La Grande Madre e il Mistero della Trinità (Il Matriarcato: Ma, Maia, Mater Matuta, Bellona, Cibele e la Magna Mater)

 

DEE CELTICHE

La Grande Madre e il Mistero della Trinità
Articolo tratto da Romano impero
"Come tutte le Dee anche Jana trifrons è mimetizzata nell'iconografia cristiana. 
Questo affresco della Madonna "Jana" si trova nell'abbazia San Pietro di Perugia incassato, quasi inghiottito, nel nuovo chiostro seicentesco .L' affresco più unico che raro, rappresenta la Trinità tricefala come rappresentazione della Trinità. 
L'affresco è di scuola giottesca o arnolfiana, considerata poi eretica tanto che fu vietata nel 1628 da papa Urbano VIII nel concilio Tridentino. 
Valentino Martelli, che era stato progettista del chiostro che ha occultato gli affreschi, decise saggiamente d’infossare l’affresco in odor di eresia, senza murarlo.
Il suo gesto ci permette perciò di rimirare quest’opera e di notarne un altro dettaglio di gran lunga più stuzzicante. 
L'intrigante abbazia di San Pietro, si erge dove esisteva la primitiva chiesetta di San Pietro, e non sorgeva affatto entro le mura etrusche di Perugia ma ben distante da esse, a un chilometro e 100 metri per l’esattezza, immersa nella fitta boscaglia di una collinetta che cinge Perugia, il Monte Caprario o Comploiano.
La Madonna "Jana", in realtà viene descritta ufficialmente come una Trinità maschile. Inutile quindi, come visitatori, chiedere della Madonna Tricefala. 
La trasformazione delle divinità femminili celte in divinità maschili era già stata fatta dai Romani, e " sdoganata "dal popolo con la celebre lapidaria frase "Si Deus Si Dea" "Vitiligatores."

In realtà la Grande Dea, o Grande Madre, fu triforme fin dalla notte dei tempi, lo fu talmente che la Chiesa Cattolica per toglierla dalla testa della gente si inventò una improbabile SS. TRINITA' di cui il Cristo non ha mai saputo o detto assolutamente nulla. Siccome però la Chiesa cristiana era decisamente maschilista, tolse ogni traccia di femminile e la inventò praticamente tutta maschile.

Il culto della Grande Madre risale al Neolitico e pure al Paleolitico, come si evince dalle numerose figure femminili steatopigie (cosiddette "Veneri") ritrovate in tutta Europa, le innumerevoli Dee senza nome.

Col tempo la Grande Dea assumerà personificazioni distinte, per amore e sesso, come Ishtar-Astarte-Afrodite e Venere, o per la fertilità dei campi, come Demetra e Proserpina o Cerere e Core, oppure alla caccia, come Kubaba, Cibele, Artemide e Diana.

LA DEA TRIFORME 
Era Dea delle fiere nel suo aspetto terreno e diurno di cacciatrice, Dea del cielo nel suo aspetto notturno di Luna e Dea degli inferi nel suo aspetto di Regina dei morti.

JANUA LA MADONNA DI PERUGIA
Anche nelle antiche mitologie indo-europee, le Grandi Dee erano triadi: le greche Moire, Grazie, Parche e le nordiche Norne, le Tanfanie o Aufanie che presidiavano le valli e le fonti, le Gorgoni, le Sirene della Trinacria o erano singole divinità ma raffigurate in tre aspetti, come la greca e poi romana Ecate. Sicuramente erano triformi in epoche remote le Muse. le Arpie e pure le Erinni.
A lei è legato ogni ciclo di morte-rinascita e pure la Luna che la rappresenta, infatti i più arcaici di questi riti sono riservati alle donne, come quello di Mater Matuta o della Bona Dea.

Nei testi la Selene, Dea Luna, a tre facce è identificata con le tre Grazie, le tre Moire, e le tre Parche; spesso ci si rivolgeva ad essa con i titoli di parecchie Dee:
« .. loro ti chiamano Ecate,
dea dai molti nomi, Mene,
Artemide lanciatrice di dardi, Persefone,
Signora dei cervi, luce nel buio, dea dai tre suoni,
dea dalle tre teste, Selene dalle tre voci,
dea dal triplo volto, dea dal triplo collo,
dea delle tre vie, che tiene,
la fiamma perpetua in tre contenitori,
tu che offri la tripla via,
e che regni sulla tripla decade.
 »

Attraverso il telaio la Dea creava il mondo che elle stessa nutriva e poi come Penelope, disfaceva per rieditarlo da capo. Un po' cime la vegetazione annuale. Il labirinto, il telaio, la tela, la ragnatela, la noce, sono simboli del cervello e quindi dell’anima, per questo all'antica Diana Caria era sacra la noce e l'albero del noce, e le Dee Primeve, o Primigenie furono maghe e tessitrici, di ragnatele come Aracne, di tele come le Parche o le Moire:
E Làchesi canta le cose che furono, Cloto le presenti, Atropo le cose che saranno. E Cloto con la mano destra … fa volgere … l’esteriore rivoluzione del fuso. Atropo invece colla mano sinistra mette in moto a regolari intervalli la rivoluzione interna. Làchesi da ultimo, alternativamente, va regolando ora l’una ora l’altra rivoluzione, con l’una mano e con l’altra” (Platone. “Politeia”, I dialoghi).

La Grande Dea, o Grande Madre era:
madre degli Dei, degli uomini, della natura, madre di tutte le cose... l'Origine" 
quel che poi passò al cristianesimo come l'Alfa e l'OMEGA. Ella è dunque la Causa e l'Effetto della causa:
"tu sei la fine, e tu sola regni su tutto.
per tutte le cose che provengono da te, e che agiscono in te...
tutte le cose, giungono alla loro Fine.
 »

NINHURSAG LA TRIPLICE
(detta anche Ki o Aruru) regnò in area messopotamica, presso i Sumeri, dal V millennio a.c. e rappresentava la Terra, formando con il Dio An la Montagna cosmica An-Ki.
Ninhursag impastò l'argilla per plasmare sette copie di sé stessa da porre alla sua sinistra (donne) e sette, invece, alla sua destra (uomini). Con una serie di incantesimi animò le immagini, il che le determina come Dea Maga.

LE MATRES
Avendo creato prima le donne e poi gli uomini si comprende che era ancora la donna la creatura preminente nella società. Insomma si è nel matriarcato, poi il patriarcato cambierà le cose, facendo sorgere la donna addirittura da una costola di Adamo, insomma un sottoprodotto di maschio.

Come Ninmah, era la "Signora maestosa", la Regina; come Nantu, "colei che partorisce", era la Dea protettrice del parto; come Ninhursag, era la madre di tutte le creature viventi, come Nin-hur-sag era la "Signora delle colline", come Nintur la "Signora delle nascite" e come moglie di Enki era solitamente chiamata Damgalnunna.

Presso gli Accadi era conosciuta come Belet-ili "Signora degli Dei" ed ebbe pure il nome di Mama.
Ora MAMA, o MAMI, o MAMMONA o MAMMOSA o MUT o MAAT, è chiaro che si tratta sempre della Madre Terra.

In qualità di Madre del mondo conosciuto ebbe tre immagini: colei che fa nascere, colei che nutre e colei che fa morire.

IBN ARABI E LA TRINITA'
Il mistico sufista, Ibn Arabi (1165-1240):
« Io seguo la religione dell'Amore,
Adesso vengo spesso nominato
ora monaco cristiano,
ora saggio persiano. »

« La mia appartenenza è il tre,
tre che può essere anche uno;
molte cose appaiono come tre,
ma non sono più di una cosa sola. »

« Non datele nome,
Come se servisse a limitarla ad una cosa sola
alla vista della quale
tutte le limitazioni si confondono. »

CAUSA ED EFFETTO
Carl Gustav Jung per spiegare il processo divinatorio su cui aveva impegnato una ricerca e una tesi di laurea, chiese aiuto al fisico Wolfgang Pauli, Premio Nobel 1945.
Lo studio congiunto dette luogo a uno schema a croce:

Energia indistruttibile
Causalità ------------ + -------------- Sincronicità
Continuum spazio-temporale

dove accanto a spazio, tempo e causa-effetto era introdotta la Sincronicità, cioè quelle coincidenze significative che correlano e fanno accadere sincronicamente — senza causa apparente — circostanze conformi l’una con l’altra, come se in alcuni casi il tempo-spazio seguisse regole più particolari e misteriose.
Ovviamente in quest'ambito accadrebbero non solo le divinazioni ma pure i miracoli, che non sono appannaggio di una religione perchè ogni religione ha avuto i suoi. Insomma i fedeli ci mettono la fede e la Dea l'opera. 

A parte i Vangeli che risalgono a due millenni, i miracoli normalmente li fa la Madonna e non il Cristo, anche perchè i fedeli si fidano molto di più di chiedere favori a una divinità femminile che ad una maschile, tanto più che il Dio maschio viene presentato come vanitoso, accentratore, punitivo ed egoista. Se la causa non è benevola, sicuramente non lo sarà nemmeno l'effetto.

IL TRIANGOLO SACRO
Secondo Winchelmann gli Egizi solevano presentare il sesso femminile con un triangolo ed altrettanto accadeva per la rappresentazione della Dea triforme. In seguito il Dio padre altro non fece che girare il triangolo verso l'alto e farne il suo simbolo. Ma mentre il triangolo in basso è Terra e istinto, il triangolo in alto è Mente e leggi.

Quel triangolo fu una vera benedizione, perchè la trinità femminile delle Dee divenne la trinità santissima del Dio unico, con una sequela di incongruenze. Per giunta ci appiccicarono al centro un'occhio, come a dire: "Aho, guarda che LUI ti sta guardando, occhio eh?" Dimodochè i fedeli si sentono in imbarazzo pure quando vanno al cesso.

LA DEA A TRE TESTE
Fin dal paleolitico la grande Dea era la Luna, nelle sue tre manifestazioni: Vergine, Ninfa, Vegliarda, che corrispondono alle tre fasi lunari e alle tre stagioni dell'anno (primavera, estate, inverno).

La Vergine era la Dea che partoriva senza marito, quindi causa di tutte le nascite sulle terra, di uomini, animali e piante.
La Ninfa era colei che si accoppia con tutti e tutto, insomma un po' ninfomane, come lo era la Iside egizia, definita la Grande prostituta, quindi Dea dell'amore sessuale.
La Vegliarda era invece identificata con la Madre Terra, che all'inizio dell'anno produce foglie e boccioli, poi fiori e frutta, infine isterilisce. (In seguito la Dea fu identificata con un'altra triade: la vergine dell'aria, la ninfa della terra e la vegliarda del mondo sotterraneo: Selene, Afrodite, Ecate.)

Così la videro vari autori tra cui Jung, con una interpretazione che poco ci azzecca con la realtà dei tempi. 

Diciamo che in epoca primitiva, non essendoci quella parte fortemente mentalizzata caratteristica della civiltà, gli umani vedevano la natura come era, cioè madre, nutrice e datrice di morte.

Così infatti è la natura che procura anche a noi umani la nascita, essendo noi parte di lei, che ci nutre appunto con i prodotti della terra e che ci riaccoglie nel suo grembo destinandoci alla morte. 

ECATE TRIFORME
Questa realtà così semplice ha staccato la testa di quasi tutta l'umanità, che a costo di una parziale schizofrenia si è adoperata artatamente di spiegare che non è così, che la Natura non c'entra niente, anzi Lei è un prodotto secondario del Dio Maschio (quello primario sarebbe l'uomo).

Noi saremmo dunque figli di Dio e non della Natura a cui pertanto non dobbiamo nulla e la possiamo trattare anche malissimo, perchè Dio ci ha nominato suoi padroni.

Essendo figli speciali Dio ci ha riservato un destino speciale, noi non moriamo come animali e piante, strano perchè scientificamente siamo proprio animali, ma con la mente intatta e senza corpo veleggeremmo verso mondi di premi discutibili e punizioni ultranaziste.

Perchè l'uomo si e gli animali no? Perchè la Chiesa ha stabilito che gli animali non hanno un'anima, ma forse l'anima facevano fatica a vederla, o non sapevano neppure cosa fosse, perchè dibatterono a lungo sul fatto che le donne avessero o meno un'anima. 

Alla fine decisero che l'anima c'era, perchè altrimenti le donne li mandavano tutti a farsi fottere. Niente anima? Allora non vado in chiesa, non ti pulisco i pavimenti di diocesi conventi scuole ecc., non ti faccio regalie, non ti assisto se ti ammali, non ti cucino non ti lavo le tovaglie d'altare e neppure le mutande, per giunta faccio sesso come cavolo mi pare. 

No, non si poteva accettare, era bello poter finalmente stabilire che la donna era un animale senz'anima e quindi inferiore, ma si sarebbero persi troppi vantaggi e troppi bisogni sarebbero rimasti insoddisfatti. Per giunta parecchi secoli dopo un certo Papa Vojtiyla disse che anche gli animali avevano un'anima e andavano in paradiso. 
Ma che ci andavano a fare? A loro la visione di Dio non li toccava, semmai una visione di un Dio cane, gatto, orso, ecc. ma possibile che l'unico Dio fosse così compiacente da trasformarsi? Rigido com'è, sarebbe difficile da credere.

CONCLUSIONI
LA TRINITA' della Grande Dea era un mistero connclamato per la mente, ma difficile da comprendere interiormente, tanto è vero che questo Mistero fu poi la matrice dei SACRI MISTERI.

LE NORNE
Essendo generatrice, nutritiva e mortifera ella riassumeva tre aspetti un uno, perchè trattavasi sempre della Dea NATURA.

La TRINITA' del Dio unico, si può sapere che ci azzecca?
C'è un Padre, c'è un Figlio (che è morto e risorto una sola volta, mentre quello della Dea Vergine moriva e risorgeva ogni anno) e c'è uno Spirito Santo che ha il simbolo della colomba, cioè della Grande Madre, ma che Grande Madre non è. Non solo non è Madre ma addirittura ingravida una donna al posto di Dio, cioè una colomba ingravida una donna?

E' un gran papocchio da cui la chiesa stessa non seppe mai districarsi, tanto è vero che dopo aver abbrustolito parecchi eretici che si ribellavano a uno spirito santo che non fosse madre, dichiarò spudoratamente che era un mistero per cui nessuno poteva pretendere di capire. Tranne la chiesa che però l'ha avvolto in uno oscuro silenzio perchè non sa cosa inventarsi.

CULTO DI MA
Ma è stato interpretato come una dea madre , ma al tempo stesso come una dea guerriera, come il suo nome e epiteti indicare sia.
Lei è stato associato con la transizione dell'età adulta di entrambi i sessi, e la prostituzione sacra era praticata durante i suoi festival biennali.
Ma è stato identificato con un certo numero di altre divinità, che indica la sua funzione. Lei è stato paragonato a Cibele e Bellona . Gli antichi greci rispetto Ma alla dea Enyo e Atena Niceforo. Plutarco la sua paragonato con Semele e Athena. Ma è stato introdotto e adorato in Macedonia insieme ad altre divinità straniere.
Ma è descritto come una dea anatolica locale, con il suo culto incentrato suo tempio a Komana in Cappadocia. Il suo tempio a Comana è descritto a lungo da Strabone (XI, 521, XII, 535, 537).
Maia era un’antica Dea del fuoco e del calore sessuale, e la sua festa si celebrava il primo Maggio, proprio il giorno in cui si festeggia la Madonna. Le si attribuisce la radice Ma come Madre ma pure come Maius quindi maggiore ed abbondante.
Ogni 1º maggio, il Dio Vulcano, cioè i suoi sacerdoti, le offriva in sacrificio una scrofa gravida, in modo che anche la terra fosse gravida di frutti. Il che fa pensare a una Dea Madre che governa i vulcani, pertanto Dea del fuoco.
Il nome maggio deriva da lei e la sua festività era il primo giorno del mese, giorno oggi dedicato alla Madonna. Anche il nome maiale deriva da lei, dal latino "sus maialis". Le sue origini sono greche, da Maia che significa “nutrice”

Maia, figlia di Atlante, era la ninfa più bella delle Pleiadi, figlia di Atlante (il gigante condannato a reggere il mondo sulle spalle) e di Pleione (anche lei una ninfa oceanina). Fu amata da Zeus e partorì Ermes (mercurio).
Fu anche la nutrice di Arcade, il figlio di Zeus e della ninfa Callisto: da Arcade prese nome l'Arcadia.
Maia partorì Hermes, o Mercurio e lei passò in secondo piano. Sicuramente agli inizi era il figlio che muore, resuscita e s’accoppia con la Dea Madre.
Infatti Mercurio ha il lato infero in qualità di “psicopompo”, cioè accompagnatore di anime, come la Lasa etrusca aveva ali, però lei sulle spalle e lui ai piedi. Maia lasciò il trono Olimpico ai maschi come fece Estia, a significare la variazione del culto da femminile a maschile.

VULCANO E MAIA
A Roma questa ninfa fu identificata con una Dea italica preesistente, Maiesta (da cui la parola maestà) o Maia; era madre e moglie di Vulcano, esprimendo così la forza del fuoco distruttivo.
Però aveva come Dea della natura, un aspetto anche benevolo, come fertlità e nutrimento dei campi, e come colei che annunciava la primavera.
Sembra venisse invocata anche come garante dei contratti agricoli o del bestiame. Se le fu dedicato un mese. quello di maggio, si può capire quanto fosse importante questa divinità in epoca arcaica.
Maio è il nome dell'albero Maggio-ciondolo che fiorisce in Maggio, e prende il nome da Maia, come Dea portatrice di doni, rieccheggiato poi nell'"albero della cuccagna".
Era considerata connessa a Fauna, la compagna di Fauno, ma pure a Flora e alla Bona Dea, Dee anch'esse della primavera.
Macrobio riferisce che la compagna di Vulcano sarebbe Maia, giustificando questa affermazione con il fatto che il flamine di Vulcano sacrificava a questa Dea alle calende di maggio, mentre secondo Pisone la compagna del Dio sarebbe Maiesta, che è però la stessa Dea. Anche secondo Gellio Maia era associata a Vulcano, citando i libri di preghiere in uso ai suoi tempi.

il maggiociondolo, la torcia infuocata, la cornucopia.
  • Mara
  • Maiesta
  • Mammona (divenuta un diavolo nel cattolicesimo).
  • Mamma Mammosa - la natura visibile
  • Mamma Mammona, la natura invisibile, ovvero l'energia divina che la governa.
A Firenze, in via Strozzi, si è trovata un'epigrafe frammentaria dedicata al Dio Mercurio e alla madre Maia, probabilmente vi era un tempio a loro dedicato.

BIBLIO
- Esiodo - Teogonia -
- Walter Burkert - Greek Religion - 1985 - section III -
- Michael Ventris e John Chadwick - Documents in Mycenaean Greek (Documenti in lingua Greco-Micenea) - Cambridge UP - 1956 -
- Caius Plinius Secundus - Historia naturalis 

CULTO DELLA MATER MATUTA



Lucrezio - De rerum natura
"Così a un'ora fissa Matuta soffonde con la rosea luce
dell'aurora le rive dell'etere e spande la luce...
è fama che dalle alte vette dell'Ida si assista
a questi fuochi sparsi quando sorge la luce,
poi al loro riunirsi come in un unico globo
formando il disco del sole e della luna

dell'aurora le rive dell'etere e spande la luce...
è fama che dalle alte vette dell'Ida si assista
a questi fuochi sparsi quando sorge la luce,
poi al loro riunirsi come in un unico globo
formando il disco del sole e della luna "

IL MITO GRECO
Nel Museo Nazionale Romano si conserva una pittura del I sec. della "Casa della Farnesina" dove Leucotea allatta Dioniso. Secondo la leggenda la Mater Matuta era Ino-Leucotea, approdata a Roma dopo il suicidio e la sua trasformazione in Dea marina.
Ino, figlia di Cadmo, era la seconda moglie di Atamante, col quale aveva avuto due figli, Learco e Melicerte. Poiché aveva persuaso Atamante ad accogliere il piccolo Dioniso, e ad allevarlo insieme ai loro figli, Era si era incollerita perché avevano accolto un figlio degli amori adulterini di Zeus, e pertanto li fece impazzire entrambi.
Atamante uccise Learco con uno spiedo, scambiandolo per un cervo, e Ino gettò in un paiolo d'acqua bollente Melicerte e poi si gettò in mare con il cadavere del bambino.
Le divinità marine ebbero pietà di lei e la trasformarono in una Nereide col nome di Leucotea, la Dea Bianca, mentre il figlio diventava il piccolo Dio Palemone.
Infatti il corpo del bambino era stato trasportato da un delfino fin sull'Istmo di Corinto e qui venne raccolto da Sisifo, fratello di suo padre Atamante, il quale lo seppellì, gli innalzò un altare vicino ad un pino e gli tributò onori divini, facendone il nume tutelare dei giochi Istmici, protettore dei naviganti.
Di Ino-Leucotea, che diverrà poi Mater Matuta, Ovidio racconta che al suo arrivo a Roma aveva incontrato le Baccanti che celebravano i riti dionisiaci, le quali, istigate da Era, che ancora non aveva perdonato ad Ino di aver fatto da nutrice a Dioniso fanciullo, si erano scagliate su di lei e stavano per straziarla.
Alle sue grida era accorso Ercole, che si trovava nelle vicinanze, e l'aveva liberata; l'aveva poi affidata a Carmenta, madre di Evandro, la quale le promise che a Roma le sarebbe stato tributato un culto insieme al figlio, che sarebbe stato onorato col nome di Portunno.
Leucotea è la Grande Madre, la Dea Bianca a cui Robert Graves dedicò il suo libro.

IL MITO ITALICO
La Mater Matuta è una Dea italica preromana e non proveniente dalla Grecia, anche se poi vi fu un assimilazione con la Leucotea ellenica. La Dea risale al matriarcato e se ne hanno tracce visibili fin dal 1500 a.c. Ma della Grande Madre si hanno tracce in ogni parte del mondo, fino a 30.000 anni fa. La figura accanto, la Grande Madre di Willendorf, risale a 22000 anni a.c.
Il Museo Campano, singolare e preziosa collezione di reperti sacri, accoglie le spoglie di un tempio arcaico scoperto nel 1873, in cui si rinvennero molte statue di tufo o di pietra con donna seduta con uno o più pargoletti tra le braccia.
Di solito le Dee invece del pargolo portavano i loro attributi, ma solo una Dea portava un melograno in una mano e una colomba nell'altra, così dissero che era la "Mater Matuta", antica divinità italica dell'aurora e della nascita e le "madri" erano ex voto, per grazia ricevuta, cioè per aver messo alla luce un bimbo.
La Dea del santuario è una donna seduta su trono del sec. V-IV a. c., con una colomba su una mano e sull'altra un melograno, quindi non solo Dea del parto. Il melograno era per l'epoca l'ultimo frutto della stagione, che alla sua maturazione si spaccava e lasciava scorgere i suoi semi, che per giunta erano commestibili.
Non a caso Persefone, o Kore, mangia nell'Ade i 7 frutti di melograno acquisendo la proprietà di partecipare ad ambedue i mondi, sulla terra e negli inferi.
Però la scultura più antica del Museo Campano è la donna seduta con bimbo che è antecedente alla Dea, insomma una Dea più arcaica, ma la più curiosa è una sfinge accovacciata sulle zampe posteriori con ali piegate e cinque coppie di mammelle, anche questa un'antica immagine della Grande Madre.
Ora la sfinge è un'immagine della Grande Madre molto arcaica, è il mistero della natura, il che fa capire che tutte le immagini fossero della Mater Matuta.
La Mater Matuta è la manifestazione della Dea Natura, anticamente c'era la Mamma Mammosa, detta anche Mammona, e la Mater Matuta, di cui la prima era la parte invisibile della Dea, e di cui la seconda, la terra, era la parte visibile.
Nella destituzione patriarcale della Grande Madre, Mammona decadde e nel Nuovo Testamento diventò il diavolo. Successivamente, quando il cristianesimo proibì i culti pagani, gli autori parlarono di Natura Naturans e Natura Naturata, era la stessa cosa detta in modo più ermetico.
Poichè il ciclo naturale delle messi implica la morte del seme, perché esso possa risorgere nella nuova stagione, la Grande Madre è connessa al ciclo di morte-rinascita.
Il cinerario è in forma di statua femminile
, che regge sul grembo un bambino, avvolto in un panno. La figura è seduta su un trono, di forma cubica, con i braccioli pieni a forma di sfinge accosciata con le ali aperte.
La testa, mobile, fungeva da coperchio; ugualmente mobili sono i piedi. Il corpo, che fa un tutt'uno con il tronco, fu probabilmene ricavato da un unico blocco di pietra. Nell'interno della statua furono rinvenuti l'oinochòe plastica a testa femminile e lo spillo d'oro con decorazione granulare.

MATER MATUTA ROMANA
Eccone la bella descrizione di Alberto Angela:
"La pallida luce della luna rivela un volto disteso, dal colore candido, con un sorriso appena accennato. Ha un nastro attorno alla fronte e i capelli raccolti, ma qualche ciocca scende maliziosamente sulle spalle. 
Un improvviso colpo di vento alza un mulinello di polvere attorno a lei, ma i suoi capelli non si muovono. Né potrebbero farlo: sono di marmo. Come sono di marmo le sue braccia nude e le mille pieghe del suo vestito. Lo scultore che l'ha realizzata ha usato uno dei marmi più pregiati, fermando nella pietra una delle divinità più riverite dai romani. 
È Mater Matuta, la "madre propizia", dea della fecondità, dell`inizio" e dell'aurora. E ora la statua è lì, da tanti anni, sopra il suo imponente piedistallo di marmo, a dominare il bivio di una via del quartiere".

I TEMPLI
Tempio al Foro Boario di Roma
La Dea aveva un tempio nel Foro Boario, accanto al Porto fluviale di Roma, che le fonti riportano consacrato addirittura da Romolo, distrutto nel 506 a.c. e poi ricostruito.
Altre fonti lo fanno risalire al re Servius Tullius, e la sua festa cadeva il 9 Giugno, sempre le Matralia. Il suo tempio è stato riscoperto sotto la chiesa di S. Omobono nel 1937. Il santuario più antico di cui si sono ritrovati i resti risale infatti al VII secolo a.c..
Un tempio successivo vi fu riedificato agli inizi del VI sec. a.c., riconsacrato nel 530 a.c, e si ritiene fatto edificare dal re Servio Tullio.
Lo storico romano Tito Livio, nel I sec. a.c., racconta che in seguito alla cattura di Veio nel 396 a.c., Marco Furio Camillo fece ricostruire il tempio per voto (e contemporaneamente fece restaurare il tempio della Fortuna).
Livio riferisce inoltre che il tempio andò a fuoco nel 213 e fu ricostruito l'anno successivo. La documentazione archeologica tende a sostenere le fonti letterarie.

Tempio di Satricum
A Satricum si possono dunque distinguere tre grandi complessi ben diversi di terrecotte architettoniche che appartengono ad altrettanti "tetti", Il primo appartiene al santuario della Mater Matuta con fregi sul frontone decorati con coppie di arcieri a cavallo in alto rilievo.
I fregi erano sormontati da lastre dipinte con motivi a meandro, stelle e uccelli. Il tetto era a tegole rosso-chiaro, mentre le tegole di gronda erano dipinte con fiori di loto e palmette in rosso e nero su fondo bianco. Le antefisse raffiguravano grandi teste femminili. Sulla cuspide del tetto era collocato un acroterio centrale a forma di un gruppo statuario con due figure umane, di cui una era Eracle. Lo stile è dell'Etruria meridionale del VI sec.
Sul culmen del tetto del tempio ricostruito sopra al precedente c'erano le tradizionali coppie di divinità: Zeus ed Era, Dioniso accompagnato da una Dea bionda forse Leucothea, Atena e Eracle e Apollo con Artemide.
Tra le divinità una ha degli attributi particolari: l'accompagnatrice di Dioniso, con i capelli biondi, i vestiti ricchissimi, il diadema decorato e più che altro la sua posizione di primo rango, immediatamente accanto a Dioniso.
Siamo in presenza della Dea Ino Leucothea, nutruice di Dioniso e sorella di sua madre Semele. Ino, menade archetipica è tra tutte le divinità del pantheon greco ed italico, l'unica accompagnatrice possibile di Dioniso.
La sua presenza sul colmo di Satricum è estremamente significativa, quando ci rendiamo conto che nell'antichità Ino-Leucothea fu la lectio graeca, oppure la forma grecizzata, della divinità italica Mater Matuta.

La Mater Matuta di Chianciano
La statua-cinerario di Chianciano, una Mater Matuta, ha un corpo massiccio, quasi tutt'uno col blocco cubico del trono; il panneggio è reso con vivo plasticismo nelle ampie pieghe accentuate sulle gambe.
La bella testa, con capelli spartiti sulla fronte, trattenuti da un nastro e ricadenti sulle tempie in bande ondulate ha volto ovale con grandi occhi a mandorla, palpebre pesanti, naso diritto, labbra carnose che ne accentuano l'espressione serena e pensosa.
La datazione va dal V all IV sec a.c. Gli oggetti del corredo (la oinochòe a testa femminile, datata 470-450 a.c. e lo spillo d'oro granulato del V sec. a.c. datano la Mater Matuta al 450-440 a.c.)

LE FESTE
Il giorno sacro alla Mater Matuta, la divinità femminile del Santuario di Satricum, era l'11 giugno, quando veniva onorata nelle feste dei Matronalia, cioè la festa delle matrone.
Il culto era molto diffuso e a Satricum, come a Roma, a Capua, a Beiruth e nelle città dell'Africa settentrionale, dove c'erano templi dedicati alla Dea, con gran numero di fedeli, come testimoniano gli innumerevoli e preziosi doni nelle stipe votive, spesso prodotti in aree molto lontane.
Le donne erano le più devote, anzi le Univirae, cioè le donne sposate una sola volta, che in quel giorno potevano chiedere grazie per i nipoti, i figli delle sorelle.
L'Univira entrava nel tempio accompagnata da una schiava che, dopo aver spazzato, veniva cacciata a frustate. Solo dopo questo strano rito le bonae matres potevano offrire focacce gialle in rustiche scodelle.
Il sito del tempio infatti era sacrale almeno dal XIV sec. a.c., quando la buca votiva accoglieva i doni dei fedeli. Mater Matuta è una divinità arcaica pre-romana che ricorda usanze preistoriche matriarcali tra i popoli pre-latini.
La festa esaltava il ruolo della seconda madre, la zia, e rappresentava un modello di solidarietà tra sorelle, entrambi madri e zie, e una rivincita al femminile. Frustando la schiava, perché proprietà del marito e possibile concubina, ma anche estranea in quanto non libera.

BIBLIO
- Jacqueline Champeaux - La religione dei romani - A cura di N. Salomon - Editore Il Mulino - Traduzione G. Zattoni Nesi - 2002 -
- Vittorio Dini - Il potere delle antiche madri - Firenze - Pontecorboli - 1995 -
- Laura Rangoni - La grande madre. Il culto del femminile nella storia - Milano - Xenia - 2005 -
- Cicerone - De natura Deorum - III -
- Tito Livio - Ab Urbe condita libri - V -
- Andrea Romanazzi - Guida alla Dea Madre in Italia. Itinerari fra culti e tradizioni popolari - Roma - Venexia - 2005 

CULTO DI CIBELE 


CIBELE FRIGIA
La Vergine nel suo luogo celeste cavalca il Leone!
Portatrice di frumento, Inventrice della legge,
Fondatrice delle città, dai cui doni deriva
la fortuna degli uomini di venire a conoscenza degli Dei:
per questo Lei è la madre degli Dei;
Pace! Virtù! Cibele, che soppesa la vita e le leggi nella sua Equità.
Cibele, madre degli Dei, era adorata a Pessinonte, in Frigia, come Grande Madre, divinità della Terra e protettrice dei campi e dell'agricoltura. E' stata rinvenuta una epigrafe di origine ebraica che dice: "Ad Attis, il Dio supremo che tiene unito l'universo."

Il Mito
Cibele era la Grande Madre, di uomini e Dei, quindi la prima fra gli Dei, la mai nata, l'eterna. Come tutte le Dee mediterranee e asiatiche era Vergine, ma nel senso antico.
La vergine non era colei che si asteneva dall'accoppiamento, ma colei che non era sottoposta all'uomo, che non aveva marito. Infatti già tra i Romani la vergine nel senso odierno era chiamata "virgo intacta". Così la Dea partorì un figlio, Attis, addirittura senza il concorso del maschio. Questi crebbe e da adulto divenne il suo paredro, a lei sottoposto.
Ma Cibele era un'amante gelosa, e quando Attis la tradì innamorandosi di una ninfa, per altri della figlia del re Mida, per vendetta lo fece impazzire si che il Dio si evirò.
Dal sangue caduto in terra nacquero delle viole. Cibele fece si che il corpo di Attis non imputridisse e che i capelli continuassero a crescere. Seppellì poi i genitali di Attis, che diventò così Dio della vegetazione, che ogni anno muore e resuscita.
In un altro mito, forse successivo, Cibele amò il giovane Atys nei boschi della Frigia (oggi Turchia). Quando lui non resistette poi alla ninfa Songaride, Cibele lo fece impazzire; Atys si fece male e alla fine si gettò da una rupe. A quel punto Cibele lo salvò afferrandolo per i capelli: che si trasformarono in chioma, il suo corpo in tronco, e i suoi piedi toccarono la terra come radici formando il pino.

Catullo:
Sopra l'alto mare Attis portato da celere barca,
come toccò avidamente il bosco frigio con piede veloce,
ed entrò nei boschi ombrosi della dea, attorniati da selve,
tormentato da rabbia furente, perduto nella mente,
si strappò con acuta pietra i pendenti del ventre,
e così come si sentì le membra abbandonate senza virilità,
ancora macchiando il suolo di sangue vivo,
prese, eccitata, con le nivee mani il leggero timpano,
il tuo timpano, Cibele madre, i tuoi riti,
colpendo con le tenere dita la cava pelle vibrante

"Orsù, Galle, andate insieme agli alti boschi di Cibele,
andate insieme, erranti greggi della signora di Dindimo,
che cercando come esuli luoghi stranieri
seguendo il mio corteo, sotto la mia guida, mie compagne
soffriste il rapido mare e le furie del mare
ed eviraste il corpo per il troppo odio di Venere;
allietate l'animo della padrona con corse eccitate.
Cessi l'indugio nella mente tarda: andiamo insieme, seguitemi
alla casa frigia di Cibele, ai boschi frigi della dea,
dove risuona la voce dei cembali, dove rimbombano i timpani,
dove il flautista frigio canta gravemente con flauto ricurvo,
dove le Menadi, che portan l'edera, scuotono con forza il capo,
dove celebrano i santi riti con acuti ululati,
dove è solita quell'errante schiera della dea danzare,
là è bene che noi corriamo con canti gioiosi."
Così insieme cantò Atti, falsa femmina,
Il gruppo subito con lingue giubilanti ulula,
il leggero timpano riecheggia, i cavi cembali crepitano.
Il coro veloce, affrettando il piede, sale sul verde Ida.
Furibondo e ansimante guidando la torma avanza
Attis, la guida, accompagnata dal timpano per i boschi ombrosi,
come giovenca indomita, evitando il peso del giogo;
le Galle rapide seguono la guida dal piede veloce.


Furono trovate nel santuario di Iasos (Gela, Sicilia) e in quello di Malophoras, a Selinunte, statue di Cibele con leoncino e con un personaggio maschile con diadema, il paredro della Dea ad essa subordinato; sembra che anche nel cerimoniale la sacerdotessa fosse il personaggio principale cui i sacerdoti fossero subordinati. Infatti come lei rappresentava la Madre i sacerdoti simboleggiavano il figlio, e da qui la loro evirazione.
Cicerone, nelle Verrine, parla di un sacrario a Catania dove:
Nella parte più interna si trovava un’antichissima statua di Cerere, che le persone di sesso maschile non solo non conoscevano nel suo aspetto fisico, ma di cui ignoravano persino l’esistenza. Infatti a quel sacrario gli uomini non possono accedere: la consuetudine vuole che le celebrazioni dei riti sacri avvenga per mezzo di donne sia maritate che nubili.

CIBELE ROMANA
La Dea Cibele, originaria della Frigia, fu venerata dai Romani come Magna Mater, "la grande madre".
Durante la Seconda Guerra Punica, nel 205 a.c., i Libri Sibillini consultati nell'estremo pericolo, consigliarono ai Romani di cercare e recuperare a Pessinunte la pietra nera della Madre degli Dei. Pietra che fu recuperata e momentaneamente conservata nel Tempio di Vittoria.
La costruzione di un Tempio di Magna Mater cominciò nel 204 a.c., nella parte sud ovest del Palatino, e fu consacrato nel 191 a.c. L'edificio andò a fuoco due volte, nel 111 a.c. e, dopo la ricostruzione, nel 3 d.c. Fu riedificato in pietra e marmo da Augusto, che ne fu gran devoto, facendo immortalare l'amata moglie Livia in una statua nella veste di Cibele.
Imperatore Giuliano II - Orazione a Cibele:
Chi è allora la Madre degli Dei? Lei è la sorgente degli Dei intellettuali e creativi, che a turno guidano gli dei visibili: lei è sia madre e sposa del mitico Zeus; venne per succedere ma anche per regnare insieme col grande Creatore; Lei ha il controllo di ogni forma di vita, e la Causa di tutte le generazioni; Lei porta facilmente alla perfezione tutte le cose che sono fatte. Senza dolore Lei porta alla nascita ... Lei è la Vergine senza Madre, al fianco dello stesso Zeus, e in assoluta verità lei è Madre di tutti gli Dei ... -
Ai Romani Cibele non era estranea, visto l'uso di rispettare tutti gli Dei stranieri, al punto d ricorrere, in caso di un assedio al nemico, alla Evocatio. I Romani, quando la situazione era impegnativa, invocavano le divinità protettrici della città nemica, facendo voto di istituire a Roma un luogo di culto con riti a esse dedicato, per indurle ad abbandonare la difesa delle popolazioni avversarie.
Livio riporta che nel 369 ac. il comandante Camillo, prima di espugnare la città etrusca di Veio, esortò la Dea Uni ad abbandonare i suoi templi e a trasferirsi a Roma. Per i Romani il Dio di un altro popolo era Dio quanto i loro Dei. L'adozione di Cibele, durante la guerra punica che minacciò di distruggere Roma, fu richiesta pensando che le divinità romane non ce la facessero a difendere Roma, per cui occorresse una divinità più antica e potente.
Virgilio - Eneide - preghiera di Enea:
Madre degli Dei immortali,
Lei prepara un carro veloce, tirato da leoni uccisori di tori:
Lei che maneggia lo scettro sul rinomato bastone,
Lei dai tanti nomi, l'Onorata!
Tu occupasti il Trono Centrale del Cosmo,
e cosi' della Terra, mentre Tu provvedevi a cibi delicati!
Attraverso Te c'è stata portata la razza degli essere immortali e mortali!
Grazie a Te, i fiumi e l'intero mare sono governati!
Vai al banchetto, O Altissima! Deliziante con tamburi, Tamer di tutti,
Savia dei Frigi, Compagna di Kronos, Figlia d'Urano,
l'Antica, Genitrice di Vita, Amante Instancabile,
Gioconda, gratificata con atti di pietà!
Dea generosa dell'Ida, Tu, Madre di Dei,
Che porta la delizia a Dindyma e nelle città turrite
e nei leoni aggiogati in coppie, ora guidami negli anni a venire!
Dea, rendi questo segno benigno!
Cammina accanto a me con il Tuo passo grazioso!
Ma Cibele non era una Dea qualsiasi, perchè in suo nome si celebravano i Sacri Misteri, quelli che svelavano a chi osasse traversarli fino in fondo, i segreti della vita e della morte. Segreti gelosissimi, tanto che a noi non ne è pervenuto nulla.
"Devo dunque parlare anche su quest’argomento?" scrive l’imperatore Giuliano durante una sosta notturna della guerra contro i Persiani "Scrivere cose che non si devono dire, palesare cose non palesabili, ciarlare di segreti, dei quali non si deve ciarlare? Chi è dunque Attis o Gallo, chi è la Madre degli Dei e quale è il rito di purificazione attuale e inoltre a quale scopo ci fu tramandato dalle origini in questa forma? 
Trasmesso dagli antichissimi Frigi fu accolto anzitutto dai Greci, e non da una razza qualunque dei Greci, ma dagli Ateniesi, i quali impararono dai fatti che male a proposito avevano canzonato l’uomo che celebrava i misteri della dea. Si racconta infatti che essi cacciarono via il Gallo col pretesto che voleva introdurre novità nella religione, senza rendersi conto dell’essenza della Dea e che la Deo (Dia) ch’essi adoravano, e Rea e Demetra altro non erano che quella Dea stessa."

Il trasferimento a Roma
Ed ecco come ci descrive la storia Marcus Iulius Perusianus:
- Il sacerdote consultò il destino nelle parole del carme Euboico, e questo sarebbe stato interpretato: "La Madre è assente: ti impongo, o Romano, di cercare la Madre; quando arriverà, dovrà essere ricevuta da mano casta"
I padri si smarriscono nelle ambiguità dell'oscuro oracolo, quale sia il genitore assente, in che luogo debba essere richiesta. Si consulta l'oracolo di Delfi, che risponde:
"Andate a cercare la Madre degli Dei, la si troverà nei gioghi del monte Ida. Si inviano dei notabili. In quel tempo regnava sulla Frigia Re Attalo, il quale rifiuta la richiesta ai nobili Italiani".
Canterò un fatto straordinario: la terra tremò con lungo boato, e così parlò la Dea dai suoi ambienti:
"Io stessa ho voluto essere cercata, che non ci sia indugio; spediscimi che lo voglio: Roma è luogo degno per ogni Dio."
Attalo tremando di terrore alla voce disse:
"Parti, sarai comunque nostra: Roma discende da antenati frigi."
Subito innumerevoli scuri tagliano quei tronchi di pino che aveva adoperato il pio Frigio (Enea) in fuga. Mille mani si uniscono, e la nave concava dipinta con coloria fuoco riceve la Madre degli Dei.
Quella viene trasportata in piena sicurezza attraverso le acque del suo figlio (Nettuno), e raggiunge il lungo canale della sorella di Frisso, oltrepassa il tempestoso capo Reteo e le spiagge Sigee, e quindi Tenedo e l'antica potenza di Eezione. Lasciata Lesbo alle spalle raggiungono le Cicladi, e quei guadi di Caristo dove si infrange l'onda; oltrepassa anche il mare Icario, dove Icaro perse le ali cadute elasciò il suo nome alle vaste acque. Poi a sinistra Creta, a destra le onde del Peloponneso, e si dirige verso Citera sacra a Venere.
Quindi il mare trinacrio, dove Bronte, Sterope e Acmonide usano immergere il ferro incandescente, e le equoree distese di Africa, e vede dalla parte dei remi di sinistra i regni della Sardegna, e raggiunge l'Ausonia.
Aveva toccato la foce (Ostia) dove il Tevere si disperde nel'alto mare e scorre in uno spazio più libero: tutti i cavalieri e i seri senatori mischiati insieme alla plebe le vanno incontro alla foce del fiume toscano. Procedono accanto le madri, le figlie e le nuore, e le vergini che tutelano i sacri fuochi.
Gli uomini affaticano le attive braccia con il tiro alla fune: la nave avanza a stento nella corrente contraria. La terra era secca da tempo, l'erba era bruciata dalla sete: la nave resiste incagliata nel guado fangoso.
Ognuno partecipa allo sforzo, e si affatica quanto può, e aiuta le mani forti con le grida: la nave sta ferma in mezzo all'acqua come se fosse un'isola. Sbalorditi di fronte al fenomeno gli uomini si fermano e si impauriscono.
Claudia Quinta discendeva dalla stirpe dell'antico Clauso (e il suo aspetto non era da meno in quanto a nobiltà), virtuosa essa passava per non esserlo: voci ingiuste, accuse infondate, avevano attaccato la sua reputazione, il suo abbigliamento, l'eleganza delle sue acconciature le avevano fatto torto e, secondo i vecchi severi, la sua lingua era troppo pronta.
Consapevole della propria rettitudine se la rise delle menzogne che si dicevano in giro, e tuttavia noi altri siamo gente facile a credere nel male. Come quella si avanza dal gruppo delle caste matrone, e raccoglie con le mani l'acqua pura del fiume, e per tre volte si bagna il capo, tre volte alza le mani al cielo (tutti quelli che guardano pensano che sia impazzita), e inginocchiata fissa il volto nell'immagine della Dea, e sciolti i capelli dice queste parole:
"Alma e feconda Madre degli Dei, accogli la preghiera di questa tua supplice in una condizione sicura. Si nega che io sia casta: se tu mi condanni, affermerò che l'ho meritato; pagherò con la morte la colpa, per giudizio divino; se invece la colpa è assente, tu darai con un gesto la prova della mia purezza, e casta, tu seguirai mani caste!"
Ciò detto, ella senza grande sforzo tira la corda; dirò una cosa che fa stupire, eppure attestata anche in teatro: la Dea si avvia, segue la donna che la guida e, seguendola, la giustifica. Un clamore che esprime la gioia sale fino agli astri. Arrivano alla curva del fiume (che gli antichi chiamano Atrio del Tevere), da dove il fiume gira a sinistra. Arriva la notte: legano la fune a un tronco di quercia, e abbandonano i corpi sazi di cibo a un sonno leggero.
Arriva il giorno: sciolgono la fune dal tronco di quercia, dopo tuttavia aver posto davanti bracieri di incenso, ornarono prima la nave di ghirlande, e immolarono una giovenca che non aveva mai né lavorato né montato. Esiste un luogo dove lo scorrevole Almone confluisce nel Tevere e il fiume minore perde il nome nel fiume maggiore. Là un sacerdote canuto con la veste purpurea lava la Signora e gli arnesi sacri nell'acqua dell'Almone.
Il corteo urla, il flauto suona furiosamente, e mani effemminate percuotono i tamburi di pelle di toro. Claudia, celebrata dalla folla, precede con il volto lieto, alla fine e con fatica creduta casta per la testimonianza della Dea: la quale seduta sul carro è trasportata attraverso Porta Capena: i buoi aggiogati sono cosparsi di fiori appena colti. -
Lucretius, De Rerum Natura:
Perciò essa sola fu detta Gran Madre degli dei
e madre delle fiere e genitrice del nostro corpo.
Di lei cantarono un tempo i dotti poeti di Grecia
che dal trono su un cocchio guidasse due leoni aggiogati,
significando così che l'immensa molte terrestre
è sospesa negli spazi dell'aria 
e che la terra non può poggiare sulla terra.
Il culto di Cibele ebbe una grande estensione fino alla fine dell'Impero, fino all'interdizione del paganesimo.

IL LAPIS NIGER
Così la Pietra Nera di Cibele fu portata nel cuore del Palatino, dove giace tutt'ora col nome di Lapis Niger, erroneamente attribuito alla tomba di Romolo, del resto la teoria oggi è ufficialmente sconfessata.
Dionigi di Alicarnasso, al tempo di Augusto, narra che:
"Alcuni credono che il leone di pietra, il quale era collocato sul posto più notevole del Foro presso i rostri, fosse il monumento di Faustolo, sepolto nel luogo stesso ove egli cadde nella battaglia".
Ora i leoni di pietra erano il simbolo sia della Magna Mater che di Cibele, il che fa pensare che sotto al marmo che non è affatto nero, ma grigio chiaro, come si vede in foto, ci fosse realmente una pietra nera, probabilmente un meteorite.
Pindaro:
Una è degli uomini
Una la stirpe dei Numi.
Da sola una madre
Entrambi traiamo il respiro.

Le cerimonie si svolgevano in marzo con due processioni. Veniva ricordata la morte di Attis con nove giorni di digiuno ed astinenza, dopo i quali si celebrava la resurrezione del Dio, collegata al risveglio primaverile della natura, il 25 marzo, con le Hilaria, feste con musiche ossessive ed assordanti, in un delirio orgiastico.
A partire dal II secolo, nello spazio davanti al tempio, cosparso di sabbia, si svolgeva la cerimonia del "taurobolium", dedicata alla salvezza dell'Imperatore o della sua famiglia, culminante nel sacrificio di un toro. L'adepto veniva posto in una buca, la fossa sanguinis, coperta da una tavola forata, su cui veniva sgozzato il toro. Il sangue che investiva l'iniziato, gli conferiva la forza dell’animale.
Fino al III-IV secolo d.c. le feste di Cibele e Attis si svolsero a Roma in marzo, nei giorni intorno all'equinozio di primavera.

Megale - grande.
Magna Mater
La Benedetta

Templum Magnae Matris (Cibele) in Palatino
Festa celebrata l'11 aprile in onore della dea Cybele Magna Mater. Il tempio sul colle Palatinus venne consacrato nel 191 a.c. dal pretore M. Iunius Brutus.

Ludi Megalenses
I Ludi Megalenses si svolgevano dal 4 al 10 aprile in onore della dea Cybele, Magna Mater, in greco Megàle Mèter. La statua della dea era stata portata a Roma, con il permesso del re Attalo di Pergamo, da Pessinunte, in Frigia, nel 204 a.c. in occasione della seconda guerra punica per impetrare la protezione della potente dea contro Annibale.
L'inizio dei Ludi coincideva con la data di arrivo a Roma della statua. I Ludi erano organizzati dagli aediles curules ossia da magistrati patrizi. Dal 194 a.c. vennero fatte anche rappresentazioni sceniche.

Initium Caiani
L' “Initium Caiani” (caiani si riferisce al luogo in cui si svolgeva la cerimonia, un santuario frigio situato sul Colle Vaticano, sovrastante l'antico circo di Caligola nell'area dell'attuale P.zza San Pietro). La formula dell'iniziazione ha tre versioni.

Magna Mater
Dal 4 aprile iniziavano le feste dedicate alla dea Cybele, Magna Mater. Avevano termine il 10 aprile. Nello stesso periodo si svolgevano i Ludi Megalenses. L'11 si celebrava la dedicatio del tempio sul colle Palatinus.
Tristia
Era la festa per la ricorrenza della vicenda di Attis e la sua morte. In questa occasione i sacerdoti della Dea portavano al tempio di Cibele un pino che avevano precedentemente tagliato. Qui l’albero veniva fasciato con delle bende di lana e veniva ornato con delle violette. Due giorni dopo si assisteva ad un rito davvero molto particolare.
I sacerdoti infatti utilizzavano dei coltelli con i quali si laceravano le braccia e le spalle e delle fruste con le quali si percuotevano la schiena. Il tutto veniva seguito da una danza al suono di tamburi, flauti e cembali.

TEMPLI
Tempio di Cibele sul Palatino
"I Sacerdoti Galli di Cibcle vi venivano a lavare  (sul fiume Almone) la Statua della Dea detta che aveva il suo Tempio nel Palatino, e vi lavavano i loro sagri utensili"
(Ridolfino Venuti Cortonese 1763)
Il nuovo tempio fu elevato su un'alto podio in cementizio, rivestito con blocchi di peperino, di m 33,40 x 19,35, che, insieme alle fondazioni poggianti sulla roccia del Palatino, misurava quasi m. 9 di h., e con una grande scalinata. Lo stile era ellenizzante con la facciata aveva sei colonne corinzie senza colonne ai lati.
Una grande platea occupava quasi tutta l'area antistante e occidentale del tempio, mentre ad est si collegava con l'area del tempio della Vittoria. Il tempio era a pianta rettangolare con pronao appena più piccolo della cella che misurava 32 m. x 64; all'interno vi era un colonnato lungo le pareti del II sec. a.c. con capitelli ionico-italici e un basamento in muratura per la statua di culto, collocata in un'edicola nella parete di fondo.
Nel 111 a.c. il primo incendio al tempio fu appiccato dall'edile Quinto Memmio che si impossessò della pietra nera. Metello Numidico ne operò la ricostruzione in opera cementizia e con la sopraelevazione dell'antistante platea, mentre furono eliminate la vasca in opera quadrata e le scale angolari di accesso.
Si costruì, invece, un nuovo grande bacino rettangolare in cementizio dim. 16,50 x 3 ad ovest del tempio. I sacerdoti lavavano il simulacro di Cibele nelle sacre acque del fiume Almone in occasione della sua festa, celebrando il culto nell'area rettangolare recintata sul fianco del tempio, poiché la platea antistante era riservata agli spettacoli teatrali dei Ludi Megalenses, celebrati fin dal 194 a.c.
Dietro l'area delle capanne romulee, in prossimità delle Capanne arcaiche e delle Scalae Caci, si può vedere il podio del tempio con scalinata centrale sulla facciata.
Di fronte al pronao c'era una terrazza sostenuta da muri in blocchi di tufo del III secolo a.c. e visibili ancora oggi; in epoche successive le strutture vennero riutilizzate per costruire ambienti su una via interna coperta.
I muri sono in opera reticolata e posteriori all'incendio del 111, e le colonne in peperino accanto al podio sono di fase augustea. Vi si riscontra una dedica alla M(ater) D(eum) M(agna) I(daea).

Tempio di Cibele a Ostia antica
Il culto di Cibele arrivò ad Ostia all'epoca di Adriano e si concentrò nel Campo triangolare della Magna Mater, alla fine del cardine massimo, zona periferica dove svolgere tranquillamente i riti orgiastici.
Dalle epigrafi rinvenute nel Campo emerge che il culto aveva due associazioni, quella dei portatori di canne, per il ritrovamento di Attis da parte di Cibele tra le canne, e quella dei portatori di pini, alberi sacri ad Attis, simbolo del fallo evirato.
Purtroppo sono andati persi i 6 colonnati originali, mentre si conserva il podio in opera reticolata con tre arcate.
Sul Campo c'era anche il sacello di Attis, un recinto rettangolare con cappella absidata, il cui ingresso è ancora fiancheggiato da due figure di Pan.

Tempio di Cibele a Gragnano
Il tempio di Cibele è stato scoperto nel 1863, in località Trivione, a Gragnano (in Campania), a seguito dei lavori di ampliamento di una strada: si tratta di colonne in piombo, disposte circolarmente, al centro del quale è posto un ceppo sepolcrale. Secondo la ricostruzione degli archeologi il tempio si trovava in una radura, protetto da boschi, e il culto era appunto dedicato a Cibele, per i romani Rea: intorno all'edificio sacro danzavano i coribanti e spesso si svolgevano riti orgiastici.

BIBLIO
- AAVV - "Cibele" - in Il Pincio - Roma - Edizioni De Luca - 2000 -
- Giuseppe Maggiore - La Sacra Pigna. Gli antichi riti di Cibele e Febronia - Amedit, nº 11 -  2012 -
- Maarten Jozef Vermaseren - Cybele and Attis: the Myth and the Cult - Thames and Hudson - Londra - 1977 -
- Claudio Claudiano - De Raptu Proserpinae - I -
- Philippe Borgeaud - La madre degli dei: da Cibele alla Vergine Maria, Morcelliana - Brescia - 2006
- Maarten Jozef Vermaseren - Cybele and Attis: the Myth and the Cult - Thames and Hudson - Londra - 1977



IL CULTO DI MA

Con il nome di Ma si indica di un'importante divinità femminile, che anticamente era venerata nella regione anatolica della Cappadocia, precisamente nella città di Comana, che era governata dal suo sommo sacerdote. Questa divinità era di fatto una delle molte manifestazioni della Grande Madre anatolica. Il suo culto affondava probabilmente le proprie radici nella preistoria dell'odierna Anatolia e fu praticato in maniera ininterrotta, anche se con diverse varianti, fino all'avvento del Cristianesimo. In epoca ellenistica fu identificata con Enio e in quella romana con Bellona.

Ma era una dea locale Comana in Cappadocia . Il suo nome Ma significa "madre", e lei ha avuto anche gli epiteti "Invincible" e "Bringer della Vittoria".

HERMES E MAIA

MAIA GRECA
MAIA ROMANA
I SUOI ATTRIBUTI
NOMI DI MAIA

- John A. - religione romana - Oxford - Oxford University Press per il Classical Association - 2000 -


di toro iniziò a cantare con le sue compagne così:

CIBELE ITALICA
IL RITO
NOMI DI CIBELE
FESTE
La prima viene riportata da Clemente Alessandrino: “Ho mangiato dal timpano, ho bevuto dal cembalo, ho portato il kernos, ho giaciuto nel pastòs”.
Firmino Materno: “Ho mangiato dal timpano, ho bevuto dal cembalo e ho conosciuto i segreti della religione
La versione greca è “.“Ho mangiato dal timpano, ho bevuto dal cembalo e sono divenuto mista di Attis”. 

L'iniziazione consisteva innanzitutto in un pasto consumato negli strumenti musicali: il timpano e il cembalo. L'accenno al kernos si riferisce ad una processione probabilmente accompagnata da suoni e danze durante la quale gli iniziati portavano il kernos, un largo cratere di argilla nel quale venivano accesi dei lumi. La frase finale di Clemente Alessandrino allude ad una “ierogamia” che attuava l'iniziazione misterica. Gli iniziati si identificavano con Attis, realizzando l'unione con Cibele.
Mentre nel culto delle origini era considerata necessaria l'evirazione degli iniziati, in seguito questa venne sostituita dalla mutilazione di un toro; il sacrificio prendeva il nome di "taurobolio" e si svolgeva secondo un rito preciso: veniva scavata una fossa dove entrava chi intendeva celebrare il sacrificio; su un tavolato di assi forate, con cui veniva ricoperta la fossa, si immolava l'animale. Il sangue, colando attraverso i fori delle assi, bagnava il sacrificante e costituiva per lui come una promessa di salvezza e di rinascita.

Molto interessante è anche il fatto che questa cerimonia basata sul sangue e sulle ferite riviva cerimonie che ancora oggi vengono messe in atto nel corso del venerdì santo soprattutto nell’Italia meridionale.
- Giulia Pedrucci - Cibele Frigia e la Sicilia: i santuari rupestri nel culto della dea - L'Erma di Bretschneider - Roma - 2009 -