Se passeggiando lungo via Tagliamento, prima di giungere in piazza Buenos Aires, si devia per la breve via Dora, ci si sorprende di come lo scenario architettonico improvvisamente cambi di segno nell'entrare nel cosiddetto quartiere Coppedé, ovvero un insieme di palazzine e villini, capolavoro dell'architetto Gino Coppedé, che si distinse nella Roma del primo 900’ per la sua esuberanza decorativa, e per la vivacità delle sue creazioni stravaganti, fantastiche e fiabesche.
Gino Coppedè è un genio eclettico, innovatore, e visionario figlio d’arte, il padre era un famoso e quotato scultore ed ebanista, il fratello Adolfo era anch’egli architetto. Ad Adolfo ad esempio si deve il Palazzo della Borsa a Piazza De Ferrari a Genova.
La carriera di Gino si afferma quando incontra il banchiere scozzese Evan Mackenzie, che aveva comprato a Genova nella zona di Castelletto un terreno molto grande con un vecchio maniero. Coppedè suggerisce di non ristrutturare l’edificio preesistente, ma di farne uno nuovo più imponente. Ed ecco che nasce il “Castello MacKenzie”, il primo grandioso progetto di un giovane Coppedè, che diventa famosissimo a livello internazionale e viene celebrato come un genio dell’architettura.
Chiamato a Roma alla fine del 1913, dai finanzieri Cerruti della società ‘Edilizia Moderna’, il fiorentino Gino Coppedé progetta un quartiere residenziale da inglobare all'interno del più ampio quartiere Trieste.
Il nuovo quartiere rientra nel piano regolatore dell’ingegnere Sanjust di Teulada, che prevede l’ampliamento urbanistico della città, in una zona che all’epoca è ancora campagna e l’idea è di renderla dimora del nuovo ceto medio-borghese della capitale.
Coppedè ha in mente qualcosa di assolutamente innovativo per l’epoca, secondo lui la casa ideale per la nuova borghesia deve avere oltre alle camere, al salotto e alla cucina anche il bagno in casa, cose che a noi sembrano scontate, ma poco più di 100 anni fa non lo erano affatto.
I suoi palazzi saranno dotati di citofono, ascensore e dei garage. In un’epoca in cui quasi nessuno possedeva una macchina, sembra un'idea futuristica, ma Coppedè era convinto che da lì a poco tutti avrebbero posseduto una macchina, previsione più che mai veritiera.
In questi appartamenti manca però una stanza, quale?
La camera per la servitù, perchè in un mondo moderno e più ricco, le persone che lavorano a servizio, una volta espletati i loro compiti se ne tornano a casa loro.
Durante la progettazione del nuovo quartiere, Gino incontra Ernesto Nathan, sindaco di Roma e Gran Maestro del Grande Oriente, ovvero della Massoneria, e anche se non vi sono prove ufficiali di una adesione alla massoneria da parte di Gino Coppedè, le sue architetture e decorazioni dalla forte valenza simbolica ed esoterica, sembrano indicare che ne fu un profondo conoscitore.
I lavori, andarono a rilento, interrotti durante gli anni della prima Guerra Mondiale, ripartono negli anni 20' con un notevole ridimensionamento delle unità abitative che da 18 palazzine e 27 villini, si riduce a 10 palazzine e 12 villini, seppur con metratura superiore a quella precedentemente pianificata, e che saranno elegantemente rifiniti e corredati da moderni impianti igienici, ascensori e citofoni, così da venire incontro alle aspettative di un nuovo ceto alto borghese, che poteva finalmente realizzare il sogno di acquistare una casa prestigiosa grazie anche ai proventi di spregiudicate operazioni di speculazione finanziaria, operate durante gli anni della guerra.
L'utilizzo del cemento armato, brevettato nella seconda metà dell'ottocento, permise di edificare in fretta nudi e scarni elementi strutturali, mascherati poi con decorazioni di abbellimento estetico, dove Coppedé riuscì a dare massimo sfogo alla sua fervida fantasia, arricchendo le facciate di vivaci affreschi, vetrate policrome, e ornamenti in stucco dai significati reconditi e simbolici.
Gli interni vennero abbelliti con maioliche smaltate, parquet in legno, mosaici in stile pompeiano e decorazioni in bachelite, un materiale simile alla plastica.
Purtroppo i lavori non furono mai portati a termine a causa dell’improvvisa morte dell’architetto, che si suicida a soli 61 anni in circostanze misteriose nel 1927, sembra soffrisse di cancro ai polmoni.
Sebbene l'aspetto surreale e mistico del quartiere susciti nel visitatore sorpresa, interesse e curiosità, non si può dire che l'arte di Coppedé abbia avuto altrettanta fortuna con accademici e critici dell'arte, i quali si limitarono a bocciare la sua opera in modo frettoloso e superficiale, stigmatizzandola come minore e priva di stimoli originali, accusando Gino di aver mescolato in maniera casuale elementi presi a prestito da molteplici stilemi del passato, sintetizzandoli in maniera sterile in quello che sembra essere un vero e proprio 'horror vacui'.
Il forte impatto visivo, dato dall’uso di elaborati apparati decorativi d'impronta massonica, legati alle teorie liberiste dell’Art Nuveau, e alle filosofie legate al decadentismo, vennero accolte mal volentieri da una città come Roma, ancorata da sempre alla celebrazione del suo importante passato, e dove i regnanti sabaudi con la severa architettura umbertina, e il regime fascista con l’architettura littoria e razionalista, imposero dei chiari limiti dando vere e proprie linee guida agli artisti che andavano creando il nuovo tessuto urbano della città.
Nella capitale con le sue stratificazioni millenarie di svariate epoche ogni nuova inserzione nel tessuto urbano doveva sottostare alla tacita regola dell’omogeneità e dell’integrazione, cosa impossibile o estremamente difficile se consideriamo che l'art nuveau nasce esattamente come rottura di ogni legame con il passato.
Lo stile di questo “architetto decoratore” farebbe pensare a una espressione dello stile Liberty italiano, ma vi sono numerosi punti che rimangono oscuri nella rilettura stilistica del suo lavoro. L'evidente difficoltà ed imbarazzo da parte della critica nel dare una precisa definizione all'operato dell'architetto decadente, ha fatto si che essi finissero con il coniare un nuovo stile, per l’appunto lo stile Coppedè, che seppur celebrando l'artista, non ebbe modo di evolversi, proprio perché non vi furono altri artisti che ne seguirono le orme, dopo di lui.
l'associazione culturale Roma e Lazio x te
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Le fate, abitanti del villino |
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