Poiche' gli affitti erano cari, i casi di inquilini morosi erano numerosi e di conseguenza erano numerosi anche gli sfratti. Ogni sei mesi, percio', le strade di Roma, gia' affollatissime, si riempivano di una folla di sfrattati che, trascinando con se' i propri miseri averi, si aggirava alla ricerca di un alloggio ... e non di rado, l'unica soluzione era dormire sotto i ponti.

Il mobilio tipico della casa plebea e' semplice, troviamo principalmente: le cassepanche (capsa) usate per conservare sia vestiti che oggetti, dei piccoli letti (cubicula) spesso incassati nei muri, qualche sgabello (scabellum) per sedersi, e un tavolo, e talvolta degli armadi.



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L'ultima porzione del Portico del Nettuno, tra le Terme del Nettuno e il Teatro, è stata trasformata in un ninfeo.

Ninfeo sul Decumano Massimo
Ninfeo sul Decumano Massimo
A chiudere Via della Fontana invece, si trova una rivendita di bevande, l'equivalente di un nostro piccolo "bar", la Caupona di Fortunato.

Caupona di Fortunato
Il locale, che prende il nome dal suo probabile proprietario, viene erroneamente chiamato caupona, mentre sarebbe più esatto chiamarlo taberna vinaria, non offrendo possibilità di alloggio.

Sul pavimento della caupona vi è un mosaico a tessere bianche e nere con raffigurato un cratere e l'iscrizione:
"Fortunato dice: poiché hai sete, bevi il vino dal cratere"
mosaico pavimentale con iscrizione della Caupona di Fortunato
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Di fronte alla caupona, sul lato sinistro del Decumano Massimo, si trovano gli Horrea di Hortensius, gli Horrea di Artemide e il Magazzino dei Dolii, dentro il Porticato degli archi trionfali.

ingresso agli Horrea di Hortensius (a destra della foto)
Horrea di Hortensius (ingresso e retrostante cortile porticato)

Questo è un grande gruppo di magazzini annonari, di cui il più antico è l'Horrea di Hortensius (I secolo a.C.), più in basso degli altri due perché posto sul piano stradale repubblicano.
Era un edificio a più piani, con cortile porticato al centro e intorno ambienti quadrangolari.

Faustina Maggiore (dagli Horrea di Hortensius - Museo Ostiense)
cornice del Portico degli archi trionfali

Sotto questo portico si racconta che subirono il martirio S.Aurea, S.Ciriaco e alcuni loro compagni.



Nel ninfeo di destra venne costruito nel VII/VIII secolo un oratorio cristiano, la cosiddetta Chiesa di S.Ciriaco, il vescovo di Ostia del III secolo che, come ho già detto, si pensa abbia qui subito il martirio.
ninfeo e oratorio cristiano
iscrizione dell'oratrio cristiano
sarcofago di S.Ciriaco
Il sarcofago con l'effige di Orfeo qui presente, con la scritta "Qui Ciriaco dorme in pace", deriverebbe dal sepolcreto di epoca tardo antica sul quale l'oratorio prese posto, e poi fu attribuito a S.Ciriaco.

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Decumano Massimo: Horrea di Hortensius (a sinistra), Portico del Nettuno e Teatro (a destra)


Teatro

Parole chiave: CAVEA – ORCHESTRA – SCENA – PALCO

COMMEDIA – TRAGEDIA – SATIRA – POESIA – TETIMIMI (Teti ninfa marina madre di Achille).

Nel 1927 venne inaugurato il Teatro, dopo il restauro e la parziale ricostruzione di Antonino De Vico, seguiranno poi negli studi e nelle ricostruzioni grafiche da Calza e Gismondi in occasione dei grandi scavi e delle ricostruzioni avvenute per l’E42.

​Costruito a partire dal 12 a.C. da Agrippa, genero di Augusto.
Il teatro è tra le strutture più antiche in laterizi presenti ad Ostia, con larghi tratti di muri in opera reticolata. Ampliato sotto Adriano e poi Commodo che aggiunse il fronte ad arcate in laterizio e ingrandì la cavea aggiungendo un terzo livello. (3500/4000 posti), venne anche abbellito ed impreziosito l'ingresso centrale con stucchi.​ ​Dopo la sua morte il teatro fu inaugurato da Settimio Severo e Caracalla (196 d.C.) come riportato da un'iscrizione che si conserva a destra dell'orchestra.


I​
scrizione dell'inaugurazione del Teatro di Settimio Severo e del figlio Caracalla su un corridoio laterale d'accesso all'orchestra


I​
scrizione di Settimio Severo e Caracalla


Restaurato nella prima metà del 1900 da Antonino De Vico, Vaglieri, poi dal Calza e infine ricostruito nelle forme attuali dal GISMONDI (plastico di Roma al museo della civiltà romana) sotto Mussolini per l’Esposizione universale del 1942, che non avvenne a causa della guerra.

Si sceglie di mettere in evidenza Livello ADRIANEO  distruggendo molto delle epoche precedenti.

Ancor oggi, nelle calde serate d'estate, il Teatro viene utilizzato per spettacoli di vario genere.

Descrizione
Era un tipico teatro romano, con cavea sostenuta da arcate, affacciate sul decumano massimo: gli spazi tra questo e la facciata curvilinea del teatro erano stati pavimentati in travertino e delimitati da cippi ugualmente in travertino, dotati di catene, e vi erano sorti due ninfei (fontane monumentali) semicircolari (II,VII,6-7).

resti del portico anulare del Teatro

Davanti al teatro sul decumano sorgevano due archi gemelli, di cui restano le coppie di pilastri in laterizio, dedicati a Caracalla dai cittadini di Ostia tra il 211 e il 217. Forse i due archi erano collegati da una copertura lignea, fungendo in questo modo da atrio di ingresso per il teatro.




resti di uno degli archi gemelli
resti di uno degli archi gemelli




















La facciata presentava in origine due ordini di arcate, sormontati da un attico con finestre; al secondo ordine le lesene laterizie erano di ordine ionico e altre lesene più piccole erano presenti ai lati delle finestre dell'attico, forse di ordine corinzio, dove forse erano presenti mensole sporgenti (simili a quelle del Colosseo), destinate a sostenere i robusti pali in legno che reggevano il velario, inseriti nel cornicione di coronamento.​ Ma è più probabile che non ci fosse un velario, e quindi in caso di pioggia si interrompeva per ripararsi sotto i portici.​

Esternamente presenta un portico, dentro il quale ci sono una serie di botteghe e delle scale, che portano alla cavea

tabernae del portico anulare del Teatro

All'interno delle arcate si apriva un portico-deambulatorio concentrico, che dava su una serie di sedici ambienti disposti radialmente, a cui si alternavano l'ingresso centrale verso i posti situati più in basso e le quattro scale che permettevano di raggiungere i posti al secondo e al terzo livello. I sedicii ambienti radiali ospitavano taberne (botteghe) dotate di retrobottega. Le taberne erano decorate con semplici affreschi. Nel deambulatorio, a destra dell'ingresso principale, è presente un pozzo con puteale in travertino.

portico-deambulatorio concentrico

Il corridoio di accesso centrale aveva rivestimenti in marmo su pavimento e pareti e la volta decorata in stucco. Nel rifacimento del IV secolo nella parte più interna furono collocati dei sedili marmorei, che reimpiegano delle basi provenienti dal piazzale delle Corporazioni, non più in uso.

Una particolarità di questa struttura, mai trovata in altri teatri antichi, è che l'ingresso principale porti direttamente all'orchestra (altri accessi: due passaggi laterali).

Il corridoio d'accesso all'orchestra era decorato con stucchi sul soffitto, ancora oggi in parte conservati, e marmi sulle pareti.
corridoio d'accesso all'orchestra del Teatro

Il disegno degli stucchi erano composto da ottagoni e tondi con motivi vegetali e animali, mentre aree rettangolari erano decorate con scene più complesse.

Il corridoio permetteva invece di raggiungere l'orchestra, anch'essa pavimentata in origine in marmo.

Sull'orchestra semicircolare convergevano i gradini della cavea.​ ​L'orchestra ​fu ​ampliata in un secondo momento, per far fronte alla moda della tarda età imperiale, dei giochi acquatici (Tetimimi), è isolata dalla cavea tramite un parapetto marmoreo. L'acqua arrivava tramite il passaggio centrale da due cisterne ricavate dalle botteghe sotto il portico.
  
I primi tre gradini della cavea, bassi e con rivestimenti in marmo tuttora conservati, erano destinati ad ospitare i seggi per i posti riservati ai personaggi più importanti. Gli altri gradini oggi presenti sono di restauro.

gradinate della cavea​.​


La cavea era divisa in tre settori, ma se ne sono conservati solo due. Al disopra del terzo settore andato perso, era un portico in summa cavea (alla sommità della cavea - anche questo perso) con colonne marmoree (oggi collocate fuori posto dietro la scena).

Le colonne in cipollino che si trovano dietro alla scena e sul Decumano davanti l'ingresso del Teatro, un tempo decoravano la parte alta della cavea, oggi poste dietro la scena​, mentre una è stata collocata sul Decumano.​

Fra le colonne che decorano la scena ce n'è una di marmo diverso proveniente da un luogo diverso, forse un tempio, o un aula collegiale utilizzata da militari  frumentari peregrini (simili ai 007 agenti sempre in trasferta e in missioni segrete). La colonna
 reca il rilievo di un genio davanti ad una edicola, vestito con un mantello che sorregge una cornucopia con la sinistra, mentre con la patera nella destra compie una libagione su un altare cilindrico. L'iscrizione sottostante dedica il rilievo al genio dei Castra peregrina da parte dei fratelli Optaziano e Pudente, appartenenti al corpo militare dei frumentarii.

Colonna in cipollino della parte alta della cavea oggi sul Decumano​.​


Le parodoi, corridoi tra la cavea e l'edificio scenico, ai lati dell'orchestra conservano resti della muratura originaria di epoca augustea.


Il proscenio 
rialzato rispetto all'orchestra era decorato sulla fronte con una serie di nicchie alternativamente semicircolari e rettangolari, rivestite in marmo e inquadrate da colonnine che sorreggevano un coronamento sporgente. Vi sono collocate sopra delle mensole decorate con maschere teatrali, che dovevano appartenere alla decorazione dell'edificio nella fase severiana.

La scena ha un prospetto con nicchie semicircolari e rettangolari.​ ​Un portico ad arcate in opera quadrata di tufo di età augustea si trova dietro la scena, e su di esso sono stati messi elementi architettonici che decoravano il Teatro.


La scena ha un prospetto con nicchie semicircolari e rettangolari.

Un portico ad arcate in opera quadrata di tufo di età augustea si trova dietro la scena, e su di esso sono stati messi elementi architettonici che decoravano il Teatro.


Il frontescena (frons scaenae) era privo di articolazione in nicchie, riprendendo la pianta lineare di quello di epoca augustea. Vi si addossavano pilastri e colonne in marmo, disposti su tre ordini.

Arcate crollate ed elementi architettonici decorativi del Teatro sono posti lungo Via delle Corporazioni.
elemento architettonico decorativo del Teatro
Ino-Leucotea (dal Teatro - Museo Ostiense)
Cornificia (nei pressi del Teatro - Museo Ostiense)

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Incorniciano il Teatro due ninfei, uno a destra e uno a sinistra dell'ingresso principale. I ninfei semicircolari sono di età imperiale.

ninfeo a sinistra del Teatro
ninfeo alla destra del Teatro

Scilla (dal ninfeo del Teatro - Museo Ostiense)

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Dietro la scena del Teatro si trova il Piazzale delle Corporazioni, il centro degli affari marittimi e commerciali di Ostia, ed un unicum nelle città romane.

Al centro era un tempio, molto probabilmente dedicato a Vulcano, protettore e divinità principale di Ostia, come attestano le epigrafi e i testi antichi che parlano dell'importanza del culto e del suo sacerdote, il Pontifex Volkani, ma i santuari che gli erano dedicati non sono identificati con certezza, se non forse uno di loro nel tempietto del Piazzale delle Corporazioni. 

Le corporazioni sponsorizzarono la costruzione del teatro  e vollero essere ricordati attraverso questi mosaici.


Corporazioni:

-STUPPATORES cordai – stoppa

-PELLION conciatori di pelli (usavano sale x la concia)

-Armatori di legname disboscarono Italia e Europa

-MENSORES con il MOGGIO x la misurazione del grano (tipo misurini)

Pane e Circensi, l’annona distribuiva grano, olio, carne secca

-Armatori TURRIS porto Torres (Sassari) in Sardegna rotte verso la Gallia

-Armatori KARALITANI da Cagliari rotte verso Nord Africa, Spagna e Portogallo

-Elefanti – ambasciatori del nord Africa: Sabrata, Lepis Magna, Cartagine


Piazzale delle Corporazioni
Piazzale delle Corporazioni
E' un grande spiazzo quadrangolare porticato, con due file di colonne laterizie di ordine dorico.

Fu costruito in in età augustea come un corridoio con funzioni annesse al Teatro, per passeggiare o ripararsi dalle intemperie.
In epoca adrianea il portico fu dotato della doppia fila di colonne e vennero chiusi gli undici ingressi a pilastri sul lato verso il Tevere.

antico ingresso al Piazzale delle Corporazioni
Nel 196 d.C. il piazzale subì dei rimaneggiamenti, tra i quali l'allargamento del portico e il sollevamento di 40cm del pavimento.

stationes del porticato del Piazzale delle Corporazioni
Sui due lati lunghi e su un lato corto del portico si poteva accedere a 50 piccoli ambienti (stationes), divenuti poi 64, sedi di rappresentanza di agenzie marittime di città che avevano rapporti commerciali con Ostia, create dividendo la navata del portico.

Piazzale delle Corporazioni
stationes del porticato del Piazzale delle Corporazioni
Ancor oggi si possono vedere i mosaici a tessere bianche e nere che decoravano i pavimenti (un po' deturpati da restauri grossolani!), con soggetti e iscrizioni che pubblicizzavano le attività che ognistatio operava.

Erano rappresentate le Corporazioni dei vinai, dei macellai, dei conciatori di pelli, dei commercianti di stoffe e corde, che operavano a Ostia.

Sono raffigurati moggi, fiere destinate ai giochi, pesci e divinità marine, temi che alludono alla caccia o alle attività legate al commercio del grano.

statio 7: moggio e rutellum (per la misurazione del grano)
statio 11: amorino alato su delfino, due delfini e due busti femminili
statio 17: moggio e spighe di grano - "NAVICULARI GUMMITANI" (dell'Africa)
statio 34: moggio e due delfini, "NAVICULARI CURBITANI" (da Kurba, Tunisia)
statio 48: anfora tra due palme da dattero e tre pesci (commercianti dell'Algeria)
statio 52: scena di venatio con cacciatore e toro
statio 53: Nereide, cavallo marino e delfino
Ma erano anche rappresentate le merci che provenivano dalle province (per esempio l'elefante dellastatio 28 allude al commercio dell'avorio) o il paese di provenienza (il Nilo della stazio 27 rappresenta l'Egitto, l'elefante della statio 14 rappresenta i commercianti di Sabrata).

statio 14: commercianti di Sabrata (Libia)
statio 28: l'elefante, cervo e cinghiale
 
stazio 27: il Nilo e un ponte di barche
I mercanti provenivano dal nord Africa (Libia, Mauritania, Egitto e Cartagine), dalla Sardegna (Porto Torres e Cagliari), dalla Spagna...

il triangolo di marmo sul muro porta la scritta "NAVICULARI AFRICANI"
statio 21:" NAVICUL ET NEGOTIANTES KARALITANI" (da Cagliari)
Ma sono anche rappresentate le attività portuali: lo scarico delle merci sulle banchine o in trasbordo dei sacchi da una nave all'altra, il faro o le diverse navi di trasporto di derrate alimentari o prodotti di ogni genere.

statio 22: delfini e faro
statio 46: due navi, un delfino e il faro
statio 25: trasferimento di merci da una nave all'altra
statio 23: faro, due delfini, due navi e un polpo
statio 18: "NAVICUL KARTHAG" (da Cartagine)
Il centro del piazzale, attorniato da cippi e monumenti di cittadini benefattori di Ostia, era occupato da un giardino dove vi fu costruito alla fine del I secolo d.C. su un podio un Tempio dedicato probabilmente a Cerere, dove i commercianti andavano a fare un'offerta di ringraziamento dopo un buon affare.

Tempio di Cerere o Vulcano (visto posteriormente)
Tempio di Cerere o Vulcano
Il Tempio era provvisto di pronao e di due colonne marmoree di stile corinzio.

colonna dorica del Tempio di Cerere
Nell'angolo sud-occidentale del Piazzale delle Corporazioni si trova il Sacello dell'Ara dei Gemelli, un piccolo ambiente con base per statua.

Ara dei Gemelli: Rinvenimento di Romolo e Remo
Ara dei Gemelli: Carro di Marte



Ara dei Gemelli: Marte e Venere
Qui venne rinvenuto un altare in marmo con dedica del 124.
Sull'altare sono raffigurati Marte e Venere, il Carro di Marte e il Rinvenimento di Romolo e Remo allattati dalla lupa.


Il Teatro di Ostia: storia degli Scavi​ e di un restauro​

I primi scavi dell'edificio furono condotti tra il 1880 e il 1891 da Rodolfo Lanciani
I resoconti e le fotografie dei suoi scavi sono fin troppo eloquenti: ​al termine degli scavi del monumento erano visibili solo l'orchestra e il corridoio d'accesso centrale: la cavea aveva perso tutte le gradinate e appariva come un pendio di terra e macerie.​ ​Del grandioso monumento rimanevano solamente pochi tratti dei muri di sostegno alla cavea (le gradinate per il pubblico), una decina di colonne provenienti probabilmente dal portico sulla cima delle gradinate e il corridoio centrale di accesso, rinforzato in età tarda con i basamenti delle statue oggi visibili nel Piazzale delle Corporazioni. 

Lanciani fu comunque in grado di stabilire che il teatro era stato costruito da Agrippa (63-12 a.C.), genero di Augusto, ma che era stato notevolmente ampliato e abbellito nel regno di Commodo (180-192 d.C.), anche se il merito andò ai successori Settimio Severo e Caracalla, come testimoniato dall'iscrizione frammentaria oggi murata sul corridoio d'accesso all'orchestra (a sinistra per chi guarda dal Piazzale delle Corporazioni)

​Nel 1907 ​Dante Vaglieri ​prese la direzione degli scavi​, egli decise​ di riportare interamente alla luce il monumento, progetto portato avanti dal 1910 al 1913. Vaglieri fece rimuovere tutta la terra dalla cavea e dagli ambienti sottostanti (le taberne), liberando i muri radiali di sostegno e portando alla luce tracce di utilizzo del monumento successive all'età classica. Si scoprì che nel medioevo le arcate esterne erano state murate con materiale vario, trasformando il monumento in una piccola fortezza: in un ambiente sotto i fornici furono trovati molti pezzi di statue antiche, pronti probabilmente per essere cotti in appositi forni (le calcare) e trasformati in calce

Vaglieri si preoccupò della conservazione dei fragili resti del teatro e al termine degli scavi fece ricoprire tutti gli ambienti con terra di riporto: le gradinate non c'erano ancora, la cavea era formata da un pendio erboso più regolare, utilizzabile dal pubblico per assistere a piccoli spettacoli teatrali (la prima rappresentazione, con gli alunni della scuola elementare di Ostia, ebbe luogo nel 1922).

Il teatro di Ostia al termine degli scavi di Dante Vaglieri, 1913 (Archivio Fotografico Pa-Oant B2090)

Nel 1924 Guido Calza divenne direttore degli scavi di Ostia e propose un ambizioso progetto di ricostruzione delle gradinate al Ministero della Pubblica Istruzione, per rendere il teatro nuovamente utilizzabile. Il progetto fu affidato al famoso architetto Raffaele de Vico con la consulenza di Italo Gismondi, autore tra l’altro del grande plastico dell'antica Roma oggi conservato al Museo della Civiltà Romana. 

I muri di sostegno alle gradinate furono ricostruiti in parte, mentre la ricostruzione delle volte di sostegno fu quasi totale: per i gradini fu utilizzato un tufo di colore intonato a quello delle murature, anche se in età romana ogni gradino era ricoperto con lastre di marmo (ciò tra l’altro migliorava l'acustica dell'edificio). Per ridurre i costi ed evitare una ricostruzione troppo estesa, fu deciso di ricostruire solo due terzi dell'antica cavea, portando la capienza dell'edificio a 2.700 spettatori contro i 4.000 che doveva vantare in antico.

L'intervento di ricostruzione fu apprezzato quasi unanimemente, ma venne criticato dall’archeologo Armin von Gerkan, che lamentava la perdita definitiva di buona parte delle strutture antiche (a queste critiche Calza rispose con una serie di articoli che difendevano le scelte filologiche attuate durante il restauro). Il nuovo teatro ospitò a partire dal 1927 gli spettacoli classici dell'Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa, spesso accompagnati dagli splendidi manifesti di Duilio Cambellotti, che in varie occasioni fu anche scenografo e regista delle rappresentazioni.

Per vedere immagini e approfondire argomento restauro
https://www.ostia-antica.org/fulltext/shepherd/shepherd_acta.pdf


In previsione dell'Esposizione Universale del 1942 Ostia antica fu interessata da una massiccia campagna di scavi, che mirava al disseppellimento della maggior parte della città a fini propagandistici. In questo contesto fu deciso di ricostruire una parte della facciata del monumento, rialzando quattro delle ventitré arcate del primo ordine esterno (1938-39). La ricostruzione si basava sui frammenti di pilastri e di arcate trovati da Dante Vaglieri all'inizio del secolo, rifatti utilizzando mattoni moderni molto simili a quelli antichi. Ulteriori interventi di restauro si succedettero negli anni successivi: nel dopoguerra Italo Gismondi scoprì che in età tardo antica il teatro poteva essere allagato, trasformando l’orchestra in una “kolymbetra”, un basso bacino per giochi acquatici (i tetimimi, rappresentazioni mitologiche che dovevano ricordare per certi versi il nuoto sincronizzato). Anche oggi il teatro viene costantemente monitorato e mantenuto in perfetta efficienza per lo svolgimento della stagione teatrale estiva.

Teatro: la ricostruzione della facciata esterna,1939 (foto: Archivio Fotografico PA-OANT B2885)

La ricostruzione degli anni Venti in genere viene criticata dagli esperti di restauro archeologico, soprattutto per la voluta indistinguibilità tra le parti antiche e quelle moderne
 (cd. “restauro mimetico”). Certamente interventi come questo si giustificano con la diversa sensibilità verso i resti archeologici che si aveva in quel periodo e con la volontà politica di valorizzare un’importante area archeologica alle porte di Roma. Per commemorare la ricostruzione fu realizzata una grande iscrizione di marmo, tuttora visibile nel corridoio d'accesso sulla destra del monumento (guardando dal Piazzale delle Corporazioni). Il tempo ha quasi cancellato le lettere, che componevano una celebrazione propagandistica del regime, pagina di storia ostiense quasi dimenticata.

Per approfondire il tema dei restauri del Teatro: https://www.ostia-antica.org/fulltext/shepherd/shepherd_acta.pdf


Il teatro latino

è una delle più grandi espressioni della cultura della Roma antica.


Edificio scenico 

I Romani cominciarono a costruire edifici teatrali in muratura soltanto dopo il 30 a.C. Nel periodo precedente i luoghi degli eventi teatrali erano costruzioni di legno provvisorie spesso erette all'interno del circo o di fronte ai templi di Apollo e della Magna Mater.


Il teatro romano dell'età imperiale, invece, è un edificio costruito in piano e non su un declivio naturale come quello greco, e ha una forma chiusa, che rendeva possibile la copertura con un velarium, ed è l'esempio di teatro che più si avvicina all'edificio teatrale moderno.


La cavea, la platea semicircolare costituita da gradinate, fronteggiava il palcoscenico (pulpitum), che per la prima volta assume una profondità cospicua, rendendo possibile l'utilizzo di un sipario e una netta separazione dalla platea.


Scenografia 

Vitruvio testimonia come all'inizio le scenografie del teatro romano non fossero molto elaborate, e che gli attori, proprio come nell'antica Grecia, affidassero alla loro arte il compito dell'evocazione dei luoghi e delle circostanze. In seguito negli anfiteatri si cominciò a costruire vere e proprie macchine teatrali, adibite agli effetti speciali.


Elementi scenografici sempre presenti erano:

  • il proscenium, la porzione di palcoscenico in legno più vicina al pubblico, raffigurante in genere un via o una piazza, corrispondente all'attuale proscenio.

  • la scenae frons, un fondale dipinto.

  • i periaktoi, di derivazione greca, prismi triangolari rotabili con i lati dipinti con una scena tragica su un lato, comica su un altro e satiresca sul terzo.

  • l'auleum, un telo simile al nostro attuale sipario (sconosciuto ai greci) che permetteva veloci cambi di scena o veniva calato alla fine dello spettacolo. In alcuni teatri invece di cadere dall'alto veniva sollevato.


Pubblico 

Le tre file di gradini marmorei vicino all'orchestra erano posti d'onore per personaggi importanti. Gerarchia nell’assegnazione dei posti, le donne della plebe sedevano in alto in ultima fila insieme con gli schiavi.


Gli spettatori a cui il teatro romano si rivolgeva era il complesso della plebe dell'Urbe. Alle rappresentazioni e ai giochi potevano accedere tutti. La rappresentazione si svolgeva in una cornice di esibizioni varie, dai giocolieri alle danzatrici, con cui il teatro doveva competere per vivacità e colpi di scena.


Vicino al palco sedevano i senatori, nobili e magistrati e le persone di rango superiore.

Divisione in settori, ogni settore aveva la sua entrata separata così che  vari gruppi sociali non si potessero incontrare. Le donne del popolo erano relegate nella parte + alta e quindi lontane dalla scena.


Il teatro subì altri ristrutturazioni nel tempo, documentate da vari resti; nella prima metà del nostro secolo venne riportato alla luce e da allora utilizzato per spettacoli classici nelle sere di estate.



Rappresentazioni

Fortemente caratterizzato nella direzione dell'intrattenimento, era spesso incluso nei giochi, accanto ai combattimenti dei gladiatori, ma soprattutto, sin dalle origini è collegato alle feste religiose.


Il teatro era rivolto alla popolazione intera, e l'ingresso era gratuito.


L'istituzione di pubblici spettacoli organizzati dallo Stato romano ebbe grande importanza. Il carattere statale e ufficiale dell'organizzazione fece sì che i committenti delle opere teatrali fossero le autorità. A differenza del teatro greco, la connotazione civile o rituale lascia il posto al carattere di intrattenimento.   


Per il pubblico romano la partecipazione è motivata dal divertimento più che dalla tensione religiosa o politica. Accanto agli eventi teatrali convivevano le corse dei carri, i combattimenti dei gladiatori, venationes e naumachie, celebrazioni, spettacoli di acrobazia e danze.


Fin dall'epoca di Romolo si celebravano giochi  e festeggiamenti in onore del dio Conso (Consualia). Ma fu Tarquinio Prisco a lanciare i festeggiamenti dei ludi romani facendoli diventare la festa più importante della città, che cadeva attorno alla metà di settembre.

Nel 364 a.C., durante i ludi romani fu introdotta per la prima volta nel programma della festa una forma di teatro i LUDI SCENICI, per i quali fecero venire appositamente dei ludiones (cioè artisti e danzatori), dall'Etruria


I Ludi scenici consistevano in scenette farsesche, contrasti, parodie, canti e danze, chiamati FESCENNINI fescennina licentia. Durante i fescennini si svolgevano canti travestimenti e danze buffonesche caratterizzata dall’improvvisazione degli attori su un canovaccio. L’uso della maschera invece proveniva dalla Campania e più precisamente dalla città di Atela, da cui deriva il nome Atellana.


Lo spirito farsesco dei FESCENNINI Etrusci e dell’ATELLANA Campana, generò la prima forma drammaturgica latina di cui abbiamo notizia: la satura. "Satura quidem tota nostra est" diceva con orgoglio Quintiliano nel I secolo: rispetto ad altri generi importati, la satira (letteralmente 'miscuglio') è totalmente romana.


Queste manifestazioni, per lo più considerate come bassi divertimenti popolari, subirono la severità dei legislatori dell'epoca. Il carattere licenzioso e gli attacchi a personalità di spicco dell'epoca incorsero nello sfavore delle autorità, che misero dei limiti a queste rappresentazioni, con leggi austere a difesa dei costumi romani e persino la proibizione di posti a sedere nei teatri.

Non di rado i testi erano censurati, impedendo riferimenti diretti alla vita civile o politica, mentre era esaltato il gusto della gestualità e della mimica


A partire dal VI aC nel mondo greco-italico si assiste alla fioritura di spettacoli teatrali nei quali prevale l'aspetto buffonesco. 

A Roma, la provenienza di molti testi è di origine greca, in forma di traduzioni letterali o rielaborazioni (vertere), mescolate ad alcuni elementi di tradizione etrusca


Era anche d'uso la contaminatio, consistente nell'inserire in un testo principale scene di altre opere, adattandole al contesto. 


Con Andronico e Gneo Nevio, il teatro latino comincia ad acquisire una fisionomia propria. Nel 240 a.C. Livio Andronico, liberto di stirpe greca, fa rappresentare la prima vera opera teatrale della latinità. Mentre Andronico rimane legato ai modelli della commedia greca, Nevio propone drammi di soggetto romano, più originali nel linguaggio e ricchi di invenzioni nello stile, arrivando a inserire in una sua commedia una satira rivolta a personaggi contemporanei come Publio Cornelio Scipione, che gli valse il carcere: la satira personale fu in seguito espressamente proibita dalla legge.


Il prologo fu un'invenzione di Euripide. Un attore esponeva l'antefatto, la storia e la sua conclusione. In Plauto il prologo ha per lo più la funzione di esporre una interpretazione degli eventi, mentre in Terenzio diventa il modo di esporre, spesso polemicamente, le ragioni dell'autore.