Plotino ed il Neoplatonismo


Plotino (in greco antico: Πλωτῖνος, Plōtînos; Licopoli, 203/205 – Campania, 270) è considerato l’erede di Platone e padre del neoplatonismo, le informazioni che abbiamo su questo importante filosofo greco provengono dalla Vita di Plotino ad opera dell’allievo Porfirio, inserita come prefazione alle Enneadi. Plotino è uno degli autori con i quali la nascente filosofia cristiana dialoga di più, anche perché essa per la sua natura trascendente aveva più punti di contatto con una filosofia metafisica che non con una materialistica

Il filosofo di Licopoli, dove nacque nel 205, vive in un periodo in cui si sta affermando la filosofia cristiana e rappresenta l'ultimo grande rappresentante della cultura greca "classica", visto che riprende la strada tracciata da Platone e Aristotele e recupera la tradizione arcaica.

Questo filosofo nel 245, dopo un'esperienza a seguito della fallimentare spedizione dell'imperatore Gordiano in Persia, giunse a Roma, dove aprì una sua scuola filosofica

Dopo anni di insegnamento orale, cominciò a scrivere trattati nel 253 che vennero raccolti da Porfirio in 54 Enneadi

Era legato da rapporti di amicizia all'imperatore Galeno, che gli avrebbe permesso di realizzare il suo progetto di una città di filosofi, in Campania, se non fossero sorte delle gelosie di corte. Morì nel 270, e le sue ultime parole furono "Cercate di congiungere il divino che è in voi al divino che è nell'universo".

Il sistema metafisico di Plotino: l'Uno

La dottrina di Plotino nasce dalla constatazione che al vivere è essenziale l'unità. Mentre l'artigiano costruisce l'uno a partire dai molti, cioè assemblando più parti tra loro, la natura sembra operare in senso inverso: da un principio semplice fa scaturire il molteplice. La vita, secondo Plotino, non opera assemblando singoli elementi fino ad arrivare agli organismi più evoluti e intelligenti, ma al contrario, l'intelligenza dev'essere già presente dentro di lei.
Secondo Plotino il puro Uno è il principio ineffabile del Tutto.

L'Uno  non può contenere alcuna divisione, molteplicità o distinzione; l'uno è l'infinito trascendente.

Anche Parmenide, a cui Plotino intende esplicitamente richiamarsi, aveva individuato nell'unità l'attributo primario dell'essere (per un'impossibilità logica di pensarlo diviso). Ma nel rifarsi a lui, Plotino cerca di dare maggiore coerenza e organicità al pensiero di Platone, di cui si considera erede, conservando la nozione di filosofia come eros e come dialettica
Platone aveva posto al principio di tutto non l'Uno, ma una dualità, tentando così di fornire una spiegazione razionale al molteplice. Secondo Plotino invece la dualità è un principio contraddittorio, che egli collocherà piuttosto nell'Intelletto, da lui identificato anche con l'essere parmenideo. Plotino così pone l'Uno al di sopra dell'Essere a differenza non solo di Parmenide, ma anche di Aristotele e Platone.

L'Uno «non può essere alcuna realtà esistente» e non può essere la mera somma di tutte queste realtà (diversamente dalla dottrina stoica che concepiva Dio immanente al mondo), ma è «prima di tutto ciò che esiste». All'Uno quindi non si possono assegnare attributi. Ad esempio, non gli si possono attribuire pensieri perché il pensiero implica distinzione tra il pensante e l'oggetto pensato. Allo stesso modo, non gli si può attribuire una volontà cosciente, né attività alcuna. 


In [IV,5,6] Plotino paragona l'Uno al sole, l'Intelletto alla luce, e infine l'Anima alla luna, la cui luce è solo un «derivato conglomerato della luce del sole». Dell'Uno nulla si può dire, a meno di non cadere in contraddizione. L'Uno può essere arguito solo per via negativa, dicendo ciò che esso non è: quella di Plotino è pertanto una teologia negativa o apofatica, assimilabile alle religioni orientali come l'induismo, il buddhismo e il taoismo.

Plotino costruisce il suo sistema metafisico a partire dal mondo sensibile

Esso è costituito da una molteplicità di enti, eppure né il singolo nella sua individualità, né la molteplicità stessa degli enti nella loro totalità sarebbero concepibili e comprensibili se non ci fosse l'unità. Tolta l'unità è tolto l'ente; ci sono inoltre vari livelli di unità, ma tutti suppongono un principio estremo di unità, che Plotino definisce "l'Uno".

L'Uno è concepito da Plotino come infinito, e, come tale, a lui non si addice alcuna determinazione del finito, pertanto esso è ineffabile, cioè non si può dire ciò che è, ma ciò che non è, perché esso è al di là dell'essere. Questo tipo di comportamento di fronte alla divinità è definito teologia negativa. L'infinito non ha ne principio ne fine, ne conferenza ne centro, perchè la conferenza si allarga all'infinito e il centro può essere ovunque in questo infinito.

L'emanazione
L'Uno, essendo infinito, emana sostanza da sé stesso
L'Uno emana non per volontà ma per necessità, visto che la sostanza trabocca da esso, pertanto non c'è nessun creazionismo. 

Plotino dice che l'uno infinito non perde la sua potenza, così come il sole che irraggia l'universo con i suoi raggi di sole senza perdere potenza. Stessa cosa vale per l'Uno, che non risulta sminuito dal processo di emanazione.

Dobbiamo immaginare questo processo come appunto il sole che emana raggi di luce, l'uno emana sostanza

L'Uno è la prima ipostasi della materia, dove ipostasi è per Plotino lo stato della sostanza nel momento in cui si trasforma in altro rispetto a quello da cui deriva. Essendo il processo di emanazione un processo di decadimento, altrimenti l'Uno emanerebbe sé stesso, non esiste ipostasi più perfetta dell'Uno stesso

Allora cosa succede alla sostanza emanata? 
Man mano che si allontana dall'Uno passa per la seconda e la terza ipostasi, fino a diventare materia. Quindi queste ultime due ipostasi sono le mediatrici tra il principio originatore e la materia, l'essere.

La seconda ipostasi è l'intelletto, che pensa a sé stesso e nello stesso tempo è pensato, e rappresenta quindi una unificazione del motore primo immobile di Aristotele (atto puro) e il mondo delle idee platonico.

La terza ipostasi è l'anima, che, come il demiurgo platonico, guarda all'Uno e all'intelletto da una parte, dall'altra plasma la materia a somiglianza di quelle. In particolare, essa partecipa alla materia e quindi richiama il logos degli stoici, che penetra nella materia, principio passivo, dandole forma e governando il mondo.

Alla fine di questo processo di emanazione c'è la materia, che è il venir meno della potenza generatrice dell'essere. Pertanto essa rappresenta il male (lo scarto), che al contrario per Platone era una semplice di assenza di bene.

Plotino e la Gnosi
All'epoca in cui scriveva Plotino c'era la setta cristiana degli gnostici, che affermavano che il mondo in quanto tale fosse il frutto di una creazione di un dio minore e malvagio, e che pertanto rappresentava l'errore di Dio

Vedevano inoltre Gesù Cristo come il salvatore di questo mondo rifiutato dagli uomini. I padri della Chiesa si opposero a questa visione del mondo, impugnando il libro della Genesi, nel quale emerge una visione positiva del cosmo e del creato. Anche Plotino, essendo comunque un greco, scrive contro gli gnositici in una Enneade nella quale difende la bellezza del cosmo, pur affermando che la materia è il male. Questo rimane un punto controverso della filosofia di Plotino, che sembra quasi affermare sia una cosa sia il suo contrario.

Ma la filosofia di Plotino ritorna anche nella filosofia moderna, infatti Liebnitz, affrontando il tema della teodicea, afferma che Dio non può creare un cosmo perfetto perché altrimenti creerebbe sé stesso, e quindi ha creato il miglior cosmo possibile, che è bello nel complesso anche se esiste il male.

Plotino

L'estasi in Plotino
Secondo Plotino l'anima dell'uomo è incarcerata nel corpo a causa di una colpa originale, anche se essa è di natura divina. Pertanto se l'uomo vuole elevare la sua anima all'Uno deve uscire da sé stesso (estasi).

Come il processo di emanazione è una "via all'ingiù" così il processo di elevazione è una "via all'insù", e ambedue sono le medesime, come dice Plotino citando Eraclito. Quindi bisogna risalire al contrario la via che dall'Uno porta alla materia. Ma in che modo? Plotino indica che è possibile farlo praticando la virtù, contemplando la bellezza e studiando la filosofia. Infatti la virtù ci purifica, la contemplazione della bellezza ci permette di cogliere la manifestazione dell'uno e la filosofia ci permette di "vedere" il mondo intelligibile. Pertanto per avvicinarsi all'Uno, non bisogna credere ma comprendere. Ecco che qui emerge il contrasto tra le fede e la conoscenza. Seguendo queste indicazioni alla fine l'uomo riesce a raggiungere l'estasi.

Inoltre in Plotino vengono reintrodotte le antiche divinità olimpiche, che però non intervengono ad aiutare l'uomo, ma guidano ugualmente i suoi passi, come frammenti visibili di quella luce alla quale l'uomo aspira, l'Uno.  

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Dalle Enneadi secondo Plotino: il primo bene e tutti gli altri

Oubliette Magazine 20/04/2019 14

“Come negare che il bene individuale non sia altro che l‘attività di vita secondo natura?”


Plotino (Licopoli, 203/205 – Minturno (o Suio), 270) è considerato l’erede di Platone e padre del neoplatonismo, le informazioni che abbiamo su questo importante filosofo greco provengono dalla Vita di Plotino ad opera dell’allievo Porfirio, inserita come prefazione alle Enneadi.

Le Enneadi (in greco antico: Ἐννεάδες, Enneádes) sono composte da sei gruppi di nove trattati ciascuno. Porfirio ordinò i trattati in senso ontologico con lo scopo di tracciare un percorso per il lettore per il raggiungimento del superamento della condizione terrena e, dunque, per giungere alla comprensione della filosofia.

Gli scritti di Plotino hanno ispirato teologi, mistici, cristiani, musulmani, ebrei, gnostici e metafisici pagani.

Porfirio principia così la biografia: “Plotino, il filosofo del nostro tempo, sembrava vergognarsi di essere in un corpo. Per questa disposizione d’animo, non voleva raccontare nulla né della sua nascita, né dei suoi genitori, né della sua patria. Disprezzava talmente il posare per un pittore o per uno scultore che, quando Amelio gli chiese di lasciarsi fare un ritratto, risposte: Non solo è già abbastanza trascinare quest’idolo con cui la natura ci ha avvolti, ma voi pretendete addirittura che io acconsenta a lasciare un’immagine di questa immagine molto più duratura, come se fosse un’opera degna di essere contemplata?”

Nella prima “puntata” di questo excursus nel mondo di Plotino vi abbiamo illustrato quattro paragrafi tratti dal primo trattato della prima Enneade “Che cos’è il vivente e chi è l’uomo” nei quali Plotino introduce con uno schema chiaro l’esposizione per la quale si esamineranno le questioni delle passioni e delle sensazioni connesse all’Anima ed al corpo. Nella seconda puntata denominata “Le virtù” (secondo trattato della prima Enneade) si andrà a leggere una riflessione sulla possibilità del vivente di assomigliare a Dio grazie alle virtù e grazie alla fuga dal mondo materiale.

“La dialettica” è stato, invece, l’argomento del terzo trattato della prima Enneade nel quale si illustrano le tre tipologie di uomini che possono ambire all’ascesa: il filosofo, il musico e l’amante.

Il quarto trattato “La felicità” (quarantaseiesimo trattato) fonda la sua base sulla domanda: “viver bene coincide con l’essere felici?” ed è fortemente connesso con il quinto trattato, “Se l’essere felice aumenta col tempo” (trentaseiesimo trattato), e riguarda propriamente il problema della connessione tra il tempo e la vita felice, spiega come la felicità esista solo nel presente. “Il Bello”, sesto trattato, è cronologicamente il primo trascritto da Plotino dopo anni di sola oralità, fortemente ispirato a Platone ed all’idea della bellezza.

Questo settimo trattato, “Il primo bene e tutti gli altri”, è il cinquantaquattresimo ergo l’ultimo scritto che Plotino ha composto prima della morte. Porfirio decide di far seguire al trattato sul Bello (il primo) quello sul Bene (l’ultimo) per simboleggiare il corso della vita del suo maestro: ha iniziato con il Bello, considerato ciò che è più vicino al Bene per concludere con il Bene e l’Assoluto.

Il Bene è, dunque, visto come principio da cui tutto dipende e fine a cui tutto tende. Ogni essere partecipa del’Uno-Bene, partecipe di Unità, di Essere e di Forma; gli esseri naturali dipendono dall’Anima ed ad essa tendono tanto quanto l’Anima dipende dall’Intelligenza, ad essa tende e mediante essa dipende dal Bene ed ad esso tende.

Sulla morte Plotino si esprime con benevolenza in quanto l’Anima virtuosa vive come se non avesse il corpo, dunque la morte non è un male ma essendo la separazione dal corpo è da considerarsi come un bene.

Di seguito il primo paragrafo del trattato, l’argomento è esposto in tre paragrafi e dunque si invita il lettore coscienzioso all’acquisto del volume riportato in bibliografia.

Enneade I 7, 1
E nel caso il vivente fosse composto di più parti, non è forse vero che il suo bene corrispondente all’attività specifica della sua parte migliore, che per natura è indefettibile?[Come negare che il bene individuale non sia altro che l‘attività di vita secondo natura?

L’attività dell’Anima è dunque il suo bene naturale; e siccome l’anima è di natura eccellente, orienta all’eccellenza il suo stesso agire: e quindi questo non sarà bene solo per lei, ma il Bene in senso vero e proprio.

Se, quindi, c’è qualcosa che non rivolge la sua azione ad altro, perché è il migliore degli enti, o addirittura perché è al di sopra degli enti, di modo che sono questi e rivolgersi a Lui, allora esso è senz’altro il Bene che rende possibile la partecipazione a sé per le altre cose.

Tale partecipazione può avvenire in due modi: o per assimilazione, oppure perché si realizza la propria attività nella prospettiva del Bene.

Se, dunque, il desiderio e l’attività si compiono in vista del Sommo Bene, è necessario che questo Bene non si rivolga ad altro e non desideri nulla, nella pace della sua condizione, ma si realizzi come fonte e principio delle azioni naturali, che ha il potere di rendere formalmente buone le altre realtà, senza aver bisogno di attivarsi nei loro confronti, perché sono esse a volgersi a Lui.

In tal senso, si caratterizza come bene non in quanto agisce o in quanto pensa, ma semplicemente per la sua stabile permanenza; e dato che è al di sopra dell’essere, al di sopra dell’attività, dell’Intelligenza e del pensiero.

È altresì necessario concepire il Bene come ciò da cui tutto dipende, e che, a sua volta, non dipende da nulla: questo appunto verifica la tesi secondo cui egli è l’oggetto a cui aspirano tutte le cose.

E, dunque, è necessario che Egli permanga, affinché tutte le cose si rivolgano a Lui, come avviene in una circonferenza rispetto al centro, da cui partono tutti i raggi.

Un caso paradigmatico è fornito dal Sole, il quale è centro di diffusione di una luce che pure non si stacca da lui; anzi, essa non smette mai di essere, inseparabilmente unita a lui, tant’è vero che anche a volerla rescindere, essa rimarrebbe sempre dalla parte del Sole.