Coppedè: il quartiere delle "Fate" (by Valeria Scuderi).



Se passeggiando lungo via Tagliamento, prima di giungere in piazza Buenos Aires, si devia per la breve via Dora, ci si sorprende di come lo scenario architettonico improvvisamente cambi di segno nell'entrare nel cosiddetto quartiere Coppedé, ovvero un insieme di palazzine e villini, capolavoro dell'architetto Gino Coppedé, che si distinse nella Roma del primo 900’ per la sua esuberanza decorativa, e per la vivacità delle sue creazioni stravaganti, fantastiche e fiabesche.


Chiamato a Roma alla fine del 1913, dai finanzieri Cerruti della società ‘Edilizia Moderna’, il fiorentino Gino Coppedé progetta un quartiere residenziale da inglobare all'interno del più ampio quartiere Trieste. 

I lavori dovettero interrompersi durante gli anni della prima Guerra Mondiale per poi riprendere negli anni 20' con un notevole ridimensionamento delle unità abitative che da 18 palazzine e 27 villini, si riduce a 10 palazzine e 12 villini, seppur con metratura superiore a quella precedentemente pianificata, e che saranno elegantemente rifiniti e corredati da moderni impianti igienici, ascensori e citofoni, così da venire incontro alle aspettative di un nuovo ceto alto borghese, che poteva finalmente realizzare il sogno di acquistare una casa prestigiosa grazie anche ai proventi di spregiudicate operazioni di speculazione finanziaria, operate durante gli anni della guerra. 


L'utilizzo del cemento armato, brevettato nella seconda metà dell'ottocento, permise di edificare in fretta nudi e scarni elementi strutturali, mascherati poi con decorazioni di abbellimento estetico, dove Coppedé riuscì a dare massimo sfogo alla sua fervida fantasia, arricchendo le facciate di vivaci affreschi, vetrate policrome, e ornamenti in stucco dai significati reconditi e simbolici.


Gli interni vennero abbelliti con maioliche smaltate, parquet in legno, mosaici in stile pompeiano e decorazioni in bachelite, un materiale simile alla plastica.


Purtroppo i lavori non furono mai portati a termine a causa dell’improvvisa morte dell’architetto, che si suicida a soli 61 anni in circostanze misteriose nel 1927, sembra soffrisse di cancro ai polmoni.


Il quartiere, rimasto dunque incompiuto, si è tutto sviluppato intorno alla ‘Fontana delle Rane’ e piazza Mincio, opera magna del suo ideatore, che lo concepisce come un piccolo villaggio suggestivo e irreale, che richiama con la sua varietà di stili più di un’epoca storica: simbologie rinascimentali, stemmi barocchi, torri gotiche, edicole sacre, lampadari neo gotici, archi trionfali presi a prestito dall’antica Roma, il villino delle fate, il palazzo Ospes Salve e quello del ragno: architetture dai nomi e dalle forme suggestive caratterizzate da decorazioni fantastiche che creano suggestivi effetti di luce-ombra che contribuiscono a dare all’insieme un aspetto spettrale e mistico.


Sebbene l'aspetto surreale e mistico del quartiere susciti nel visitatore sorpresa, interesse e curiosità, non si può dire che l'arte di Coppedé abbia avuto altrettanta fortuna con accademici e critici dell'arte, i quali si limitarono a bocciare la sua opera in modo frettoloso e superficiale, stigmatizzandola come minore e priva di stimoli originali, accusando Gino di aver mescolato in maniera casuale elementi presi a prestito da molteplici stilemi del passato, sintetizzandoli in maniera sterile in quello che sembra essere un vero e proprio 'horror vacui'.


Il forte impatto visivo, dato dall’uso di elaborati apparati decorativi d'impronta massonica, legati alle teorie liberiste dell’Art Nuveau, e alle filosofie legate al decadentismo, vennero accolte mal volentieri da una città come Roma, ancorata da sempre alla celebrazione del suo importante passato, e dove i regnanti sabaudi con la severa architettura umbertina, e il regime fascista con l’architettura littoria e razionalista, imposero dei chiari limiti dando vere e proprie linee guida agli artisti che andavano creando il nuovo tessuto urbano della città. 

​N​ella capitale con le sue stratificazioni millenarie di svariate epoche ogni nuova inserzione nel tessuto urbano doveva sottostare alla tacita regola dell’omogeneità e dell’integrazione, cosa impossibile o estremamente difficile se consideriamo che l'art nuveau nasce esattamente come rottura di ogni legame con il passato. 


Lo stile di questo “architetto decoratore” farebbe pensare a una espressione dello stile Liberty italiano, ma vi sono numerosi punti che rimangono oscuri nella rilettura stilistica del suo lavoro. L'evidente difficoltà ed imbarazzo da parte della critica nel dare una precisa definizione all'operato dell'architetto decadente, ha fatto si che essi finissero con il coniare un nuovo stile, per l’appunto lo stile Coppedè, che seppur celebrando l'artista, non ebbe modo di evolversi, proprio perché non vi furono altri artisti che ne seguirono le orme, dopo di lui.



Articolo di Valeria Scuderi, storic​a dell'arte e guida turistica abilitata che collabora con
l'associazione culturale Roma e Lazio x te  ​ ​

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Le fate, abitanti del villino
Cabiria, il colossal realizzato da Giovanni Pastrone nel 1914. il può famoso film italiano del cinema muto. Per questo film, che narrava le vicende di una fanciulla durante la seconda guerra punica, il regista chiese la collaborazione di Gabriele D’Annunzio, il quale ideò anche il nome della protagonista, Cabiria, nata dal fuoco. Il film è soprattutto noto, però, per la sua fotografia e per le ambientazioni magniloquenti e favolistiche, che avrebbero ispirato l’architetto Gino Coppedè.




















Bel Video pubblicato da Roma a Piedi



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