Conoscete davvero Roma? La sua storia, i suoi segreti, i monumenti? E i vostri bambini quanto la conoscono? Avete mai pensato a una passeggiata culturale per famiglie? Roma Lazio per te bambini e ragazzi ha creato il format “A spasso per Roma con i vostri bambini” e ogni settimana propone una visita guidata diversa, indirizzata ai piccoli. L’obiettivo è far conoscere la città, la sua storia, le sue leggende e i suoi segreti ai più giovani, permettendo di intrecciare divertimento, scoperta, conoscenza e amicizia. Noi abbiamo partecipato a un’uscita, e trovare qualcosa da fare con un bimbo di sei anni e mezzo in centro e che piacesse a tutta la famiglia, è stata per noi una bella svolta.
In questo articolo troverai:
La nostra esperienza con Roma Lazio per te bambini e ragazzi
Un dettaglio che abbiamo apprezzato di “A spasso per Roma con i vostri bambini”
Info pratiche sulle visite con Roma Lazio per te per famiglie
L’associazione Roma e Lazio per te
La nostra esperienza con Roma Lazio per te bambini e ragazzi Siamo arrivati sul luogo dell’appuntamento e puntualissima è arrivata la nostra guida: Andrea, un ragazzo giovane ed educato che fin da subito stabiliva il giusto feeling con i piccoli ospiti che mano a mano arrivavano. Terminata la conta delle famiglie, la guida consegnava a tutti i partecipanti, grandi e piccoli, una radiolina e un auricolare (nuovo, sigillato in una bustina) attraverso cui ci avrebbe raccontato la storia della Roma imperiale e dei suoi imperatori.
La visita inizia puntuale e, trovandoci a piazza del Campidoglio, Andrea comincia a raccontare la Roma di quei tempi e la storia di colui che domina la piazza: l’imperatore Marco Aurelio.
I bambini seguivano i racconti e la guida non mancava mai di interagire con loro creando davvero un bel clima. Dalla piazza, siamo scesi verso il Foro e di fronte all’Arco di Settimio Severo, Andrea ha continuato il racconto che si è sviluppato poi verso il foro di Cesare, e poi, lungo la Via dei Fori Imperiali, con il Foro di Traiano, di Augusto e di Nerva, fino al.
Senza entrare nel dettaglio storico della visita perché senz’altro va vissuta, ciò che mi ha colpito è il fatto che pur senza pagare il biglietto dei Fori, la visita è ben riuscita perché attraversa vie pubbliche dalle quali si gode di affacci strepitosi sulle rovine e, attraverso questi passaggi alternativi a quello che è il parco archeologico a pagamento, si riesce comunque a godere della bellezza dei luoghi e della storia di cui quei luoghi sono intrisi.
La guida conduce i bambini e i loro accompagnatori in un divertente percorso pensato e realizzato esplicitamente per i più giovani e il suo modo di raccontare la storia e interagire con i piccoli visitatori è efficace e coinvolgente.
Un dettaglio che abbiamo apprezzato di “A spasso per Roma con i vostri bambini” Il rapporto qualità-prezzo risulta ottimo e accontenta davvero tutti i nuclei famigliari che di fronte a una spesa spesso inferiore a un biglietto del cinema godono di un servizio culturale-artistico di livello.
Ulteriore Nota di merito per questa associazione è il pagamento sul posto dell’appuntamento e una politica di cancellazione che viene incontro, ancora una volta, alle famiglie.
Non è previsto il pagamento anticipato, formula che molto spesso si trasforma in una grande fregatura per le famiglie, che, a causa di politiche di cancellazione discutibili, perdono il denaro pagato perché costrette magari a disdire la visita all’ultimo minuto a causa di un malanno dell’ultima ora del piccolo di casa e senza possibilità alcuna di recuperare.
Chi lavora con bambini e famiglie deve avere questo tipo di attenzione e qui non manca.
Info pratiche sulle visite con Roma Lazio per te per famiglie Tutte le visite sono condotte da storici dell’arte, archeologi e architetti regolarmente iscritti nell’albo delle guide turistiche di Roma.
La visita ha un costo di 10€ ha una durata di 90 minuti circa e si svolge a partire dalle ore 18.30, orario perfetto per la temperatura ma anche per la luce perché godere di un tramonto sui Fori Imperiali ha sempre il suo fascino e non ha prezzo.
Piccola informazione di servizio: per raggiungere il luogo dell’appuntamento abbiamo optato per la metro, fermata Colosseo. I numerosissimi cantieri per il Giubileo e per la costruzione di una nuova fermata della metro hanno compromesso moltissimo la viabilità e i parcheggi della zona per chi si volesse muovere in auto.
L’associazione Roma e Lazio per te L’Associazione organizzatrice Rome4u இ Roma e Lazio per te è una associazione culturale senza fini di lucro che nasce a Roma nel dicembre 2009 per iniziativa di un gruppo di studiosi e professionisti appassionati della storia e delle bellezze artistiche e naturalistiche di Roma e del Lazio.
L’associazione ha tra i suoi obbiettivi garantire l’accesso allo svago e all’arricchimento culturale al più ampio numero di persone, superando le discriminazioni e l’esclusione di tutti quelli che hanno una cultura differente, mezzi finanziari ristretti, o capacità fisiche e motorie limitate. Per aiutare l’integrazione culturale di cittadini stranieri residenti nel nostro territorio, l’associazione organizza anche attività didattiche, escursioni e visite guidate anche in lingue straniere.
In quest’ottica, Rome4uஇ Roma e Lazio per te ha stipulato delle convenzioni per offrire ai suoi soci e ai loro familiari, l’opportunità di ottenere sconti e promozioni quando prenotano un teatro o altra struttura comunicando di essere nostri soci. Sul sito trovate tutti i partner.
Uno dei più affascinanti, complessi ed elaborati miti della storia antica è senza alcun dubbio quello che si riferisce alla fondazione di Roma. L’antica tradizione religiosa romana infatti non si limita a descrivere gli eventi contemporanei con il mitico solco, il famoso pomerium, tracciato da Romolo il 21 aprile del 753 a.C., bensì ha consegnato alla memoria perenne anche tutta una serie di racconti sulle vicende che precedettero la fondazione della Città Eterna e dietro il cui ricchissimo velame di simboli si nascondono i dettami e le basi della dottrina esoterica di Roma.
È certamente molto nota la leggenda secondo la quale Romolo e il fratello gemello Remo furono i discendenti per linea di sangue di Enea, nipote di Priamo e principe troiano, il quale, in fuga dalla distruzione di Troia per mano degli Achei, capitanati dal Re di Micene Agamennone, approdò in Italia per poi stabilirsi nell’attuale Lazio. La guerra di Troia, narrata nell’Iliade di Omero, rappresentò un vero e proprio scontro di civiltà e di concezioni religiose. Nell’Iliade venne scritto l’ultimo capitolo di una guerra combattuta per secoli in Europa e in Asia Minore e che vide lo scontro tra una visione guerriera e maschilista propria dei popoli invasori indoeuropei ed una concezione sacerdotale, basata sul culto della Grande Dea tipica delle popolazioni autoctone e preesistenti.
Questa tensione bipolare, che il fondatore dell’Associazione Archeosofica, Tommaso Palamidessi, definisce nel Quaderno “La Costituzione Occulta dell’Uomo e della Donna” come il dualismo della manifestazione creativa, costituisce la dialettica dell’universo, una delle leggi fondamentali che ne regolano l’esistenza. Si pensi come ogni cosa appaia basata su una struttura bipolare: il giorno e la notte, il maschio e la femmina, il caldo e il freddo, il Bene e il Male, tutto è organizzato secondo un’alternanza che richiama il movimento dei piatti di una grande Bilancia Cosmica. Ogni avvenimento oscilla ora verso un estremo ora verso un altro e, come insegna la fisica, è proprio questa differenza di potenziale che genera l’energia e lo sviluppo della vita. Presso le mura di Ilio, altro nome della città di Troia, si scontrarono due opposte visioni del mondo, due principi cosmici: uno solare e l’altro lunare.
Gli Achei, antenati dei Greci, furono i portavoce di una simbologia olimpica, uranica, solare e maschile. Le divinità principali del loro pantheon erano tutte maschili e loro stessi si ritenevano un popolo di guerrieri. Gli dei degli Achei abitavano sull’Olimpo, un regno immaginario e sopraelevato rispetto al mondo degli uomini mortali. I loro riti di iniziazione comunitari erano basati su cerimonie guerriere e violente. In generale, la loro concezione religiosa collocava il mondo spirituale esterno a quello mortale, quasi irraggiungibile. Una cittadella fortificata espugnabile sono dall’eroe-iniziato che in virtù di gesta epiche avrebbe potuto essere annoverato tra i semi dei, le stelle fisse del cielo. Probabilmente il mito di Ercole incarna al meglio tale idea.
I Troiani, viceversa, erano gli eredi di un culto lunare e tellurico. La leggenda sulle loro origini li identifica come i discendenti di Elettra, una delle sette Pleiadi, ed afferma che la città venne fondata dall’eroe Ilio dopo che egli trovò nelle profondità della terra una grande statua di legno che ritraeva Pallade, altro nome di Atena, Dea della Sapienza. I culti troiani si basavano su una spiccata vocazione sacerdotale e le loro divinità avevano attributi femminili e ctoni, per cui i nemici greci le associarono a Demetra e Venere. Erano scure in quanto associate alla Grande Madre Terra (come nel caso di Iside nell’Antico Egitto o delle Vergini Nere della cristianità). L’attributo scuro (ctonie) si riferisce a qualcosa di ancora non manifestato, custodito nel ventre della terra in attesa di venire alla luce. Il mondo spirituale, pertanto, andava ricercato nel profondo della propria interiorità, al fine di essere riscoperto e portato alla luce.
Dallo scontro di queste due visioni, circa 500 anni dopo, nascerà Roma erede e crogiuolo di entrambe le vie iniziatiche: quella guerriera e quella sacerdotale. I simboli di questa leggendaria nascita lo sottolineano in modo inequivocabile. Il mito di Enea sottolinea come il Fuoco della Sapienza Arcaica, che aveva abbandonato gli antichi Templi Iniziatici, si trasferì a Roma per essere qui custodito e rinnovato, per poi essere diffuso nel mondo sino all’avvento del Cristianesimo. È il fuoco che Palamidessi nel 3° Quaderno di Archeosofia, “Gli Scopi dell’Ordine Iniziatico Loto+Croce”, definisce discontinuo e ardente simbolo di una tradizione iniziatica che si manifesta, a beneficio dell’evoluzione umana, in epoche e luoghi differenti ritirandosi nel suo epicentro quando i tempi non sono maturi. Alessandro Benassai, riguardo l’etimologia del nome Enea e del suo ruolo fondamentale per l’apertura di un nuovo ciclo nella storia dell’umanità, così scrive nel testo “Il Tempio dei Misteri”: “Ain-eia, l’Eroe Troiano, fu messo in relazione con Ian-us, l’Esistente, arcaica divinità italica solare (Iuno = Sole) il cui culto si associava a quello di Iana = Luna (Diana). Jano è il governatore dell’inizio (e della fine) delle cose (da Giano=gennaio, il primo mese dell’anno), porta (Iano = Ianua) e guardiano delle porte, e passaggio (ianum), arco (ianus), arcata della porta del tempio. Iano ha per emblema la Chiave con la quale apre e chiude le porte dell’Iniziazione, Ianua Inferi e Ianua Coeli, le Porte Solstiziali: la Porta dell’Uomo e la Porta degli Dei”.
Enea, secondo il mito, portò con sé il Palladio ed il Fuoco Sacro di Troia che vennero poi tramandati ai suoi discendenti. Essi governarono prima la città di Lavinia, poi quella di Alba Longa e infine Roma il cui primo Rex, Romolo, istituì il collegio delle Vestali, le Donne Sacerdotesse Iniziate alla custodia del Sacro Fuoco. Il Tempio delle Vestali, la cui fondazione alcuni miti attribuiscono anche al re Numa Pompilio, aveva una forma circolare, simboleggiante l’Universo e la Madre Terra Ctonia. Nel centro del cerchio era custodito il Fuoco Perenne ed il “cerchio col punto” era, per molte culture (simbolo di Ra presso gli antichi egizi), la rappresentazione della potenza divina (il punto) che si manifesta nell’Universo creato (il cerchio) generando la vita, nonché emblema dell’Oro Alchemico.
Enea fu il ponte tra l’antica tradizione iniziatica, che ormai aveva concluso il suo ciclo, e quella che sarebbe nata dalle sue ceneri. L’eroe troiano abbandona Troia in fiamme unitamente agli amici più fidati, portando sulle sue spalle il padre Anchise e, per mano, il figlioletto Ascanio. Il mitico troiano reca con sé cioè il passato e il futuro. Anchise non arriverà mai a destinazione, morendo nei pressi dell’attuale Trapani. Al pari di Enea e in nello stesso periodo, Ulisse, fautore del celebre inganno che decretò la distruzione di Troia, intraprende anch’egli un viaggio, ma resterà solo e senza amici, esule per dieci lunghissimi anni a causa delle sue azioni e della sua intelligenza maledetta (simbolicamente sulle spiagge di Troia, Laocoonte, l’unico sacerdote e veggente troiano che ha compreso il tranello del cavallo di legno, viene divorato da due serpenti giganti simbolo dell’intelligenza orientata verso il male).
La tradizione riporta che Enea, una volta approdato in Lazio, come segno del favore divino e della madre Venere, rinvenne 30 porcellini figli di una scrofa dal colore bianco immacolato. Il numero 30, i giorni di un mese, è associato al ciclo lunare, così come il colore bianco è simbolo dell’antica tradizione ieratica e lunare. Nel Lazio Enea fonderà Lavinium in onore della moglie Lavinia figlia di Latino, eponimo del popolo che abitava quelle terre (i Latini erano organizzati in una confederazione di 30 città) e da cui Enea ebbe un altro figlio, Silvio Julo. La parola Lazio deriva dal latino latere che significa “occultare, nascondere”, la terra nera che Virgilio definisce nell’Eneide (poema che narra proprio delle vicende dell’eroe troiano) con il termine di Saturnia Tellus o terra di Saturno. Nelle viscere di questa terra Enea nasconde il Fuoco di Troia, in attesa del futuro parto con la fondazione di Roma. Tale Fuoco è il simbolo della Tradizione Primordiale. Palamidessi nel 1° quaderno della collana archeosofica, la definisce come “Tradizione universale e primordiale dalla quale sono sgorgate tutte le religioni e di cui le filosofie sono un’espressione minorata e parziale, che esprimono tutto il travaglio dell’umanità per avvicinarsi all’unità religiosa nel corso di migliaia di anni ad oggi. Questa Tradizione è costituita da un insieme di principi permanenti e trascendenti, la cui origine è solo in parte umana, e non sono suscettibili di evoluzione, appunto perché principi permanenti e trascendenti. Questa Tradizione è qualcosa che è stato trasmesso da uno stato anteriore del genere umano al suo stato attuale”.
Ascanio, figlio di Enea e della principessa troiana Creusa, 30 anni dopo (ritorna il numero 30) fondò la città di Alba Longa, dal latino albus che significa “bianco”, colore associato alla luna. Successore di Ascanio fu il fratello Silvio e i Re che governarono Alba Longa e le 30 città della confederazione dei “prischi latini” di cui essa era la capitale, sino alla fondazione di Roma, furono in totale 12. Il 12, simbolo del ciclo perfetto, è un numero tipicamente solare: 12 sono gli Apostoli attorno a Cristo-Sole di Giustizia, 12 i Cavalieri di Artù, 12 i segni dello zodiaco o case solari, 12 i mesi dell’anno solare.
A premessa della nascita di Roma, Alba Longa appare come la città sacra, il regno dei 12 Re, sulle 30 città della confederazione. Essa è il simbolo di una realtà in cui la via solare e guerriera si è fusa con quella lunare e sacerdotale. Ma una nuova scissione è alle porte quando il Re Numitore (il nome di questo sovrano reca in sé la stessa radice del futuro Re-Sacerdote Numa Pompilio) viene spodestato dal fratello Amulio che fa uccidere tutti i suoi figli maschi e condanna l’unica figlia femmina, Rea Silvia, a prendere i voti come Vestale, in modo da impedirle di generare. Tuttavia, continua la leggenda, il Dio Marte si unisce alla Vestale e da questa unione nascono i gemelli Romolo e Remo. Marte era il dio della guerra mentre Rea Silvia incarna l’ideale sacerdotale. Anche in questo caso, si manifestano un principio guerriero ed uno ieratico, rappresentato dal Sole fecondatore della Terra Vergine.
Il mito afferma che Amulio, saputo del parto di Rea Silvia, condanna a morte la donna e consegna a un servo i gemelli affinché siano uccisi. I piccoli, grazie alla compassione del servo, vengono abbandonati in una cesta sul fiume Tevere. Successivamente rinvenuti e allattati da una lupa, vengono nutriti da un picchio ai piedi di un albero di fico.
Ripudiare un figlio o un parente era un atto gravissimo all’interno delle antiche società delle popolazioni italiche, e in genere nel mondo antico, dove la famiglia costituiva un vincolo indistruttibile, una realtà sovraordinata a cui le singole coscienze si dovevano subordinare. Romolo e Remo sono il simbolo della nascita di una coscienza rinnovata, capace di individualizzarsi dal mare della storia, in grado di portare sulla terra un nuovo ordine, aprire il ciclo di un nuovo mondo. Al ripudio segue sempre un ordine di morte, si pensi a Mosè, abbandonato anch’egli in una cesta sul fiume Nilo, nel momento in cui l’ordine del faraone era quello di uccidere tutti i figli maschi, oppure a Gesù che l’ordine di morte di Erode non riuscirà a colpire. La condanna a morte è dunque il simbolo della resistenza e dell’opposizione che il vecchio mondo e la personalità oppongono al risveglio della coscienza, all’aspirazione al sacro e alla riscoperta dell’individualità. Ci si trova di fronte a quello che l’esoterismo e la Tradizione Archeosofica, con Palamidessi, definisce come Guardiano della Soglia “una delle più minacciose ed importanti esperienze di chi si cimenta nei lavori iniziatici, che gli antichi Filosofi dell’Ermetismo definirono «Fatiche di Ercole», giusto l’insegnamento esoterico della Mitologia greca”. Per coloro che vogliono approfondire questa tematica consiglio la lettura del testo di Tommaso Palamidessi “I Guardiani delle Soglie e il Cammino Evolutivo”.
Il Fiume Tevere, come il Nilo in Egitto o il Gange in India, e le acque in generale sono un simbolo dell’inconscio, personale e collettivo, dal quale bisogna emergere con forza e coraggio. È infatti necessario vincere, come scrive Palamidessi, quelle “forze oscure del cielo e della terra, talora nascoste nell’inconscio”. Sono anche il simbolo di un passaggio fondamentale per l’inizio di una nuova vita spirituale. Si pensi al battesimo d’acqua che il Cristo inaugura nel fiume Giordano.
Romolo e Remo vengono allattati da una lupa e da un picchio, entrambi animali sacri a Marte, ai piedi di un albero di fico. Questa pianta nell’Antico Testamento e nel Nuovo, presso gli Egiziani e numerosissime altre culture, ebbe un significato ben preciso e fu simbolo della Sapienza Divina. Romolo e Remo crescono all’ombra della Sapienza, della Tradizione Arcaica Primordiale, che in quel momento è tornata a manifestarsi per garantire l’evoluzione dell’umanità. Romolo e Remo, al pari di Abramo che trionfò sui 7 Re di Edom, dell’avo Enea che sconfisse i Rutuli e di molti altri eroi, dopo aver affrontato una guerra personale e sacra riceveranno un premio. Si tratta del ritorno sul trono del legittimo Re Numitore, emblema del Principio Sacro e Ordinatore.
Presso gli antichi sacerdoti e iniziati della Roma arcaica, il ricchissimo simbolismo della leggenda iniziatica delle gesta di Romolo e del fratello Remo e l’uccisione di quest’ultimo, erano studiati e meditati, applicati nella pratica di un’ascesi sapienziale quotidiana, riservata a pochissimi eletti. L’uccisione di Remo da parte di Romolo, condizione necessaria per la fondazione di Roma ha, tra i vari simbolismi, il significato di auto-superamento, in virtù di un principio spirituale nuovo e superiore rappresentato da Roma. La leggenda continua, ricchissima di simboli e significati esoterici, come la scelta del luogo e del nome di Roma, l’auspicio dei numeri 6 e 12, la fondazione della Roma quadrata e la scelta del suo Nome Segreto…ma questa è un’altra storia!!
La Prima impresa: la Fondazione della Roma Quadrata e il Nome Segreto di Roma
Senza tornare sul ricco simbolismo iniziatico rappresentato dal Mito intorno alle origini di Romolo e Remo, simbolismo oggetto di un articolo interessante e ben documentato scritto da Francesco Parisi in precedenza su queste stesse pagine, vorrei riprendere la storia della fondazione di Roma da dove Francesco l’ha lasciata, seguendo l’idea che il racconto della fondazione non è solo un fatto mitico creato dal sovrapporsi di varie leggende, ma la trasmissione di un evento metafisico che, lungi da essere lontano nel tempo, ci riguarda ancora oggi più di quanto potremmo mai immaginare.
21 secoli fa nel 753 a.c. secondo Varone Plutarco Tito Livio, e secondo oltre 200 autori antichi, avviene, durante la festa della pariglia, la Fondazione di Roma. Le pariglie sono le feste dei pastori, ancora una volta nel contesto mitico ritorna il simbolo del pastore come protagonista di una fondazione o più in generale di una Teofania[1].
Ma nello specifico questi pastori che cosa facevano durante queste festività? Il rituale delle pariglie consisteva nel saltare dei fuochi accesi; secondo le tradizioni popolari questi riti servivano a propiziare la fertilità delle capre. In realtà il rito del salto dei giovani guerrieri attraverso il fuoco è un rito di passaggio antichissimo di tipo misterico e iniziatico, che si può rintracciare nelle più antiche comunità di ceppo indoeuropeo. Il salto nel fuoco suggerisce l’idea di una preliminare purificazione e di un passaggio necessario, da una parte all’altra di una sponda o di una terra, attraverso l’azione di un fuoco purificatore. Bisogna effettuare un passaggio attraverso il fuoco per dare inizio ad un’impresa di tipo realmente spirituale, bisogna che l’uomo vecchio lasci il posto all’uomo nuovo.
Ma prima di poter dar luogo ad un atto di fondazione a carattere Sacro era necessario sapere quale sarebbe stato il candidato scelto dalla volontà divina, chi sarà chiamato ad assolvere una tale missione Romolo o Remo? Secondo la leggenda Romolo vuole fondare la Città sul Palatino, Remo la vuole fondare sull’Aventino. Per poter decidere chi e dove sarebbe sorta la città, fu interpellato un Augure, il sacerdote specializzato nella tradizione religiosa Etrusca prima e romana poi, all’interpretazione della volontà degli Dei o “auspici”. L’Augure viene sempre rappresentato vestito delle classiche vesti bianche e con in pugno il Lituus, lo strumento sacro utilizzato per dividere il cielo, tracciare i confini del Templum Celeste. Secondo i racconti, i sacerdoti si recarono uno sul Palatino, dove aspettava Romolo raccolto in preghiera e con il capo velato e uno sull’Aventino luogo prediletto da Remo. Gli Augure esaminano entrambi i fratelli, poi volgendosi con gli occhi a scrutare il cielo che avevano preliminarmente diviso, dopo aver pronunciato le parole di un rituale antichissimo, attesero che gli Dei palesassero la loro volontà.
L’augure secondo la tradizione etrusca divideva con il Lituus il cielo in sedici parti, alcune di queste erano fauste, cioè fortunate, altre erano infauste o sfortunate. Quindi il momento, la specie e la direzione che percorrevano gli uccelli nel cielo così diviso, indicavano la forza e il carattere del segno che esprimeva la volontà divina.
Quando il sacerdote osservò il cielo alle spalle di Remo vide gli uccelli arrivare da Sud, una direzione infausta, vide sei uccelli volare nel cielo. Quando l’Augure sul Palatino esplorò il cielo per guardare il segno riservato a Romolo, vide gli uccelli arrivare da nord-est direzione favorevole, contò dodici avvoltoi volare nel cielo, numero e specie propizia e solare per eccellenza, quindi l’eletto per volontà divina, l’Augusto è Romolo.
Il termine Augusto ha un significato molto particolare nella religiosità romana, noi comunemente lo associamo al nome che gli imperatori assumeranno da Ottaviano in poi, ma in realtà il termine Augusto rappresenta una qualità o meglio una particolare dignità riservata ad un luogo o ad un personaggio speciale. L’Augusto indicava un consacrato, cioè un uomo separato dal mondo profano e riempito o meglio abitato dalla presenza di Dio. L’uomo prescelto dal Nume veniva transustanziato, cambiava natura non era più lui, la sua sostanza non era più umana ma simile a quella divina. Questa discesa del divino nell’umano lo rendeva degno di fondare un epicentro di spiritualità, l’Omphalos o centro del mondo.
Ricevuta la consacrazione o la discesa della presenza particolare del Nume nel prescelto, Romolo Augusto deve consacrare, cioè conquistare e separare dal mondo profano, uno spazio sacro riservato alla divinità, dove insediare la presenza Divina. Per questo Romolo si volge verso il colle sacro che ha scelto, il Palatino. Il 23 marzo giorno del tubilustrium, festa della purificazione che seguiva i cinque giorni sacri a Marte, Romolo abbigliato da sacerdote e impugnata una lancia di corniolo la scaglierà in direzione del colle prescelto. Secondo i miti della fondazione, quando la lancia si conficcò nel terreno divenne un albero vivo: racconta Tito Livio che il corniolo conficcatosi nel terreno mise miracolosamente radici e fiorì, intorno a quell’albero che visse molti secoli i romani costruirono un tempio che fu molto venerato dalla gens quirina. Il corniolo è una pianta caratterizzata da un legno durissimo e ricco di profondi significati simbolici, rappresenta anche un potere nascosto, cioè un potere invisibile, una forza che si manifesta quando le condizioni si fanno adatte. Questo atto drammaturgico, mosso da un intento spirituale, sembra rappresentare un atto di esorcismo, è quindi un atto di conquista tipico dell’espressione di un potere spirituale dal carattere sacerdotale e guerriero.
Poi sempre secondo la leggenda, il prescelto Romolo, manderà a chiamare i sacerdoti etruschi, i Lucumoni, che gli insegneranno i misteri della fondazione di una Città e gli faranno dono dei libri Rituales, i libri sacri che i sacerdoti etruschi si tramandavano gelosamente, libri che custodivano i rituali che avevano il potere di provocare la discesa della divinità nel luogo di elezione. La trasmissione dei libri, rappresenta simbolicamente, il passaggio della Sapienza Sacerdotale Etrusca a colui che avrebbe fondato un nuovo epicentro di spiritualità. Romolo si presenta come il rinnovatore del precedente ciclo di manifestazione, ciclo rappresentato dai sapienti etruschi, che stava andando incontro al suo ineluttabile tramonto per lasciare il posto al nuovo ciclo rappresentato da Roma.
Asceso sulla cima del Palatino, Romolo si volge verso Albano, lì dove sorgeva l’Antico Tempio di Giove, perché vuole ottenere l’Augurium, cioè la consacrazione del Palatino attraverso la traslazione della presenza divina di Giove da Alba Longa, la città fondata dal suo Avo Ascanio, dove sorgeva il Tempio di Iupiter Latiaris, massima divinità dei latini. A questo punto, rivolto verso la casa di Giove, il futuro Re di Roma traccia un solco, delimitando lo spazio sacro, e lo fa utilizzando un aratro trainato da due buoi, più esattamente da un Bue e da un Vacca, maschio e femmina, uno bianco e uno nero.
L’aratro era forgiato nel Bronzo, perché l’aratura del Re non fu l’atto di un contadino ma quella di un sacerdote che fa il Sacro. Circoscrivendo il Pomerium Romolo alza l’aratro in prossimità di tre porte, solo tre porte per entrare ed uscire, il resto è interdetto, invalicabile. Il Pomerium tracciato da Romolo ha una suggestiva forma trapezoidale, quasi fosse un contenitore, una coppa che aveva lo scopo di accogliere la presenza di Giove e il suo Augurium come in un contenitore, in un’arca pronta a custodire il mistero della Presenza Divina.
Fatto questo, crea e consacra la città, di fatto fonda un Tempio. Plutarco scrisse di questa fondazione con dovizia di particolari, vale la pena citarlo per intero nella sua descrizione di quel momento: “Per prima cosa Romolo chiamò dall’Etruria degli esperti, che gli spiegarono e insegnarono minuziosamente il cerimoniale prescritto dai sacri come se si trattasse di un rito magico. Quindi fu scavato un fosso rotondo, del perimetro dell’attuale Comizio, e vi furono riposte le primizie di tutte le cose sancite dalla natura come necessarie alla vita umana. Poi ciascuno portò una manciata di terra del paese dal quale proveniva, e la gettò tra le primizie confondendole tutte assieme. Indi, preso il fosso, che designano con il nome usato anche per l’Universo, e cioè mundus, come centro di un cerchio, tracciarono in giro il perimetro della città”[2]. Quindi da questo cerchio traccerà un perimetro perché quello è l’Omphalos, ombelico al centro del mondo, il centro in cui discende e poi si irradia la presenza divina, luogo dove la Divinità va ad abitare, immagine del Cosmos che si contrappone al Caos, è il Tempio.
È a quel punto che Romolo pronuncia i Nomi segreti della Città. Abbigliato come un sacerdote etrusco impugnando il Lituus compie l’atto Sacro per eccellenza “Suona e Canta”. Romolo portando alle labbra il Lituus suonerà la nota sacra, perché il Lituus non era solo un bastone sacerdotale necessario a dividere cerimonialmente lo spazio celeste, ma era anche uno strumento musicale che emetteva delle note, e lui suonerà delle note misteriose dal Palatino pronunciando e cantando il Nome profano della Città Roma, nome che tutti conosciamo, poi il Nome Sacro ed infine il Nome Misterioso, quel nome che era vietato pronunciare o rivelare.
Quando questo nome si poteva pronunciare? Soltanto una volta l’anno, quando si celebravano i fasti della ricorrenza della fondazione della città, tra i suoni dei cembali, il battere incessante dei tamburi ed il caos prodotto dal popolo Romano acclamante il Rex Sacrorum, il Pontefice massimo che pronunciava sicuro di non essere ascoltato da nessuno, il Nome Misterioso di Roma.
Questo rito ricorda da vicino il medesimo rituale che il Grande Sacerdote svolgeva a Gerusalemme durante la festa dello Yom Kippur, festa della purificazione, giorno in cui tra il clamore assordante dei cembali e del popolo festante veniva pronunciato il Gran Nome segreto del Tetragrammaton, il nome di Dio di quattro lettere. Perché Roma aveva un Nome segreto? Perché il Nome era considerato il luogo del Nume, rappresentava la presenza reale e divina dell’intelligenza celeste che abitava e vivificava la Città Tempio. Conoscere il Nome del Nume tutelare di una città, dava la possibilità di entrare in relazione con la divinità stessa; questa conoscenza metteva in grande pericolo l’esistenza stessa dell’Urbe. Questa concezione, che fa trapelare la conoscenza di una ben precisa dottrina teurgica sull’uso dei nomi divini, viene tramandata dalla storia romana attraverso il velo del mito nel racconto della guerra contro i Veiensi.
Roma conobbe tra i primi e più acerrimi nemici alcune città stato etrusche e tra queste la fiera e potente città di Veio. Veio combatterà una guerra contro la nascente potenza romana che durò trenta anni. Stranamente il racconto della guerra contro Veio ha più di qualche punto in comune con l’Iliade di Omero. Ma come i romani ottennero la vittoria contro gli acerrimi nemici Veiensi? Si racconta che il console Marco Furio Camillo ordinò di scavare un tunnel sotto le mura, un tunnel che sbucasse sotto il tempio di Giunone, Dea protettrice di Veio. Scavato il passaggio mandò un gruppo di sacerdoti e soldati a rapire la statua della Dea onde portarla in solenne processione a Roma e promettendo alla Dea stessa che se avesse abbandonato Veio nelle mani romane, gli sarebbero stati resi grandi onori e sarebbe entrata a far parte degli Dei protettori della Città. Sempre secondo la leggenda Giunone si compiacque dei romani e abbandonando la città ne decretò rapidamente la sconfitta.
Questa storia rappresenta, molto probabilmente, una cerimonia che i romani svolsero dopo aver scoperto i nomi misteriosi con cui invocare la dea tutelare della Città, costringendola in qualche modo a lasciare la sua difesa. Queste cerimonie, in cui i sacerdoti romani evocavano in virtù dei Nomi Sacri le divinità delle città da assediare, erano abbastanza diffuse nella ritualità guerriera romana; ci sono arrivate testimonianze delle medesime cerimonie svolte prima di attaccare Cartagine, quando il Generale Scipione cantò il carme rituale sotto le mura della città assediata, ed in diverse altre occasioni.
Anche nella tradizione segreta di Israele si diede grande importanza alla scienza segreta del Nome e dei signori del Nome, i Baal Shem, conosciuti in occidente attraverso le traduzioni dei primi testi cabalistici apparsi in Andalusia introno al XII secolo. È per questo motivo che il nome di Roma sarà custodito in grandissimo segreto. Ci fu un tribuno della plebe, Valerio Sorano, che rivelò il nome segreto e per questo venne crocefisso, proprio perché una tale profanazione metteva in pericolo l’esistenza stessa della Patria.
Quindi tracciare e fondare la città Tempio, la Roma Quadrata, per accogliere la Divina presenza del Dio fu la prima impresa di Romolo, a cui seguirono altre due imprese la traslazione del fuoco Sacro e la divisione dello spazio e del Tempo. “Roma è così il “tempio”, la sede terrena di un nuovo Centro di irradiazione, il luogo segreto dove si trasferisce la Sapienza Arcaica, ritiratasi dagli antichi centri iniziatici delle civiltà in fase di sgretolamento, dalle “terre inaridite”, per approdare con Enea in una nuova terra, la “terra vergine”, la feconda “terra nera” o “terra di Saturno”, l’Italia, la “terra dei tori”, per un nuovo giorno di manifestazione. Romolo, figlio del Sole (Ilion), portatore del Lituus, lo scettro etrusco, è il “Raggio di Sole” che feconda la terra nera di Saturno, il primo Re d’Italia, il fondatore di Roma.”[3]
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[1] cfr. Commento al Vangelo di Matteo di Origene, Ed. Città Nuova. [2] “Vita di Romolo” Plutarco. [3] “La Vergine dell’Infinito” Alessandro Benassai
ITINERARIO Durante questo itinerario visiteremo le costruzioni che affacciano sul Decumano Massimo che dal Bivio del Castrum si dirige verso Porta Marina, lasciandoci alle spalle il Macellum. Superata Porta Marina vireremo in direzione sud-ovest fino a raggiungere la Sinagoga. Tornando indietro sui nostri passi torneremo verso il Decumano Massimo dove visiteremo la domus dell'Opus Sectile che affacciava direttamente sulla spiaggia, per poi entrare nel quartiere di epoca adrianea delle cosiddette Case Giardino, quartiere edificato seguendo un ordinatissimo piano regolatore.
PERCORSO
Decumano Massimo verso Porta Marina
Al Bivio di Castrum, all'angolo fra il Decumano Massimo e Via della Foce è uncaseggiato dell'epoca di Marco Aurelio e delle botteghe. Ognuno di questi negozi aveva nel retro bottega una scala e una latrina, tranne quello d'angolo tra le due vie che presentava una scala esterna.
La parte nord del caseggiato costeggia gli ambienti delle Terme della Basilica Cristiana.
scala esterna (al Bivio di Castrum) accanto al negozio d'angolo del caseggiato
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Sul lato opposto del Decumano accanto alle Tabernae dei Pescivendoli si trova un'insula di epoca adrianea, con botteghe che affacciano sul Decumano Massimo e sul Vicolo del Dioniso, un vicolo lastricato chiuso che l'attraversa centralmente da nord verso sud.
resti dell'insula adrianea
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Tornati sul Decumano sul lato destro segue la
Basilica Cristiana
La cosiddetta Basilica Cristiana fu scoperta e scavata nel 1939 da Guido Calza, il quale trovò una struttura tardoantica databile al IV secolo (opus vittatum, opus latericium, muratura in macerie), costruita sopra strutture di età traianea: una fila di botteghe, una strada che collegava Via della Foce con il Decumano Massimo, alcuni ambienti delle adiacenti Terme della Basilica Cristiana, un piccolo caseggiato con cortile.
Anche se in passato venne identificata come una basilica cristiana, in seguito a nuove iscrizioni ritrovate, oggi si pensa possa trattarsi di un ninfeo trasformato in una scuola per catecumeni, o forse la sede di una setta cristiana (come ad esempio gli Ariani) che oggi consideriamo come eretica.
Recenti indagini archeologiche avrebbero identificato un edificio che potrebbe essere una chiesa di epoca Costantiniana, questo edificio non è ancora stato scavato e si troverebbe a circa metà strada fra porta Romana e Porta Laurentina. Per leggere del ritrovamento CLICCA QUI.
L'edificio lungo e stretto di pianta irregolare, è composto da due navate absidate separate da 4 colonne e una porta.
Un vestibolo conduce alla navata principale, affiancata a nord-est da tre cappelle.Queste stanze originariamente facevano parte di un ambiente termale di cui altri resti sono stati trovati nell'edificio adiacente. Sotto all'attuale calpestio delle 3 cappelle sono stati individuati i resti di un pavimento termale con suspensurae. All'ingresso di ogni cappella ci sono due colonne e una soglia in travertino. Su una delle colonne della sala F c'è l'iscrizione: VOLVSIANI V (ir) C (larissimus)
La colonna proviene dal deposito dei marmi ritrovato nell'adiacente Tempio dei Fabri Navales, dove lo stesso testo è stato trovato su più colonne. Questo Volusiano visse nel IV o all'inizio del V secolo d.C.
La zona absidata della navata principale è ad un livello più basso ed ha due nicchie semicircolari per statue.
Sul lato nord-est dell'abside vi è una piccola stanza anch'essa absidata, preceduta da gradini, fiancheggiata da altre due stanze.
Anche la seconda navata è raggiungibile dal Decumano Massimo. La navata minore termina anch'essa con una sala absidata, con cinque nicchie nel muro, provvista ognuna di una bacinella e di un foro nella parete dal quale usciva acqua (probabilmente un ninfeo). Lungo la parete absidata era una lunga vasca per la raccolta dell'acqua.
A sud-ovest della navata minore si può accedere ad un ambiente appartenuto all'adiacente caseggiato.
Nella navata di sinistra, su di un'architrave è possibile vedere un'iscrizione dei nomi dei quattro fiumi del paradiso terrestre.Due colonne, che sorreggono un'architrave con iscrizione, precedono la zona absidata della navata minore. L'iscrizione riporta i nomi dei quattro fiumi paradisiaci (Geon, Fison, Tigri ed Eufrate).
L'architrave è stato trovato da Calza vicino all'edificio. Calza notò che l'architrave calzava perfettamente posizionandola fra i due pilastri della pergula divisoria dello spazio liturgico del coro da quello della navata.
È composto da due blocchi di marmo e ha una lunghezza totale di 3,85. Uno dei blocchi era stato utilizzato come soglia.
Sono state lette tracce di una singola riga, contenente nomi: [---] S ALEXANDER [---] AMMIVS [---] IGENIVS [---] V C [---] STINIANVS
Sul lato prospiciente la sala E c'è un'iscrizione, che Calza lesse e comprese come segue: IN XP GEON FISON TIGRIS EVFRATA (ramo di palma) {TI} CRI [ST] IANORVM SVMITE FONTES (foglia).
Calza suggerisce che le prime due lettere della seconda riga sono un errore e dovrebbero essere trascurate.
Basilica Cristiana, colonne che dividono le due navate della Basilica Cristiana
colonne che separano le due zone absidate delle due navate della Basilica Cristiana
le tre cappelle della Basilica Cristiana
colonna con la scritta VOLVSIANI V C
zona absidata con nicchie della navata principale
nicchie dell'abside della navata minore della Basilica Cristiana (ninfeo)
colonne con architrave iscritta che separano la navata minore dalla sua zona absidata
iscrizione (poco leggibile!) sull'architrave della Basilica Cristiana
mensa ponderaria ritrovata nella Basilica Cristiana
Una mensa ponderaria (una lastra con cavità per verificare la conformità ai pesi standard) è stata qui ritrovata.
La mensa ponderaria era uno strumento necessario a garantire la correttezza degli scambi perchè aiutava a convertire le diverse unità di misura dei commercianti provenienti da diversi angoli dell'impero nelle unità di misura valide a Roma.
A questo scopo fu realizzata una tavola di pietra con diverse cavità dove venivano conservate le unità di peso da applicare.
Le operazioni venivano svolte alla presenza di magistrati per evitare abusi e truffe.
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La basilica riutilizza in parte spazi riadattati di un adiacente impiamto termale di epoca traianea:
Le Terme della Basilica Cristiana
ambienti e negozio della Terme della Basilica Cristiana
Affacciano sul Decumano Massimo sono quattro negozi che fanno parte del lato meridionale dell'edificio.
corridoio d'ingresso alle Terme della Basilica
L'ingresso era posto su Via della Foce, seguito da un lungo corridoio che permetteva di accedere ad una palestra, dietro la quale vi era un ambiente con panchine.
Gli ambienti della parte ovest dell'edificio, divenuti poi parte della Basilica Cristiana, circondavano una sala con bacino con nicchie semicircolari esterne in marmo.
bacino con nicchie in un'ambiente della zona ovest delle Terme della Basilica
Oggi in questa sala (che si può vedere dalla Basilica Cristiana), è stata posta la statua della Fortuna, ritrovata negli scavi della basilica.
statua della Fortuna ritrovata nella Basilica Cristiana (oggi in una sala delle Terme della Basilica Cristiana) - a destra della statua il frigidarium delle Terme della Basilica
Nella zona est vi era il frigidarium con grande vasca e pavimento a mosaico con Nereidi ed un amorino.
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Accanto alla cosìddetta Basilica Cristiana si trova il Tempio dei Fabri Navales. Tempio dei Fabbri Navali
Il tempio dei carpentieri navali (la cui sede sociale era probabilmente nell'antistante Schola di Traiano), fu costruito durante i regni di Marco Aurelio e di Commodo sopra una fullonica (tintoria). La più grande fullonica della città, obliterata alla fine del II s. dal tempio dei Fabbri Navali, era composta da due cortili (uno dietro e l'altro sotto il tempio), circondati da camere.
L'edificio del tempio si raggiungeva tramite un corridoio tra due negozi.Costituito da un cortile rettangolare, circondato da un portico pilastrato, alla fine del quale c'è il tempio.
Un mosaico con nave, che hanno fatto pensare alla gilda dei fabri navales.
In un angolo del cortile, è conservata la base di una statua, con sopra un'iscrizione "P. Martius Philippus", patrono dei fabri navales. Presso il cortile sono state rinvenute cataste di colonne e capitelli, forse a testimoniare l'utilizzo di questo, nel tardo impero, come deposito di marmi.
Precede il tempio un cortile porticato con pilastri in mattoni.
Il lato del portico più prossimo all'ingresso è più ampio e per questo ha due pilastri aggiuntivi.
Nel cortile vi era un bacino rettangolare.
Il tempio si ergeva su di un alto podio e si raggiungeva tramite una scala in marmo.
Dietro il tempio vi era una zona affiancata da portici (forse per le riunioni).
Sono stati trovati nel cortile 47 colonne, 20 basi e molti capitelli non finiti, di marmo greco.
Alcune colonne hanno inciso il nome di C.Ceionius Rufus Volusianus Lampadius, prefetto dell'Urbe o suo nipote, prefetto del pretorio.
Volusianus forse ha abitato nella Domus dei Dioscuri e aveva tra i suoi progetti la costruzione della Basilica Cristiana adiacente a questo tempio.
ingresso al Tempio dei Fabri Navales
Tempio dei Fabri Navales
iscrizione dedicata a P.Martius Philippus
cortile del Tempio dei Fabri Navales (visto dal podio del tempio)
scala d'accesso al Tempio dei Fabri Navales
camera sotto il podio del tempio
colonne depositate nel cortile del Tempio dei Fabri Navales
basi e colonne depositate nel cortile del Tempio dei Fabri Navales
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Schola del Traiano Nata nel II sec. d.C., sopra precedenti domus, era la sede del collegio dei fabri navales,una importante corporazione di Ostia, che comprendeva costruttori di navi, armatori e carpentieri e deteneva il controllo della flotta mercantile.
Preceduto da un'esedra semicircolare pavimentata in marmo, un tempo decorata con quattro colonne in marmo (ne rimane oggi solo una in sito) e due nicchie-fontane semicircolari. Dietro la schola c'è l'Angiportico delle Tabernae Finestrate.
All'interno della schola fu rinvenuta statua loricata dell'imperatore Traiano, venerato dalla corporazione, per il beneficio ottenuto dalla sua opera di ampliamento del porto e dei canali navali.
Pavimento di marmo e originariamente ornata di statue e colonne; internamente un ampio cortile, al centro del quale c'è una lunga vasca con delle nicchiette interne; in fondo una sala centrale con ingresso colonnato e un mosaico in bianco e nero che raffigura geni alati e animali.
Sul lato sinistro del cortile, è possibile osservare un breve tratto della domus del I sec. a.C., di cui è visibile il pavimento in mosaico con composizione geometrica.
1. Sala della statua di Traiano 2. Resti della Domus del I sec. a.C.
esedra d'ingresso della Schola del Traiano
L'edificio, costruito durante il regno di Antonino Pio (II secolo d.C.), fu costruito nello spazio precedentemente occupato da due domus: la Domus dei Bucrani (I secolo a.C.) e la Domus del Peristilio (I/II secolo d.C.).
Tramite l'esedra d'ingresso, affiancata da botteghe e da una scala, si accedeva ad un vestibolo che presentava sul lato sud due colonne di marmo, il passaggio verso un grande peristilio.
Il vestibolo era fiancheggiato da camere simmetriche sui due lati, di cui 2 presentano pavimenti riscaldati. Erano qui presenti anche scale che conducevano al primo piano o alle cantine.
Nell'ambiente sotto ad una camera orientale di questa zona è stata trovata la statua di Traiano che ha dato il nome all'edificio.
Traiano loricato (dalla Schola del Traiano - Museo Ostiense)
Qui i pavimenti erano in opus sectile, e le pareti ricoperte in marmo o stuccate in gesso.
Il peristilio (19,50X36m) era circondato in origine da un portico con colonne in mattoni intonacati e basi e capitelli in marmo.
Al centro vi era una lunga vasca con nicchie semicircolari.
Le stanze della zona sud furono aggiunte nel III secolo d.C. facendo sparire parte del peristilio.
peristilio della Schola del Traiano visto dall'angolo sud-ovest
zona centrale del peristilio con vasca della Schola del Traiano
particolare di una colonna intonacata del peristilio
ambienti della zona meridionale della Schola del Traiano
La sala principale, una sala da pranzo, è preceduta da due colonne a spirale. Sul fondo della sala c'è una una nicchia semicircolare.
la sala da pranzo della Schola del Traiano
I pavimenti di quest'area sono in mosaico bianco e nero a motivi geometrici, con animali o amorini. Le pareti erano rivestite in marmo o in gesso che imitava con le pitture il marmo.
La sala è affiancata da camere più piccole, da una scala e da una latrina a quattro posti.
lato sud-occidentale della Schola del Traiano con latrina
latrina a quattro posti della Schola del Traiano
Nel lato orientale del cortile è stato ricostruito un tratto del peristilio pavimentato con mosaico geometrico a piccole tessere della domus del I secolo a.C.
peristilio della domus del I secolo a.C.
pavimento a mosaico del portico della domus del I secolo a.C.
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Ritornati sul Decumano Massimo troviamo le Terme delle Sei Colonne, con botteghe di epoca traianea che fronteggiano la strada. Una di queste botteghe era un "bar", vicino al quale vi era una latrina.
Un corridoio posto tra le botteghe conduceva all'interno delle terme e al loro cortile colonnato con sei colonne (da qui il nome dei bagni), che ha sostituito la palestra. Le vasche del frigidarium si trovano nell'area sud-orientale.
cortile delle Terme delle Sei Colonne (visto da sud)
Una noria (ruota idraulica) era posta nella zona nord-occidentale.
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A sud delle Terme delle Sei Colonne, si trova una piccola insula, un edificio ad uso commerciale il cui ingresso avveniva da sud tramite un arco in mattoni di epoca adrianea, appartenuto ad un altro edificio. L'edificio aveva anche un'apertura sul lato est con il Cortile del Dioniso. Nella parete di fondo venne creata una nicchia quadrata arcuata. Nell'edificio vi erano, divise da un corridoio centrale, sei camere.
arco a sud dell'insula
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Nella sala sud-orientale dell'insula venne istallato nel I secolo d.C. il Mitreo delle Sette Porte. (aprono solo in alcune occasioni speciali).
Nella parete di fondo venne creata una nicchia quadrata arcuata. Davanti vi è un altare in muratura intonacato di bianco. I podia vennero ricoperti da mosaico. Nella parte verticale di questi, a metà del mitreo, vi erano due nicchie con piccolo altare di marmo. In una di queste nicchie è stato trovato un vaso in terracotta contenente ossa di coniglio e di pollo. Sopra i podia le pareti sono affrescate con un giardino, mentre la parete dietro l'altare è dipinta in blu con macchie rosse. Sul mosaico in bianco e nero del pavimento tra i podia è rappresentato un cancello centrale con colonne che sostengono un arco con merli e pinnacoli, e dl quale pende un oscillum. Su ogni lato del cancello vi sono tre porte.
Le sette porte rappresentano le sette sfere planetarie attraverso cui passavano le anime degli iniziati al culto di Mitra. Sempre sul pavimento a mosaico sono stati raffigurati i pianeti Giove e Saturno, un cratere, un serpente che esce da una roccia, e un uccello con un fulmine.
Nel pavimento del mitreo vi è un vaso in terracotta affiancato da lastre quadrate di marmo perforate da una fistula in piombo. Nella nicchia sarà stato rappresentato il Sole. Lungo i podia sono invece raffigurati quattro pianeti: Mercurio, Marte, Venere Anadiomene e la Luna.
Motivi floreali sono rappresentati sia sul lato verticale che su quello orizzontale dei podia. Sui pilastrini di testa dei podia, erano rappresentati (oggi quasi scomparsi), Cautes e Cautopates.
le "sette porte" del mosaico del Mitreo delle Sette Porte
rappresentazione di Venere Anadiomene sul mosaico del podium
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Tornati sul Decumano Massimo incontriamo sul lato sinistro
il Portico del Caseggiato della Fontana a Lucerna.
Un lungo edificio a portico, che prende il nome dalla fontana in marmo, presente sulla via; nato nel 125 d.C. su un altro edificio porticato, ancora visibile in alcuni tratti. Al piano terra c'erano le botteghe, ai piani superiori le abitazioni.
Tre erano i "bar" posti sotto i portici.
Portico e Caseggiato della Fontana a Lucerna
Portico e Caseggiato prendono il nome dallafontanain marmo posta sulla strada.
fontana a lucerna
La fontana è costituita da una vasca nella quale vi è una colonna la cui sommità imita una lampada ad olio con sette beccucci simili a stoppini, ma dai quali usciva acqua.
La fontana aveva un tetto sostenuto da quattro colonnine scanalate, e una decorazione ad archetti dal lato della strada.
particolari della fontana a lucerna
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Al termine del Portico della Fontana a Lucerna si è giunti a Porta Marina, la porta della città che dava sul litorale marino.
Porta Marina vista da fuori delle mura sillane
Al tempo dei Romani il mare era a circa un centinaio di metri dalla porta, di cui rimangono alcuni conci in tufo e tracce del basolato.
La Porta Marina, facente parte della cinta muraria di epoca sillana, era stata costruita in opera quadra e aveva torri sporgenti.
conci in tufo e basoli di Porta Marina
Caupona di Alexander e Helix
Quando le mura fortificate repubblicane non servirono più, in quanto Roma aveva espanso il suo territorio e allontanato così di molto i suoi nemici, altri edifici vennero costruiti o istallati sulle strutture difensive. E' questo il caso dellaCaupona di Alexander e Helix.
interno della Caupona di Alexander e Helix
Nel II secolo d.C infatti, una delle due torri che fiancheggiavano Porta Marina fu occupata da questa osteria che prende il nome dalla scritta presente nel suo mosaico pavimentale.
scritta "ALEXANDER HELIX" sul pavimento della caupona e vasca-fontana
In questo mosaico sono anche rappresentate in tre scene, Venere con specchio e amorinoalato che regge la sua cintura, due pugili-lottatori nell'atto di battersi (pancrazisti) con un calice e la palma della vittoria, e due danzatori grotteschi con bastoni e fallo (danza egiziana).
Venere e amorino
danzatori grotteschi con bastoni e fallo
Il retrobottega della caupona, dati i temi del mosaico, doveva essere adibito alla prostituzione.
bancone con doppio lavabo, stufa e scaffale della caupona
L'osteria conserva ancora, rivestiti in marmo, un bancone di mescita con doppio lavabo, uno scaffale a tre gradini in muratura, una stufa e una vaschetta-fontana al centro della sala.
scaffale a tre gradini
stufa
doppio lavabo con foro di scolo
vasca-fontana
Nell'angolo ovest forse vi era un santuario.
possibile santuario della caupona
Il suo ingresso sulla strada non è più agibile perché il livello stradale è stato riportato ad piano più antico.
accesso alla caupona dal Decumano Massimo
Si può quindi accedere oggi all'iterno della caupona dai due ingressi posti a nord-est e a sud-ovest.
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PORTA MARINA
Sotto Vespasiano, fu realizzato il primo lungomare e al contempo, sotto Domiziano, l’area fu collegata all’acquedotto, cosa che le assicurò la fornitura dell’acqua corrente, il che la rese assai più appetibile alla speculazione edilizia, la quale raggiunse il culmine sotto Adriano.
Grazie al diretto interesse dell’imperatore, che forse aveva delle proprietà in zona, fu realizzata una vasta lottizzazione, centrata sulle terme della Marciana, che prendono nome dalla sorella di Traiano, di cui fu ritrovata una statua, nella cui decorazione spicca un mosaico con atleti e su quelle del Sileno, che traggono il nome da un frammento di rilievo con maschere dionisiache rinvenuto nel corso degli scavi.
Tale speculazione di fatto trasformava la zona in una sorta di quartiere dedicato al benessere, pieno di locali notturni e cosa che pare strana, di luoghi di culti esotici: nell’area infatti vi erano sia numerosi mitrei, sia quella che forse è la più antica sinagoga d’occidente.
In età severiana, proprio per ribadire la vocazione turistica dell’area, il lungomare venne ristrutturato e selciato. Il boom della zona continua sino all’epoca dei Tetrarchi e di Massenzio che scelse Ostia come sede della zecca e molte famiglie patrizie vi si trasferirono, popolando anche il quartiere di Porta Marina.
Anche all’epoca dei Valentiniani, continuarono le costruzioni e le ristrutturazione degli edifici, ma a cominciare dagli ultimi due decenni del IV secolo, la crisi si fece sentire: se molti edifici furono abbandonati, furono al contempo costruiti diversi luoghi di culto cristiano e la straordinaria Domus dell’Opus Sectile, realizzata proprio a Porta Marina, la cui decorazione è conservata nel museo dell’Alto Medio Evo all’Eur. Domus che però è il canto del cigno del quartiere: nel V secolo Ostia risentì delle guerre e di una serie di cataclismi naturali, il terremoto del 442 d.C. o numerose esondazioni del Tevere, legate al cambiamento climatico in corso all’epoca.
Così il quartiere di Porta Marina fu abbandonato e diverse statue, portate nel centro della città: il suo destino fu il preludio alla morte di Ostia, che nel VIII era diventata una città fantasma, per poi essere abbandonata definitivamente nel IX secolo.
LA ZECCA DI MASSENZIO La zecca fu fondata da Massenzio nel 308/309 o nel 311, con personale proveniente dalla zecca di Carthago/Cartagine (chiusa a seguito della soppressione della ribellione di Lucio Domizio Alessandro), e funzionò fino al 313, quando, a seguito della vittoria riportata sullo stesso Massenzio, l'imperatore Costantino I, trasferì il personale alla nuova zecca di Arelate (moderna Arles).
La zecca di Ostia era molto vicina alla zecca di Roma, ma le due zecche romane servivano province differenti. La zecca di Roma riforniva la penisola, sotto la giurisdizione del rationalis summarum urbis Romae, mentre la zecca di Ostia dovrebbe aver rifornito le Tres Provinciae (Sicilia, Sardegna e Corsica) sotto la giurisdizione del rationalis trium provinciarum, e forse anche l'Africa.
La zecca di Ostia non ebbe vita lunga , anzi piuttosto breve , infatti emise solo monete degli Imperatori: Massenzio, Licinio, Massimino II, e Daia. Oltre ai quattro imperatori viventi, furono coniate anche monete postume alla morte, di altri personaggi, quali: Massimiano Erculeo, Galerio Massimiano, Costanzo Cloro e del figlio di Massenzio, Romolo, morto giovinetto.
La zecca venne chiusa probabilmente nel 314, quando, a seguito della vittoria riportata sullo stesso Massenzio, Costantino trasferì tutto il personale di Ostia presso la nuova zecca di Arelate aperta appunto in quegli anni.
Per questi motivi , estrema brevita’ di vita della zecca , circa sei , sette anni al massimo e successivo trasferimento del personale e del materiale ad Arelate , non e’ stata trovata traccia archeologica delle officine della zecca , anche perche’ probabilmente i locali furono riadattati ad altri usi quando questa fu chiusa , quindi la ricerca archeologica e’ estremamente difficoltosa , inoltre e’ anche possibile che le officine non siano state trovate perche’ ancora non scoperte archeologicamente e giacciono tutt’ora sotto gli alti sedimenti alluvionali del Tevere ; molte zone di Ostia antica sono ancora da scavare; infatti Ostia antica , a livello archeologico , e’ un po’ come Pompei , molte parti della vecchia citta’ sono ancora sepolte , anziche’ sotto la cenere , sotto i sedimenti alluvionali del Tevere trasportati in migliaia di anni .
Le officine della zecca di Ostia, conosciute sulle emissioni degli Imperatori su elencati, dovrebbero essere state in tutto quattro, poiche’ dopo la scritta MOST, compaiano le lettere : A , P , S , T e Q , dove per A dovrebbe stare per : Augusta , quindi seguono officina: Prima, Seconda, Terza e Quarta, mentre la M prima di OST dovrebbe significare Moneta Ostiense .
Sappiamo che la zecca di Ostia provvedeva al rifornimento monetario dell’ Africa, della Sicilia, della Sardegna e della Corsica, provincie sotto la giurisdizione di Massenzio, oltre naturalmente all’ Italia, al cui rifornimento provvedevano la zecca principale di Roma per il Centro Sud, oltre a quelle di Ticinum e Aquileia per il Nord; con questo si spiega il perche’ di ben quattro o forse cinque officine monetali ad Ostia.
Ma dove potevano essere ubicate le officine di Ostia , in citta’ ?
In mancanza di qualsiasi indizio archeologico possiamo solo provare ad immaginarlo; Ostia antica nel suo massimo splendore era una grande citta’ suddivisa in cinque Regioni, forse contenenti ognuna rispettivamente le cinque officine monetali, oppure queste erano concentrate vicine tra loro in una unica Regione tra le cinque esistenti.
Prendendo riferimento alla prima zecca di Roma sul Campidoglio potremmo pensare che la zecca si trovasse nei pressi del Campidoglio ostiense.
*Ostia antica era suddivisa in cinque Regioni, ogni Regione a sua volta era suddivisa da un minimo di dodici Isolati ad un massimo di venti isolati.
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Il piazzale che si trova subito fuori Porta Marina costituiva il Foro di Porta Marina, dedicato al mercato, un recinto di forma quasi quadrata, con un lato di circa 40 metri, con un ingresso tripartito, circondato da un portico su tre lati e con un’ampia abside sul fondo.
Nell’area circostante sorgeva un enorme mausoleo, che, dalla decorazione marmorea ritrovata, doveva celebrare un ammiraglio. Mausoleo che, durante l’inverno, era spesso vittima delle mareggiate: la situazione cambiò in età flavia, quando la spiaggia si era leggermente ingrandita.
Il Foro
colonnato su tre lati e con pavimento in marmo, aveva una triplice entrata sul Decumano Massimo, ogni ingresso era incorniciato da due colonne.
La parete di fondo presenta una stanza con abside. Anche sui due lati ortogonali vi è al centro una stanza. Nella piazza vi è anche una struttura in muratura, forse un altare.
ingresso tramite colonne al Foro di Porta Marina (a sinistra) e al Santuario della Bona Dea (a destra)
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A fianco del Foro di Porta Marina sorgeva il
Santuario della Bona Dea.
Santuario della Bona Dea
Questo Santuario del I secolo d.C., dedicato alla dea della fertilità e della salute, adorata solo dalle donne, fu raso al suolo nella tarda antichità, ed è per questo che rimangono solo muretti bassi.
In origine circondato da un alto muro che ne impediva la vista da strada, il Santuario era composto da un cortile porticato preceduto da un corridoio, e da un piccolo tempio che affacciava sul cortile, preceduto da quattro colonne. Davanti al tempio c'era un altare in tufo.
In una fase successiva vennero separati dal Santuario alcuni ambienti a fianco alla cella del tempio.
Sono state trovate cinque copie identiche di lastre con l'iscrizione dedicatoria del Santuario. I frammenti di una di queste sono stati posti sul muro perimetrale, le altre lastre marmoree sono state invece riutilizzate in altre parti della città.
Il santuario di Bona Dea, probabilmente l’equivalente latino della Signora dei Serpenti Micenea, identificata con la moglie di Fauno.
Secondo il mito, questa era molto abile in tutte le arti domestiche e molto pudica, al punto di non uscire dalla propria camera e di non vedere altro uomo che suo marito. Un giorno però trovò una brocca di vino, la bevve e si ubriacò. Suo marito la castigò a tal punto con verghe di mirto che ne morì.
Che si trattasse di un culto residuale dell’età del Bronzo, lo testimoniano diversi indizi: il fatto che fosse un mIsteria, con il rituali, da cui erano esclusi gli uomini, coperti da segreto, come a Eleusi… Da quello che sappiamo a spizzichi e bocconi, come vittima sacrificale veniva offerta alla dea una scrofa; la sala della festa si ornava di tralci di vite, mentre non doveva comparirvi il mirto; nel rito, accompagnato da musica e da danze, aveva larga parte anche il vino, il quale però veniva sempre ricordato con falso nome.
Il tempio di Ostia fu fatto costruire da P. Lucilio Gamala(lo stesso che fece costruire i 4 templi repubblicani posti vicino al Teatro. I Lucilii Gamalae, eminente famiglia dell’élite municipale ostiense, sono stati presenti nella vita pubblica della colonia per oltre due secoli e mezzo, dalla tarda età repubblicana all’età antonina, ricoprendo ruoli civili e religiosi di primo piano con una continuità eccezionale), come dichiarazione di supporto politico a favore di Cicerone, visto che il suo nemico Clodio, era stato coinvolto in un brutto scandalo.
Nel 62 a.C. Publio Clodio Pulcro (I Claudii Pulchri furono un ramo patrizio della romanagens Claudia distintosi particolarmente durante il periodo repubblicano) amante di Pompea, moglie di Cesare, era stato eletto come questore per l’anno successivo (61 a.C.) e nel dicembre del 62 a.C. era in attesa di ottenere ufficialmente l’incarico di amministratore finanziario di una delle province dell’Impero. La notte tra il 4 ed il 5 dicembre si celebravano i Damia, le festività in onore della Bona Dea, che in quell’occasione venivano svolti nella casa di Cesare, che ricopriva la carica di Pontifex Maximus, ed erano ovviamente vietati agli uomini e officiati esclusivamente da donne. Non è ben chiaro per quale motivo lo fece, fatto sta che quella notte Clodio decise di travestirsi da donna per poter entrare in casa mentre si preparava ogni cosa per la cerimonia. Scelse le vesti da flautista per non essere riconosciuto e si presentò ad Abra, una delle ancelle di Pompea che era a conoscenza della loro relazione. La schiava andò ad avvertire la padrona della presenza di Clodio, ma nello stesso momento un’altra ancella lo vide e diede l’allarme. Tutte le donne presenti in casa accorsero, compresa la madre di Cesare, Aurelia Cotta, che cacciò via l’uomo.
E’ Cicerone in una delle sue lettere ad Attico (I, 12, 3) a ricordare l’evento: “Publio Clodio, figlio di Appio, è stato colto in casa di Gaio Cesare mentre si compiva il sacrificio rituale per il popolo, in abito da donna, ed è riuscito a fuggire via solo per l’aiuto di una servetta; grave scandalo; sono sicuro che anche tu ne sarai indignato”. Per quanto riguarda le ragioni che lo spinsero a tale gesto alcuni non ritengono sufficiente l’espediente amoroso per stare con l’amante, ma pensano che potesse essere un atto di sfida nei confronti dello stesso Cicerone, console, che l’anno precedente aveva avuto un auspicio favorevole proprio dalla Bona Dea.
In un primo momento la vicenda non ebbe grande risonanza ma il cesariano Quinto Cornificio, il 1 gennaio del 61 a.C. riportò l’accaduto davanti al Senato e fu quindi necessario istituire un processo contro Clodio e sia le Vestali che i Pontefici ordinarono che fossero ripetuti nuovamente i Damia, ritenuti non validi perché profanati. Il giovane fu accusato di incestus ma si riuscì ad evitare che venisse processato fino alla metà di aprile. Le prove contro di lui erano comunque schiaccianti e a queste si univa la condotta sempre scellerata di Clodio. Egli si vide costretto a mandare via dall’Italia parte dei suoi servi per evitare che potessero essere interrogati, ma questo non bastò in quanto la sua colpevolezza fu confermata dalle testimonianze della madre e della sorella di Cesare, il quale però decise di non testimoniare. Cesare ripudiò Pompea che non venne ritenuta una teste attendibile e quindi non venne neanche chiamata. La difesa di Clodio provò a sostenere che durante le festività in oggetto il giovane fosse altrove, ma lo stesso Cicerone, che pure aveva con Clodio buoni rapporti, testimoniò di averlo incontrato a Roma poco prima che entrasse in casa di Cesare. La sua testimonianza fu inaspettata, ma la spiegazione del suo gesto si trova in un altro passaggio della lettera ad Attico (I, 16, 5): “Constatato quanti pezzenti erano tra i giudici, ammainai le vele e nella mia testimonianza mi limitai a deporre quello che, essendo di dominio pubblico, non si poteva passare sotto silenzio”.
Clodio, nonostante la testimonianza di Cicerone potesse farlo condannare a morte, riuscì a essere assolto corrompendo gran parte della giuria e ad ottenere la questura in Sicilia.
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ingresso al santuario
basi delle colonne del pronao del tempio e frammenti della lastra marmorea con iscrizione dedicatoria
Lungo il Decumano Massimo, accanto all'ingresso del Santuario della Bona Dea, vi era un ninfeo curvo del III secolo d.C., rivestito di travertino.
ninfeo
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Sul lato opposto della strada è un
Monumento Funerario
Non si conosce con certezza il nome del personaggio per il quale è stato costruito, ma la presenza decorativa di un rostro in marmo di Carrara, fa presumere che l'uomo avesse partecipato ad una guerra navale.
Il monumento fu costruito proabilmente nel 30/20 a.C. e ciò spiega il livello più basso rispetto al Decumano Massimo. Una base rettangolare in tufo e travertino avrà sorretto una costruzione cilindrica rivestita in marmo.
La base presenta sul fronte un'esendra rettangolare centrale affiancata da due esedre semicircolari più piccole con panche.
Oltre al rostro con prua di nave già citato, tra i frammenti delle decorazioni ritrovate ve ne è un'altro con tre spade e una testa di leone.
Forse il personaggio in questione fu Publio Lucilio Gamala che fornì alla cittadina i soldi necessari per una guerra navale contro Sesto Pompeo nel 38/36 a.C.
L’identità di Publio Lucilio Gamala, la carriera, la cronologia di questo celebre personaggio hanno rappresentato un problema centrale nella prosopografia ostiense, di vitale importanza per la ricostruzione degli eventi della storia municipale e dei suoi intrecci con la grande storia del tempo; ma anche per le implicazioni circa la composizione della élite ostiense, che l’origine orientale del cognome Gamala rivela essere varia e multietnica già in età repubblicana.
L’iscrizione che commemora Gamalasenior rivela, nella costruzione e nel contenuto, una probabile derivazione dall’elogium funebre del personaggio, al termine di una lunga e onorata carriera ai vertici dell’amministrazione pubblica e della vita religiosa della colonia ostiense.
In un convincente esame della struttura del testo, F. Zevi ha cercato di ravvisare le corrispondenze tra le cariche ricoperte dal personaggio e le sue numerose benemerenze verso la città. Interessa ricordare in modo particolare che, probabilmente in qualità di pontefice di Vulcano (la massima carica religiosa di Ostia), egli fece restaurare il tempio del dio, ma soprattutto fece edificare ex novo quattro templi, per i quali è ormai unanimemente accettata l’identificazione con i « Quattro Tempietti » sorti in età repubblicana all’interno dell’area a nord del decumano delimitata dai famosi cippi di Caninio; le aedes gamaliane sono dedicate a quattro divinità femminili (Venere, Fortuna, Cerere e Spes) delle quali Zevi ha messo in luce la connessione con i concetti di abbondanza, di fertilità e di buona sorte e dunque, probabilmente, con la sfera dei commerci e forse dell’annona, sicuramente centrale nella vita della colonia.
Numerose sono le benemerenze da mettere in correlazione con le magistrature ordinarie e gli incarichi straordinari ricoperti dal personaggio ; tra queste, di particolare interesse è l’offerta ai coloni ostiensi di un epulum e di due prandia, nella quale D’Arms riteneva di poter ravvisare una consapevole imitazione dei banchetti fatti allestire da Cesare nel 45 a.C. come festeggiamento per i suoi trionfi. L’eventualità di una imitatio Caesarisda parte di Gamalasenioravrebbe ovviamente delle conseguenze per la cronologia del personaggio; tuttavia, l’elemento più significativo ai fini della datazione della sua carriera è legato certamente all’ultima benemerenza ricordata nell’iscrizione, ossia il dono alla colonia di una elevata cifra per consentirle, senza dover mettere in vendita i propri beni, di ottemperare ad una pollicitatio belli navalis.
Per sapere di più sulla figura di Publio Lucilio Gamala CLICCA QUI
esedre della base del Monumento Funerario -Le panche dell'esedra centrale sono sorrette da delfini.
decorazione con tre spade e testa di leone del Monumento Funerario
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La Domus Fulminata
Costruita nel I secolo d.C. e rimaneggiata nel II e nel III secolo d.C. prende il nome da un piccolo tumulo in muratura cosiddetto bidental, dedicato alla sepoltura rituale di oggetti colpiti da un fulmine, identificato grazie alla targa di marmo con le lettere FDC : F (ulgur) D (ium) C (onditum).
Complesso costituito da taverne, negozi e un’ampia unità abitativa sulle quali da anni gli archeologi si stanno interrogando, per le sue stranezze, come la mancanza dell’atrio e per il fatto che si pranzasse all’aperto, dato che nel peristilio sono presenti tracce di letti triclinari.
Si pensava inizialmente che fosse una domus, ma poi si è creduto che appartenesse ad una gilda legata al vicino Santuario della Bona Dea (una sorta di confraternita, i cui membri celebravano le festività con pasti comunitari nel cortile), o un edificio collegato al culto degli antenati, vista la vicinanza ad un Monumento funerario. Quindi un alloggio connesso al Sepolcro dove si consumavano i pasti per il defunto (refrigerium), e dove probabilmente viveva il guardiano del monumento funerario adiacente.
A causa della ricca decorazione a mosaici, si è anche ipotizzato che si trattasse di una villa estiva, in cui vi si trasferiva nei mesi più caldi qualche ricco patrizio, come ad esempio Publius Lucilius Gamala, uno dei tanti amici di Cicerone, il quale, per sfuggire all’afa, amava pranzare all’aperto.
ingresso alla Casa Fulminata
Il suo ingresso dal Decumano Massimo presenta due colonne affiancate da una scala con gradini in travertino.
In facciata vi sono sei botteghe, due delle quali sono "bar".
uno dei due "bar" lungo la facciata della Casa Fulminata
Superato il corridoio d'ingresso si entrava in un cortile porticato.
cortile porticato della Casa Fulminata
Sul lato nord del cortile vi erano quattro sale interconnesse tra loro e con alto soffitto.
La zona meridionale del cortile era composta da ambienti con decorazioni di mosaici e pitture alludenti all'amore e alla seduzione.
Il cortile porticato presenta colonne in mattoni, singole, binate, o triple (adattamenti strutturali), sulle quali poggiava il tetto del portico.
Nella parte centrale del cortile vi era ad est una vasca d'acqua rettagolare con il bordo in mosaico formato da tessere blu, verdi, gialle rosse.
Vi era anche una vera di pozzo in marmo che divenne poi solo decorativa.
cortile e pozzo (angolo a destra)
Venne in un momento successivo aggiunta una seconda vasca rettangolare nell'angolo nord-est.
Nella parte sud-occidentale del cortile vi è una piccola costruzione in muratura, il luogo in cui di giorno un fulmine aveva colpito la casa, e che ritualmente era stato qui sepolto insieme agli oggetti che aveva colpito e rotto.
monumento sul luogo in cui cadde il fulmine
Sulla struttura che ha dato nome alla casa, si è trovata la targa con le lettere FDC = F(ulgur) D(ium) C(onditum).
scritta FDC sul monumento nel luogo in cui cadde il fulmine
La parte occidentale del cortile è occupata da un biclinium in muratura.
vasca rettangolare, bacini, base per altare ed edicola nel cortile della Casa Fulminata
Vi trovavano posto anche un'edicola su podio con nicchia affiancata da colonnine in mattoni (della quale rimangono pochi resti), e una base in mattoni sulla quale vi era forse un altare.
edicola e base per altare del cortile della Casa Fulminata
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L'ultima costruzione che s'incontra sul Decumano Massimo, affacciata sulla strada moderna, e dove un tempo era il mare, è il cosiddetto
Edificio con Opus Sectile
un edificio costruito ad un centinaio di metri fuori Porta Marina, che inizialmente si pensava fosse un "prospetto a mare" del Decumano Massimo e una sede collegiale.
Domus dell’Opus Sectile, realizzata proprio a Porta Marina, la cui decorazione è conservata nel museo dell’Alto Medio Evo all’Eur.
Scoperta casualmente negli anni ’40 del Novecento, si impose da subito all’attenzione proprio per il rinvenimento di tante, troppe lastre sagomate in marmi policromi. Gli scavi, ripresi negli anni ’60, furono abbastanza complessi, perché consistettero nello scavare uno spesso e complicato strato di crollo relativo alle pareti di una grande aula che erano state decorate in marmi intarsiati (ciò che viene chiamato opus sectile, appunto). Nonostante le difficoltà, si capì che il crollo era avvenuto quando la decorazione dell’aula non era stata ancora completata, perché furono rinvenuti materiali da cantiere e perché parte della stanza non era ancora mai stata pavimentata; inoltre, grazie alle monete rinvenute, coniate sotto l’impero di Massimino (383-388 d.C.) e di Eugenio (392-394 d.C.) si capì che la realizzazione e immediato crollo dell’aula fossero avvenuti proprio sul finire del IV secolo d.C.
Secondo l’ipotesi ricostruttiva, la decorazione dell’aula si articolava in zone sovrapposte: a partire dal basso si succedevano una fascia a specchiature e lesene, un grande fregio floreale, un fregio minore con elementi vegetali e geometrici, una zona con gruppi di animali in lotta (leoni sulla parete destra e tigri sulla sinistra), simile alla decorazione della basilica di Giunio Basso all’Esquilino, e infine una fascia di coronamento con specchiature e dischi.
Con effetto di sorprendente contrasto, la decorazione dell’esedra di fondo era di tipo geometrico, con un motivo a scacchiera minuta di tessere di colore giallo, bianco, verde e rosso in basso e un falso prospetto architettonico nella parte alta.
Probabilmente l’esedra aveva funzione di triclinio, ossia della zona destinata al banchetto, che di solito si trovava nella parte più interna della sala di rappresentanza ed era arredata con letti per gli invitati (klinai) e tavolini per appoggiare vivande e stoviglie.
Un elemento originale dell’opus sectile è la presenza sulla parete destra di due ritratti maschili, un giovane aristocratico con la tunica bordata di porpora e un adulto con lo sguardo penetrante e un nimbo intorno alla testa. L’interpretazione tradizionale vede nell’adulto Cristo benedicente, pur in mancanza di segni di identificazione certi (croce, lettere A e Ω nel nimbo); una ipotesi più recente, basata sul ritrovamento in domus tardoantiche della Grecia e dell’Asia Minore, di cicli decorativi con filosofi e poeti classici raffigurati con i loro allievi, interpreta il personaggio ostiense come il maestro “divinamente ispirato” della pratica filosofica neoplatonica molto diffusa nel IV secolo. E’ quindi necessaria una grande prudenza nell’interpretare in senso pagano o cristiano l’ “uomo divinamente ispirato” in assenza di un contesto inequivocabile.
Sul soffitto si deve immaginare un mosaico di pasta vitrea verde-azzurra con tralci di vite ricoperti d’oro, recuperato solo in piccola parte e ora esposto accanto all’aula.Il pavimento, composto da quaranta formelle intarsiate con motivo a stelle unite per i vertici, crea l’effetto di un grande tappeto policromo (32 mq) che accresce la sontuosità della sala.
DESCRIZIONE AMBIENTI
Al termine del Decumano Massimo si apriva l'ingresso della domus, con un grande atrio che introduceva in un cortile colonnato fino all'angolo nord-est dell'edificio, andato perduto a causa del mare e oggi sepolto sotto la strada moderna.
ingresso all'Edificio con Opus Sectile
atrio e cortile a peristilio dell'Edificio con Opus Sectile
Sul piazzale a peristilio si aprivano alcuni ambienti.
cortile a peristilio
Sul lato est del colonnato della domus si trovano alcuni ambienti tra i quali un'esedra con due colonne d'ingresso e pavimento in marmo.
ambiente con esedra del lato est dell'edificio
In direzione est-ovest rimangono i resti di una diga costruita nel I secolo d.C. per difendere gli ambienti prospicenti la costa dalle mareggiate. Nel IV secolo d.C. l'avanzamento della linea di costa rese già inutile la funzione della diga.
resti della diga e ambienti dell'Edificio con Opus Sectile poggianti su di essa
Su questa diga poggiava un ambiente con esedra rettangolare e con due colonne d'ingresso.
ambiente con esedra rettangolare decorato con opus sectile
Questa sala presentava una complicata decorazione in opus sectile (che ha dato il nome all'edificio), non ancora completata quando l'edificio fu distrutto.
ricomposizione delle decorazioni dell'aula (Museo Nazionale dell'Alto Medioevo - Roma)
Le pareti erano ancora priva di zoccolatura e l'esedra di fondo non era ancora pavimentata.
Le 40 formelle del pavimento (90x90cm) dell'aula erano predisposte, ma non ancora messe in opera.
pavimento dell'aula
In esse un motivo a stella a quattro punte formava ottagoni con le punte di quelle delle altre formelle poste vicino. Negli ottagoni poi erano inseriti cerchi con all'interno quattro pelte. l'utilizzo di materiali preziosi (porfido rosso, pavonazzetto, porfido verde, giallo antico ed altri), denota l'alta committenza.
Sulle pareti laterali si succedevano dal basso varie fasce decorative:
la decorazione della parete destra dell'aula
- una fascia a specchiature marmoree e lesene
- un grande fregio floreale
- un fregio minore con elementi vegetali e geometrici
- pannelli che raffiguravano gruppi di animali in lotta (leoni e tigri)
una tigre sulla parete sinistra dell'aula
un leone sulla parete destra dell'aula
- una fascia di coronamento con specchiature e disegni.
Vi erano raffigurati anche due ritratti virili: un busto di un giovane uomo aristocratico (forse il benefattore del collegio proprietario della domus, vestito con toga bordata di porpora simbolo del suo stato sociale) e un busto di Cristo benedicente con barba, capelli lunghi e nimbo (frutto di una interpretazione cristiana) o come interpretano altri, un filosofo con la mano destra alzata nell'atto della docenza (figura venerata dagli aristocratici seguaci delle dottrine neoplatoniche).
decorazione con due busti virili della parete destra dell'aula
rappresentazione di uomo barbuto benedicente
rappresetazione di giovane uomo aristocratico
La decorazione dell'esedra rettangolare della parete di fondo era di tipo geometrico, con un motivo a scacchiera in basso, e un falso prospetto architettonico nella parte alta.
Anche il soffitto sembra essere stato decorato a mosaico: tessere di pasta vitrea di vari toni d'azzurro sul quale si snodavano tralci con foglie e grappoli ricoperti d'oro.
Nella malta di allettamento di uno dei due pannelli con leone si trovarono due monete di bronzo dell'epoca degli imperatori Massimo (383-388 d.C.) ed Eugenio (392-394) che fanno collocare il crollo dell'aula intorno al 394/400 d.C. Non si conosce l'utilizzo al quale la stanza era stata destinata, forse era una sala da pranzo o forse un luogo religioso.
Sul pavimento dell'aula giacevano sezioni di colonne e un'architrave, forse materiali da riusare nella decorazione della sala.
colonne da riuso
architrave di marmo da riuso
Sono stati anche ritrovate delle raffigurazioni di polipi e testine, non riconducibili alla collocazione originaria.
raffigurazioni di polipi e testine
raffigurazioni di testine
La bellissima decorazione è oggi esposta, dopo lunghi anni di restauro, al Museo Nazionale dell'Alto Medioevo dell'Eur.
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Torniamo indietro su i nostri passi per lasciare il Decumano e deviare verso sinistra su Via di Cartilius Poblicola, per esplorare quella zona dove sorgono altri edifici interessanti di Ostia Antica.
All'angolo tra queste due strade si trova la cosiddetta
Loggia di Cartilius Poblicola
una piazza con copertura sorretta da file di pilastri in mattoni, che prende il nome dall'adiacente tomba di epoca repubblicana (questa zona era un tempo situata fuori dalle mura e quindi in essa si potevano costruire i sepolcri).
Loggia di Cartilius Poblicola e Tomba di Cartilius Poblicola (sul fondo)
Loggia di Cartilius Poblicola
Il Monumento Sepolcrale di Cartilius Poblicola, costruito nel 25/20 a.C., è la tomba di un importante cittadino di Ostia che si era guadagnato da parte dei suoi concittadini il cognomen Poblicola, ovvero "amico del popolo", per i servizi resi alla città.
La tomba di forma quadrata, come tutti i sepolcri, affacciava su una strada poi scomparsa con la costruzione degli edifici adrianei, che hanno attorniato il monumento funebre.
Il basamento era rivestito in travertino, il corpo centrale in marmo e il dietro della tomba invece aveva un rivestimento in tufo.
fronte del Monumento Sepolcrale di Cartilius Poblicola
Sul fronte vi è un'iscrizione che attesta che la costruzione della tomba è stata un'opera finanziata con i soldi pubblici per Caio Cartilius Poplicola, che era stato per otto volte duumvir (magistrato della colonia) e tre volte Censor della città.
I sedici fasci di canne raffigurati sui lati della scritta simboleggiano il numero di volte che Cartilius Poblicola è stato nominato sindaco, due fasci per ogni elezione.
fregio del Monumento Sepolcrale di Cartilius Poblicola
Sul fregio sopra la scritta è raffigurata una scena di guerra: soldati ostiensi, guidati da Cartilius Poblicola, sembrano difendersi da un attacco navale, forse quello di Sesto Pompeo del 39 a.C.
Il coronamento finale del monumento sul fianco sud era decorato con un rostro di nave. ______
Sulla sinistra della via si costeggia un edificio con botteghe di epoca adrianea, preceduto da un portico in mattoni.
Procedendo oltre, all'angolo tra Via di Cartilius Poblicola e Via della Marciana, vi è un caseggiato con negozi che si affacciano su entrambe le strade. A questo edificio appartengono le piccole terme in fase di scavo.
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Le Terme di Porta Marina o Terme della Marciana.
Per grandezza sono queste il terzo complesso termaledi Ostia.
Queste Terme, che si trovavano a poche decine di metri dal mare lungo la Via Severiana, furono edificate nel II secolo d.C. sotto Traiano, forse dalla famiglia imperiale.
Il ritrovamento della testa di Marciana, sorella di Traiano, ha dato il secondo nome a questo impianto termale, che fu restaurato nel VI secolo d.C. ed stato usato almeno fino a quell'epoca.
testa di Marciana (dalle Terme di Marciana - Museo Ostiense)
Una grande palestra porticata su tre lati si trovava ad un piano inferiore rispetto al resto delle Terme.
palestra delle Terme della Marciana
Un ambiente con mosaico geometrico a tessere bianche e nere introduceva in un ambiente di passaggio verso un apodytherium.
mosaico geometrico di un ambiente delle terme
ambiente di passaggio per l'apodytherium con mosaico bianco
Un apodytherium (spogliatoio) presenta un mosaico del III secolo d.C. dove sono raffigurati atleti che circondano una tavola con i premi per le gare.
mosaico nell'apodytherium con due pugili e un giudice in primo piano
mosaico nell'apodytherium con discobolo e trombettiere (con corona e strumento vinti in una gara musicale)
mosaico nell'apodytherium con lottatori
mosaico nell'apodytherium con atleta con strigile
mosaico nell'apodytherium con atleta con pesi (usati per il salto in lungo o per allenarsi)
mosaico nell'apodytherium con pugile, giudice ed erma
mosaico nell'apodytherium con atleta con due strigili e un vaso per l'olio
Il frigidarium ha un mosaico pavimentale del IV/V secolo d.C. a tessere policrome.
frigidarium visto da sud
Nella zona meridionale vi sono due grandi vasche, mentre in quella settentrionale vi è una grande piscina absidata aggiunta nel III secolo d.C.
una vasca del frigidarium
piscina absidata del frgidarium e pilastri che reggevano la volta
Alti pilastri in laterizio sorreggevano la volta.
Due ambienti del lato orientale hanno un mosaico del III secolo d.C. con scene marine e soggetti ittici.
ambiente orientale delle terme
Gli ambienti riscaldati, un calidarium e due tepidaria absidate, sono posizionati nella zona meridionale.
zona meridionale delle terme con camere riscaldate (l'abside appartiene ad un tepidarium)
Alle spalle di queste grandi Terme fu costruito nel IV secolo d.C. sulla Via Severiana un piccolo impianto termale.
piccolo impianto termale a sud delle Terme di Porta Marina
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Percorrendo dalle Terme di Porta Marina quel che resta della Via Severiana, si giunge a visitare la Sinagoga.
I resti della sinagoga sono stati portati alla luce nel 1961 durante la costruzione della strada tra Roma e l'aeroporto di Fiumicino. Gli scavi del sito proseguirono dal 1961 al 1977 sotto la direzione di Maria Floriani Squarciapino, Soprintendente della Soprintendenza Archeologica di Ostia dal 1966 al 1974.
La sinagoga si estende su 850 metri quadri e contiene vari locali con diverse funzioni: dalla cottura del pane azzimo, al lavacro in vista del seppellimento, alla sala di riunione per le preghiere.
Orientata verso est (verso Gerusalemme), dove si trova anche l’ingresso. Da un vestibolo circondato da colonne di marmo si accede all’Aula, a destra del vestibolo c’è una stanza con un bacino che probabilmente serviva per le abluzioni, a sinistra dell’ingresso dell’aula si trova il particolare armadio in cui erano custoditi i rotoli della Torah. Davanti alla parete posteriore curvata dell’aula c’è un podio per la lettura della Torah ad alta voce.
Nella cucina si trovano resti di un tavolo di marmo e il forno per la preparazione del pane azzimo. I pavimenti sono decorati con mosaici geometrici in bianco e nero.
Sinagoga
Sinagoga (vista da est)
Questo luogo di culto fu costruito tra l'antica spiaggia e la Via Severiana nel I secolo d.C., e venne più volte modificato fino al V secolo d.C.
La Sinagoga è orientata verso Gerusalemme (est-sud-est).
Si accedeva dalla Via Severiana tramite un portico con due gradini che scendevano nel corridoio, dove vi era un pozzo.
ingresso sulla Via Severiana e corridoio con pozzo
Sul lato ovest del corridoio si trovavano tre ambienti.
ambienti che si aprivano sul corridoio
Il primo ambiente era un basso bacino (identificabile come un bagno rituale, miqwé).
mosaico di un ambiente della Sinagoga
Tramite due gradini il secondo accesso del corridoio era un nartece con pavimentazione a mosaico, che precedeva un ambiente con quattro colonne di marmo negli angoli.
nartece e ambiente di passaggio con colonne
L'ambiente colonnato di passaggio introduceva a sua volta in una grande aula rettangolare con lato di fondo curvo.
grande aula della Sinagoga
lato curvo della grande aula della Sinagoga con il podio sul fondo
L'aula era illuminata da alte finestre ed il pavimento era rivestito in marmo policromo.
nodo di Salomone rappresentato nel pavimento della grande aula della Sinagoga
Davanti alla parete arrotondata vi era un podio (bema o tevah), sul quale venivano letti i rotoli della Legge (la Torah, i primi cinque libri del Vecchio Testamento).
Nella grande aula era presente un'edicola absidata con due colonnine che sorreggevano mensole riproducenti candelabri a sette braccia (menorah), il corno di montone (shofar), il cedro (etrog) e un fascio formato da tre specie vegetali (lulav).
(aron ha-qodesh)
edicola per custodire la Torah
Le mensole sorreggevano la copertura dell'edicola. La fronte del podio dell'edicola era ricoperta in opus sectile. I capitelli delle colonnine sono del II secolo d.C., mentre l'edicola fu costruita tra il III e il IV secolo d.C.
In questa edicola era posto l'armadio che custodita la Torah. Nella parte meridionale dell'edificio vi era un grande ambiente con panchine che correvano lungo due delle sue pareti, usato probabilmente per le riunioni.
Vi erano anche ambienti funzionali: una cucina con tavolo e forno, dove si preparava il pane azzimo.
Sopra e nel pavimento a mosaico bianco e nero della cucina vi erano anfore dove venivano conservati l'olio e il vino.
ambienti funzionali della Sinagoga
cucina con il forno sulla sinistra
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Ad ovest della Sinagoga si trova un piccolo Ninfeo del II secolo d.C.
ninfeo
Il piccolo edificio è costituito da un vestibolo con due colonne, una ambiente con scale e nicchie che poteva essere una cisterna e una camera con una nicchia affiancata da piccoli gradini, che costituisce il ninfeo vero e proprio.
vestibolo del ninfeo
ambiente con scale del ninfeo
ninfeo
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Tornando indietro verso il Decumano Massimo, dall'altro lato della Via Severiana rispetto alla Sinagoga, si trovano le cosiddette Terme di Musiciolus.
Le terme sono state istallate in un secondo tempo in un edificio costruito durante varie epoche (antonina, severiana e IV secolo d.C.). I suoi mosaici sono del IV secolo d.C. Dalla hall d'ingresso decorata con due colonne si passava al frigidarium con due vasche e con mosaici, uno in bianco e nero e uno policromo con pesci ed eroti a cavallo di delfini.
Terme di Musiciosus
camere riscaldate viste dalla Via Severiana
Via Severiana
La sinagoga di Ostia
fu rinvenuta nel 1961 durante i lavori di costruzione della strada diretta all'aeroporto di Fiumicino: in assenza di testimonianze storiche, è un'eloquente testimonianza della presenza ebraica all'interno del contesto multi-etnico e quindi multi-religioso della città. Essa rappresenta una delle più antiche testimonianze archeologiche dell'ebraismo della diaspora (è posteriore solo a quella di Delo, del I. sec. a.C.) e molte sue caratteristiche tipologiche si possono accostare ad altre sinagoghe dell'antichità.
La Sinagoga di Ostia antica "forse" risale con molta probabilità ad ancor prima della distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 d.C. Si tratta senz’altro di una delle più antiche testimonianze archeologiche dell’ebraismo della diaspora (è posteriore solo a quella di Delo, del I. sec. a.C.) ed è un esempio di bene storico ben conservato.
Ubicato in prossimità dell'antica linea di costa, lungo quella che poi sarà l'antica via Severiana, l'edificio presenta una tecnica edilizia che a Ostia è ampiamente utilizzata nella seconda metà del I secolo d.C.
La sinagoga, dunque, sorgeva quasi in riva al mare, fuori dalla porta cittadina: una posizione che sembrerebbe molto decentrata, che si spiega con il voler comunque mantenere la propria identità religiosa ben distinta dalla serie di culti che si svolgevano in città e ai quali erano dedicati tanti, tantissimi luoghi, sacelli, templi e aree sacre, in funzione delle singole specificità delle divinità in questione.
Inoltre, per gli Ebrei le spiagge del Mediterraneo erano considerate luoghi puri per fare abluzioni rituali.
L’edificio di culto era orientato in direzione Est/Sud-Est: ovvero in direzione di Gerusalemme.
Anche se oggi i resti della sinagoga di Ostia si ergono “nel nulla”, ovvero in fondo ad un’ampia zona di prato, in realtà in antico, l’edificio sorgeva lungo la Via Severiana (si conserva una porzione del basolato stradale), sul lato sud, in prossimità dell’antica linea di costa: il territorio era molto diverso allora da oggi, basti pensare che tutta l’area oggi occupata da Ostia Lido, la città moderna, in età romana era occupata dal mare. Basti pensare che il monumento noto come Tor Boacciana, oggi sul corso del Tevere, è una torre quattrocentesca che si imposta, però, sul faro posto alla foce del Tevere in età traianea. La linea di costa è avanzata molto negli ultimi 2000 anni e il cambiamento del corso del Tevere a metà del XVI secolo a seguito di un’alluvione proprio nel tratto presso Ostia antica ha fatto il resto.
La struttura risale alla metà del I secolo d.C. ed ebbe un grosso rifacimento nel IV secolo d.C., probabilmente a seguito del terremoto che colpì Ostia verso la fine del III secolo.
Un’iscrizione in greco, rinvenuta nell’edificio, ricorda un tal Mindus Faustos che a sue spese nella II metà del II secolo d.C. procurò alla sinagoga il contenitore adatto a contenere i rotoli della Torah.
Fu edificato probabilmente a seguito della costruzione del porto voluto dall'imperatore Claudio (41-54) che portò all'incremento del volume dei traffici commerciali della città e ad un conseguente aumento della popolazione - anche ebraica - ivi residente. Di questa prima fase edilizia rimangono parti del muro perimetrale e altri muri che permettono di delineare le dimensioni più contenute dell'edificio: la sala centrale era più piccola ma già con il propileo monumentale e le tre entrate sulla fronte. la parte frontale con la stanzetta attigua dovevano formare un unico vano, forse con le stesse funzioni della più tarda stanza coi banconi.
Subì delle modifiche e qualche ingrandimento durante i due secoli successivi, per poi arrivare ad una più ampia ristrutturazione all'inizio del IV; i segni del suo abbandono sono da datare nel corso del V secolo.
Il monumento pervenutoci è costituito da una serie di ambienti disposti in direzione est-ovest su un'area di m. 23,5x36,6 affacciati su un corridoio, perpendicolarmente alla strada da cui si accede.
Originariamente la sinagoga era costituita da una grande aula rettangolare e con il lato breve di fondo incurvato, preceduta da un ingresso reso monumentale con quattro colonne poste come passaggio intermedio tra l'ambiente rettangolare (vestibolo), posto trasversalmente all'aula, e la stessa.
Intorno ai tre muri erano disposte delle panche e, sul lato di fondo, era sistemata anche la tevà, cioè il pulpito dal quale si recitano le preghiere.
Questa sistemazione vide una trasformazione, forse nella seconda metà del II secolo, con la creazione di tramezzi che dovettero cambiare la destinazione d'uso del vestibolo. Anche la creazione di un basso bacino impermeabile, da mettere in relazione col vicino pozzo con cisterna, è da considerarsi il luogo per il bagno o per le abluzioni e/o per le aspersioni rituali (miqwé).
In tal senso queste strutture idrauliche non dovevano essere in contrasto con la vicina presenza del mare sono, forse, testimonianza dell'introduzione di differenti rituali.
Gli ambienti della sinagoga oggi visibili rispecchiano, però, le trasformazioni dell'edificio avvenute nel IV secolo quando il complesso fu ingrandito mediante la creazione di una nuova sorta d'ingresso a corridoio, con accesso a gomito e con la chiusura dello spazio tra l'edificio principale e l'edificio di abitazione posto a ovest, creando un ulteriore vasto ambiente con banconi alle pareti.
In uno degli spazi del vestibolo originario si creò una cucina con forno e con i recipienti per le derrate alimentari interrati, mentre all'interno dell'aula fu costruita un'edicola che costituisce il deposito dei rotoli della Legge (Torà) detta in ebraico Aron ha-qodesh, ed è costituita da un muro semicircolare preceduto da due colonnine con le mensole che sorreggevano la trabeazione decorate con una menorà (candelabro a sette bracci) affiancata da uno shofar (corno di montone) e da un lu/av con etrog (fascio di tre specie vegetali accompagnato da un cedro). Le pareti sono rifinite con un paramento a lastre marmoree colorate.
Questa nuova sistemazione dell'area conferma quanto noto dalle fonti, cioè che le sinagoghe servissero anche da ostello per viaggiatori e mercanti ebrei, come anche attestato, che gli officianti del culto potessero risiedere all'interno di esse. Nel caso di Ostia, è stato recentemente proposto che questi ultimi potessero risiedere nell'edificio posto ad ovest della sinagoga. Le strutture, ancora parzialmente visibili, testimoniano che anche questo edificio subì le stesse vicende edilizie della sinagoga ed, in particolare, che l'ambiente meridionale è stato trasformato in ninfeo.
Ebrei a Ostia Il mondo antico era piuttosto fluido. In una città come Roma, capitale dell’Impero, e a maggior ragione a Ostia, porto della capitale dell’Impero, giravano e vivevano persone e gruppi appartenenti alle diverse etnie gravitanti sul bacino del Mediterraneo. Ognuna con le sue usanze, con le sue tradizioni, con la sua religione. Dunque, la presenza ebraica qui non deve stupire, ma anzi deve considerarsi del tutto naturale. Ostia era per sua natura accogliente, la città era frequentata da genti dalle più diverse etnie: è l’epigrafia che ci rivela, attraverso i nomi e l’occupazione delle persone, l’origine e gli incarichi che ricoprivano. Così, scopriamo che a Ostia doveva esserci una comunità ebraica abbastanza nutrita.
Il I secolo d.C. fu un secolo piuttosto complesso per gli Ebrei: negli anni 66-70, infatti, si svolse la Prima Guerra Giudaica. Essa fu il punto di arrivo di un lungo periodo di movimenti, di opposizioni, di resistenza armata all’occupazione romana che culminò negli anni ’60 del I secolo, con una serie di ribellioni al dominatore, nella figura del governatore Gessio Floro, il quale aveva pretestuosamente provocato gli animi con una serie di azioni violente e provocatorie.
La guerra scoppiò quando, nel 66 d.C., gli Ebrei rivoltosi occuparono la fortezza di Masada. Tutta la vicenda è narrata dallo storico Giuseppe Flavio, nato come Giuseppe Ben Mattia, di nobile famiglia ebraica e tra i capi militari della rivolta, che però si consegnò ai Romani all’indomani della sconfitta di Iotopata (66 d.C.). Egli, dopo aver predetto a Tito Flavio Vespasiano, all’epoca comandante delle truppe, che sarebbe divenuto imperatore, fu liberato e prese il nome di Giuseppe Flavio, legandosi così alla famiglia imperiale.
Il trionfo di Tito, con la menorah portata in trionfo come bottino di guerra (credits: romainteractive.com)
La I Guerra Giudaica si concluse nel 70 d.C. nel modo peggiore e definitivo per il popolo ebraico: la distruzione del tempio di Gerusalemme. In quel momento inizia quel fenomeno storico noto come la “diaspora degli Ebrei”. Per i Romani una vittoria come un’altra, da celebrare con un trionfo (quello rappresentato nel fornice dell’Arco di Tito sulla via Sacra di accesso al Foro Romano), per gli Ebrei fu invece un momento epocale perché, distrutto il tempio di Gerusalemme, privi del loro vero e unico punto di riferimento nazionale, si spostarono in tutto il bacino del Mediterraneo e in Europa, insediandosi in gruppi che mantennero sempre una loro identità etnica e soprattutto religiosa.
STORIA DELLE SINAGOGHE La sinagoga (dal greco: "luogo in cui si sta insieme") rappresenta l'edificio comunitario più importante dell'ebraismo fin dalla distruzione del II Tempio di Gerusalemme avvenuta sotto Tito nel 70 d.C., ma è opinione comune che le sue origini risalgano all'esilio in Babilonia, successivo alla distruzione del I Tempio (Nabucodonosor, 586 a.C.) ed è indubbia la sua diffusione dopo il ritorno in Israele (538 aC.).
Dopo la sua definitiva distruzione, il Santuario di Gerusalemme rimase nel ricordo del popolo ebraico come simbolo della perduta identità nazionale, molte delle sue funzioni vennero trasferite alla sinagoga e altre furono espressamente vietate (il sacrificio, ad esempio, che fu sostituito con la preghiera). Dal I secolo della nostra era, pertanto, la sinagoga si confermò il centro della vita quotidiana degli Ebrei come luogo di culto, di lettura, di studio e insegnamento della Torà.
Il Tempio di Gerusalemme non è stato più ricostruito, ma in ogni località di insediamento ebraico venne costruita almeno una sinagoga.
L'architettura delle sinagoghe è influenzata principalmente dal contesto socioculturale in cui esse vengono innalzate. Non esistono particolari prescrizioni che ne determinino l'aspetto esteriore mentre, per l'interno, esse sono soggette ad alcune regole dettate dai rabbini nel corso dei secoli. Ciò nonostante alcune costanti rivelano orientamenti alquanto simili nelle varie comunità diasporiche.
Numerose fonti antiche testimoniano l'importanza dell'acqua per i bagni o per abluzioni rituali da effettuarsi prima di alcuni atti liturgici ma è ovvio che non sempre fosse possibile costruire sinagoghe in vicinanza di una fonte d'acqua naturale (mare, fiume, pozzo) e si ovviò con l'inserimento di cisterne e bacini, peraltro utilizzabili anche per altri scopi, presso l'ingresso degli edifici stessi.
Dall'osservazione delle prime sinagoghe pervenuteci si è notato che molte presentano l'ingresso orientato verso Gerusalemme (a Est, per l'area mediterranea) anche se quest'uso sembra essere stato abbandonato nel momento in cui l'arca contenente la Torà, un tempo portatile, venne fissata proprio sul muro orientale.
E' anche prescritto di far precedere l'ingresso da uno spazio (atrio, porticato o quant'altro) per creare una sorta di stanza di compensazione tra la realtà quotidiana e il mondo sacro. Pertanto, i rabbini ritennero che fosse meglio entrare avvicinandosi all'arca con un segno di rispetto verso di essa non direttamente, ma con un percorso di avvicinamento graduale.
Altra caratteristica generale da notare è quella per cui, basandosi sulla pratica di Daniele di pregare guardando Gerusalemme dalla finestra (Dan. 6,11), sia stato stabilito che le sinagoghe dovessero avere delle finestre; successivamente si è raccomandato di costruirle nel punto più alto possibile per sovrastare le case circostanti nonché per facilitare la visione del cielo, fonte di ispirazione per i fedeli.
Gli oggetti più sacri, all'interno di una sinagoga, sono i rotoli della Legge che vengono conservati all'interno dell'arca santa, nascosta dietro ad una tenda e davanti alla quale arde un lume perenne. Questa sistemazione ricorda quella del Santuario laddove una cortina celava il Sancta Sanctorum nel quale solo i sacerdoti potevano entrare. Sebbene in misura minore rispetto al Tempio, la sinagoga ne condivide il carattere sacro in quanto suo sostituto simbolico; al suo interno gli oggetti rituali e lo spazio stesso aumentano la loro valenza sacrale quanto più sono vicini all'arca e ai rotoli della Torà.
Al centro dell'aula o davanti all'arca, a seconda delle varie tradizioni, è disposta la piattaforma sopraelevata per la lettura.
La zona per le donne è disposta separatamente.
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Tornati sul Decumano Massimo viriamo in direzione del Tevere per raggiungere quell'esempio di pianificazione razionale dell'architettura residenziale del II secolo d.C. che sono le cosiddette
Case Giardino
Case Giardino
L'ingresso principale delle Case Giardino era posto tra la Domus dei Dioscuri e l'Insula delle Pareti Gialle, ma vi erano lungo il perimetro altri passaggi ed ingressi.
Le case giardino sono un complesso residenziale, nato nel periodo adrianeo, su di uno spazio trapezoidale, occupato parte da abitazioni e parte da giardino.
Il nucleo abitativo si trova al centro del giardino, diviso in due blocchi; il piano terra non era occupato da botteghe; lo spazio verde era arricchito da sei fontane.
Questo complesso sta a testimoniare il grande cambiamento all'interno della città di Ostia, città ricca, in continua evoluzione, anche grazie ad i continui scambi culturali.
Delle Case Giardino fanno parte, oltre alla Domus di Dioscuri, l'Insula delle Muse, l'Insula delle Pareti Gialle, l'Insula del Graffito, l'Insula delle Ierodule che circondavano il giardino, ed a nord una fila di negozi che costeggia la Via degli Aurighi.
Dai bolli laterizi si è appreso che il complesso fu costruito nel 123/125 d.C. e le pitture e i mosaici più antichi risalgono al 130/140 d.C.
Il lussuoso complesso residenziale è stato progettato per accogliere appartamenti costosi vicini al mare.
Il piano terra era composto da sedici appartamenti medianum (quindi con sale di rappresenzanza con un'altezza di due piani, ), una domus e molti negozi.
Le scale interne agli appartamenti portavano ad un primo piano, mentre scale esterne permettevano di raggiungere gli altri piani (per un totale molto probabile di quattro piani).
Ogni appartamento misurava 220m², ma porte tra gli appartamenti permettevano di unirne due, a seconda delle esigenze delle famiglie.
Si stima (dallo spessore dei muri e quindi dal peso che potevano sopportare si può dedurne il numero di piani), che potessero vivere nelle Case Giardino 1200 persone.
Le residenze erano separate dal traffico cittadino da file di negozi e spazi aperti. Nei giardini che circondavano i due blocchi di appartamenti centrali vi erano, nelle aree orientali e occidentali, sei bacini d'acqua, forse un tempo coperti e circondati da grondaie sul pavimento, con fori per posizionare i secchi.
Queste cisterne servivano a garantire l'acqua alle residenze perimetrali del complesso, mentre i blocchi centrali erano dotati di tubature idrauliche che portavano l'acqua anche ai piani superiori.
decorazioni parietali degli appartamenti delle Case Giardino
ambienti di un appartamento medianum delle Case Giardino
sottoscala di scala esterna di un appartamento delle Case Giardino
letamaio
cisterna e resti di mosaico
particolare del mosaico nilotico tra due cisterne del lato orientale delle Case Giardino
particolare del mosaico nilotico tra due cisterne del lato orientale delle Case Giardino
botteghe lungo il perimetro del complesso delle Case Giardino
ingresso principale delle Case Giardino
L'ingresso principale delle Case Giardino era posto tra la Domus dei Dioscuri e l'Insula delle Pareti Gialle, ma vi erano lungo il perimetro altri passaggi ed ingressi.
ingresso delle Case Giardino (sul lato settentrionale)
corridoio d'accesso al giardino delle Case Giardino (sul lato nord)
ingresso delle Case Giardino (sul lato settentrionale visto dal giardino)
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I primi caseggiati che incontriamo sono l'Insula delle Pareti Gialle e la sua gemella insula dei Graffiti e la Domus dei Dioscuri e la Dumus del Ninfeo.
L'Insula delle Pareti Gialle (apre solo in alcuni periodi dell'anno) posta tra il giardino interno delle Case Giardino e la Casa del Graffito (di cui è gemella), MA è un appartamento mediano di epoca adrianea.
Pianta rettangolare, vano centrale collegato ad altri vani (prendevano luce da finestroni interni), disposta su due piani, questa insulae è stata sottoposta a continui rifacimenti fino al III sec. d.C.. La ristrutturazione più recente, in età antonina, la ha caratterizzata per il prevalente colore giallo delle pareti.
Sono rappresentati in piccoli quadri scene paesaggistiche, scene di vita quotidiana, scene mitologiche e personaggi.
I mosaici bianchi e neri sono di epoca adrianea.
L'ingresso di quest'insula (casa giardino), di tipo signorile a due piani (piano terra per il dominus e primo piano per la schiavitù), si trova sul lato sud, accanto all'ingresso tripartito delle Case Giardino.
Attraverso il vestibolo si accede al medianum, intorno al quale si aprono due sale di rappresentanza e altre piccole stanze.
La sala da pranzo si deduce dal mosaico assimetrico, dovuto alla presenza dei triclini.
La facciata ovest è caratterizzata dalla presenza di numerose finestre.
I resti di pittura che ornavano le sale, in cui predomina il colore giallo, sono del II secolo o di epoca severiana.
ingresso all'Insula delle Pareti Gialle
atrio dell'Insula delle Pareti Gialle
medianum dell'Insula delle Pareti Gialle
sala da pranzo dell'Insula delle Pareti Gialle
decorazione pittorica del triclinium dell'Insula delle Pareti Gialle
______ L'Insula del Graffito, come ho già detto, è gemella dell'Insula delle Pareti Gialle, anche se più piccola.
sala di rappresentanza dell'Insula del Graffito
Non si conosce la derivazione del nome dell'insula. Rimangono pochi resti della pittura decorativa e dei mosaici che l'adornavano.
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Nell'angolo sud-est delle Case Giardino, si erge la Domus dei Dioscuri. Le sue murature sono datate dal II al V secolo d.C. Frutto di una ristrutturazione totale effettuata su una casa del periodo adrianeo, ha un corridoio a "L", alla fine del quale ci sono le due stanze principali: una stanza da letto, con un mosaico al centro del quale ci sono i Dioscuri (particolarmente venerati ad Ostia perchè protettori dei naviganti durante le tempeste marine); un salone, con un altro mosaico di stile africano, raffigurante una Venere in una conchiglia, circondata da delfini e mostri vari. Al lato di quest'ultima stanza, ce ne sono altre due più piccoline, in una di queste un altro mosaico, a figure geometriche.
All'interno della domus, una piccolo balneum con 4 piccole vasche 2 fredde e 2 riscaldate, unico impianto privato fino ad ora ritrovato in una domus di Ostia. E' stata avanzata l'ipotesi che il proprietario fosse un armatore che si arricchì con il trasporto del grano in Africa.
ingresso della Domus dei Dioscuri
L'ingresso alla domus avveniva attraverso una sala con muro e soglia curva.
Superata una camera, si entrava in un'altra dove nella parete di fondo due nicchie rettangolari affiancavano una nicchia centrale semicircolare.
L'ambiente a destra della sala d'ingresso era forse una bottega collegata alla domus attraverso la stanza alle sue spalle.
La domus era schermata in parte da un muro dietro al quale correva un corridoio di servizio, e sul quale affacciavano due stanze di stoccaggio.
muro perimetrale della Domus dei Dioscuri, corridoio e impianto termale
ambienti della Domus dei Dioscuri
Nella sala principale della domus vi è un mosaico (oggi coperto come altri di questa domus), dove è raffigurata Venere Anadiomene su di un guscio trainata da due tritoni e Nereidi su mostri marini.
Altre due sale con mosaici sui pavimenti s'affacciano sulla sala principale. Una sala (nella quale è stata ricavata una nicchia di fondo con un mosaico a menandri), è decorata con un mosaico policromo nel quale sono raffigurati al centro i Dioscuri Castore e Polluce (che hanno dato il nome alla domus), attorniati da ottagoni nei quali sono rappresentati cestini, frutta, kantharoi, vasi e una coppa.
sala con mosaico con i Dioscuri
particolare del mosaico con raffigurazione dei Dioscuri
particolare della sala con mosaico dei Dioscuri
particolare della sala con mosaico dei Dioscuri
particolare della sala con mosaico dei Dioscuri
Questa domus aveva, posti sul suo lato ovest, dei piccoli bagni termali: un frigidarium con due vasche e due calidaria.
interno di una vasca del frigidarium
un'altra vasca del frigidarium
bacino absidato del calidarium
vasca rettangolare del calidarium
Alle spalle dell'impianto termale privato della Domus dei Dioscuri, in una piazzetta che confina anche con la Domus del Ninfeo, si trova un Ninfeo pubblico, costruito in laterizio in epoca adrianea.
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Ninfeo Pubblico Costituisce la facciata monumentale di una riserva d'acqua che alimentava le fontane delle Case Giardino adiacenti.
Il ninfeo ha tre nicchie: una semicircolare in mezzo a due rettangolari. Sotto alla nicchia sinistra vi era un foro dal quale usciva l'acqua che riempiva il sottostante bacino.
Ninfeo pubblico
lastre di travertino lungo il bacino del Ninfeo pubblico con depressioni per i secchi.
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Domus del Ninfeo Questa domus fu istallata nel IV secolo d.C. in un caseggiato con negozi del II secolo d.C., conserva un ninfeo che ospitava nelle nicchie delle statue e un gioco d'acqua, con scivoli di marmo. Interessante anche il pavimento con marmo intarsiato.
Domus del Ninfeo vista dal Decumano Massimo
alcune botteghe sul Decumano Massimo del caseggiato in cui si è istallata la Domus del Ninfeo
In un cortile pavimentato con bipedali e in parte con lastre di marmo, si trova il ninfeo, da cui prende il nome la domus.
ninfeo della Domus del Ninfeo
Il ninfeo è composto da sette nicchie rettangolari e semicircolari (quella centrale è più grande), poste davanti ad un bacino decorato in marmo.
Le nicchie erano dipinte in rosso e blu, e ne rimane parte della vernice. Tra le nicchie vi erano colonnine di mattoni.
L'acqua dal podio del ninfeo scorreva su piccoli gradini fino dentro al bacino.
In fondo al cortile vi era una sala preceduta da due colonne di marmo.
Dietro questa sala vi era una camera dalla quale si poteva raggiungere la strada che correva tra la Domus del Ninfeo e la Domus dei Dioscuri.
camera di passaggio per uscire sulla strada
Davanti al ninfeo vi è una sala che prende luce da un'alta trifora, costituita da due colonne in marmo che sorreggono tre archi in mattoni.
sala con trifora della Domus del Ninfeo
sala con trifora della Domus del Ninfeo
Il pavimento è ricoperto con opus sectile policromo, e la parte bassa delle pareti è rivestita in marmo.
particolare dell'opus sectile della sala con la trifora della Domus del Ninfeo con stella di Davide
particolare dell'opus sectile della sala con la trifora della Domus del Ninfeo, con il nodo di Salomone.
Il nodo di Salomone è uno dei segni più antichi e diffusi, un segno formato da due "anelli" schiacciati Simbolo pagano paleocristiano ebraico barbarico medievale rinascimentale esso è molto diffuso nell’iconografia dell’Occidente ma ha risalto anche in culture africane amerinde e asiatiche. Ma può trovarne anche nei templi indù, nella ceramica Copan della Mesoamerica, nell’arte copta e nell’arte tradizionale africana. La più antica rappresentazione del nodo di Salomone che ci sia nota,almeno per il momento, su pavimento musivo, si trova nella villa dei Volusii Saturnini, presso il Lucus Feroniae a Roma, ambiente 12, databile al I sec.
Il nodo di Salomone ha la tipica identità di un simbolo perso nella memoria storica e il cui stesso nome, giuntoci sul filo di una tradizione oscura (comunque precedente al XIII secolo), è incerto nell’origine. Simbolo del destino, fedeltà e immortalità, spesso rappresentato a fianco dei segni anzidetti e di altri come la spirale (evoluzione ciclica), i fiori (talora simbolo d’anima o virtù), l’acanto (trionfo), altre fogge di nodiformi ma soprattutto ancora trecce, edere e meandri a svastica (simbolo dinamico del ciclo naturale e divino).
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Lungo il corridoio parallelo al cortile, con pavimento a mosaico, si trovano quattro piccoli ambienti con marmi alle pareti. Uno di questi ambienti è absidato ed ha un pavimento in opus sectile.
corridoio con ambienti della Domus del Ninfeo
ambiente absidato con pavimento in opus sectile della Domus del Ninfeo
Un vestibolo, che dava accesso al Decumano Massimo, ed una stanza erano decorati con marmi nella parte bassa delle pareti e nella parte più alta con affreschi del IV secolo d.C. che rappresentano scene bucoliche.
La domus aveva anche un piano superiore, raggiungibile con scale ancora presenti in parte.
scale della Domus del Ninfeo
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L'Insula delle Ierodule o Insula di Lucceia Primitiva si trova sul lato ovest delle Case Giardino (apre solo in alcuni periodi dell'anno).
Insula delle Ierodule
Quest'insula conserva pitture notevoli della media età imperiale. Il nome dell'insula deriva dalle figure femminili con mansioni di prostitute sacre rappresentate sulle sue pareti.
Le ierodule erano giovani donne addette al tempio che partecipavano con musica e danza alle cerimonie, e che esercitavano la prostituzione sacra all'interno del tempio per arricchirne i proventi.
Si parla di Ierogamia, cioè di matrimonio o unione sacra, in occasione di un'unione rituale o mitica tra un dio e una dea o tra un dio e un umano. ... Le ierodule, quindi, oltre a prostituirsi nel tempio o nel santuario dovevano effettuare e accompagnare riti con musica e con danze.
Di recente è stato trovato in un ambiente dell'insula un graffito di uno scioglimento di un voto da parte di Lucceia Primitiva e per questo si è voluto chiamare l'insula con il suo nome.
La pianta dell'insula costruita intorno al 130 d.C. è simile agli altri appartamenti delle Case Giardino, tranne che per due colonne in mattoni poste in entrata alla sala principale di rappresentanza.
Gli ambienti che compongono la dimora sono in comunicazione tra loro e presentano decorazioni pittoriche e mosaici eleganti, illuminati dalle numerose finestre (dalle quali abbiamo potuto scattare anche dall'esterno qualche foto!).
Sulle pareti di un ambiente accanto al vestibolo (dove è stato anche trovato il graffito di Lucceia Primitiva), sono rappresentati su uno sfondo marrone, rosso e giallo, animali fantastici, fanciulle in atto di librarsi e decorazioni floreali.
La parte bassa della decorazione pittorica di tutti gli ambienti consiste in una zoccolatura in giallo e rosso con diversi soggetti: ippocampi, satiri, menadi, centauri, teste di fanciullo, uccelli, delfini, vasi di fiori, soggetti dionisiaci.
Alcuni soffitti si sono in parte conservati.
L'edificio subì una distruzione durante il III secolo d.C. a causa di un terremoto, che causò il crollo dei piani superiori.
sala di rappresentanza con colonne dell'Insula delle Ierodule
ambienti dell'Insula delle Ierodule
decorazioni parietali della sala accanto al vestibolo dell'Insula delle Ierodule
decorazioni parietali della sala accanto al vestibolo dell'Insula delle Ierodule
zoccolatura delle pareti e mosaico dell'ambiente vicino al vestibolo
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A pochi metri a sud dell'Insula delle Ierodule sorsero nel 130 d.C. le Terme Marittime, il cui nome venne loro dato erroneamente, creando confusione con le Terme di Porta Marina.
Terme Marittime
Queste terme incorporano nelle loro struttura un tratto delle mure sillane. Gli ingressi e le facciate non sono ancora stati scavati.
Nelle loro rovine, quando caderono in disuso, furono istallate due fornaci e sepolti in anfore cinque bambini(probabilmente di religione cristiana).
angolo sud-ovest delle Terme Marittime
Nel lato nord-ovest vi sono un ambiente con tre forni e una grande piscina, la natatio, decorata con nicchie rettangolari e semicircolari, e rivestita in marmo. All'interno della natatio vi è un grande buco, forse una fontana qui istallata.
ambiente delle Terme Marittime dove vi erano tre forni
natatio delle Terme Marittime
Si accedeva alla natatio tramite una camera, che forse era anche un apodyterium (spogliatoio).
Paralleli alla natatio vi erano tre ambienti riscaldati, di cui uno con lato curvo. Vi erano marmi colorati alle pareti e mosaici in bianco e nero (in parte perduti) con Nereidi su mostri marini, Tritoni e Oceano.
Nell'angolo sud-ovest si vedono i resti di un corridoio di servizio.
Il frigidarium aveva vasche sui lati corti.
Altri ambienti non sono di facile lettura per il visitatore perché inacessibili o coperti da vegetazione.
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Se fossimo entrati dal varco che dal Decumano Massimo entra nel Cardo degli Aurighi, sulla sinistra di questa via affacciano una serie di caseggiati, come la Domus del Decumano, la Domus di Marte e le cosiddette Domus Dipinte (che aprono solo in alcuni periodi dell'anno al pubblico), l'Insula delle Pareti Gialle e quella delle Muse.
Domus del Decumano.
ingresso e sarcofago/fontana della Domus del Decumano
Questa domus si è istallata nel IV secolo d.C. in negozi con retrobottega costruiti nel III secolo d.C. e aventi un portico antistante. L'ingresso della domus avviene attraverso un'apertura dell'ex portico.
Nel portico vi è un sarcofago con foro, usato come vasca o fontana.
Un corridoio, che passa attraverso gli ex negozi e le loro retrobotteghe, conduce ad una sala dove vi è un bacino ricoperto in marmo.
Da questa sala, tramite tre gradini, si accede ad un'altra sala rivestita in marmo e preceduta da due colonne.
sala con colonne d'ingresso della Domus del Decumano - una colonna è quasi totalmente nascosta dalla vegetazione!
La Domus di Marte costruzione ad un solo piano di epoca adrianea. S'affacciano sul Decumano Massimo tre negozi appartenenti all'edificio, mentre l'ingresso principale della domus si apre sul Cardo degli Aurighi, insieme ad altri due negozi.
Davanti ai negozi del Decumano Massimo vennero poi eretti dei pilastri. Due negozi erano in collegamento con il vestibolo della domus. Il vestibolo conduce ad un cortile sul quale s'affacciano due sale, un tempo rivestite in marmo. Nel cortile è stato ritrovato un altare dedicato a Marte Augusto, e probabilmente questo edificio è stato la sede di una gilda.
negozi e ingresso della Domus di Marte
nicchie di un negozio della Domus di Marte affacciato su Via degli Aurighi
cortile della Domus di Marte
Lasciamo il cardo degli Aurighi per svoltare a sinistra in via delle Volte Dipinte su cui affacciano 2 insule appartenenti al complesso delle Case Giiardino: l'Insula delle Muse e quella delle Volte Dipinte.
Via delle Volte Dipinte: Insula delle Muse (a sinistra) e Insula delle Volte Dipinte (a destra)
Insula delle Muse
di epoca Adrianea (apre solo in alcuni periodi dell'anno).
L'edificio, una dimora d'elite, fu realizzato intorno al 128 d.C.
Con cortile porticato, una soluzione, ad Ostia, utilizzata per grandi caseggiati popolari a più piani, ma in questo caso si tratta di un'abitazione signorile, non più alta di un piano, abitata da una famiglia della ricca borghesia.
Per gli affreschi presenti nelle varie stanze, è stato tenuto conto della diversa esposizione alla luce: più luce colori più scuri, meno luce colori più chiari.
Addentrandosi nella casa, percorrendo il corridoio, nel susseguirsi di stanze, c'è un piccolo salotto decorato con affreschi raffiguranti Apollo e le muse (un importante esempio di come, pur essendo andata distrutta Pompei già da molti anni, l'architettura scenografica che lì regnava, continuò ad esistere, seppur in misura minore).
Più avanti il grande ambiente del triclinio, abbellito da pitture murarie, raffiguranti pilastri, colonne, finestre e porte aperte, da cui sembrano entrare ed uscire piccole figure di donna. La stanza più vasta, ricorda il vano importante e solenne delle domus pompeiane, con graffiti, che tra gli altri soggetti, riproducono la colonna Traiana.
Percorso di visita:
Corre lungo la facciata un marciapiede delimitato da travertino, e sul quale affacciano due botteghe indipendenti.
L'ingresso dell'abitazione si trova su Via delle Volte Dipinte, davanti all'omonima insula.
La porta d'ingresso, che introduceva nel vestibolo, è affiancata da lesene in mattoni che sorreggevano una trabeazione andata perduta.
L'ambiente a nord del vestibolo era una cucina con bacino.
Dall'altro fianco del vestibolo vi era una scala interna per accedere al piano superiore.
Gli ambienti dell'insula, con raffinate decorazioni parietali e pavimentali, gravitano intorno ad un cortile centrale porticato.
Le nove Muse dipinte sulle pareti di una sala della zona nord-est dell'edificio, hanno dato il nome all'insula.
Anche le altre sale hanno pareti con raffigurazioni pittoriche di figure mitologiche ed elementi architettonici.
I mosaici dell'insula sono a disegni geometrici bianchi e neri.
cucina dell'Insula delle Muse
cortile porticato dell'Insula delle Muse
Muse dipinte in una sala dell'Insula delle Muse
Insulae delle Volte Dipinte Il primo caseggiato posto sulla sinistra della strada è l' Insula delle Volte Dipinte (visitabile solo in esterno). Anche questa di epoca adrianea, fu restaurata più volte; molto singolare, per quel tempo, la planimetria, non c'è il cortile interno, ma un corridoio, che taglia in due il piano terra, su cui si affacciano le varie stanze, tutte dotate di finestra per far entrare la luce. Un'altra particolarità di questa insulae sono gli affreschi sulle volte; tutti gli affreschi qui ritrovati, possono essere suddivisi in due categorie: quelli su fondi gialli e rossi (di solito utilizzati per ambienti di rappresentanza) e quelli su fondi bianchi (utilizzati per ambienti privati). A nord troviamo una taberna con un bancone. Al secondo piano, una cucina con bancone e fornelli ben conservati e uno scarico per le acque. Sull'utilizzo di questa casa ci sono versioni contrastanti, a causa di alcuni dipinti con scene erotiche, ritrovato in una delle sale: la prima ipotesi è che si trattasse di una casa di piacere, ma la cosa strana è che sorge nella zona più signorile di Ostia antica; la seconda ipotesi è che si tratti semplicemente di una camera da letto privata.
facciata meridionale dell'Insula delle Volte Dipinte
Prende il suo nome dalle volte dipinte che vennero alla luce al momento degli scavi e che non si sono conservate nello stesso stato in cui furono trovate!
E' una casa su due piani che si trova isolata su una piazzetta a sud-est delle Case Giardino.
L'angolo nord dell'edificio è occupato da un "bar" con bancone ben conservato e resti di pittura alle pareti con figure umane.
"bar" dell'Insula delle Volte Dipinte
L'ingresso sul lato ovest dell'insula è sormontato da un timpano e introduceva in un vestibolo.
timpano dell'ingresso sul lato ovest dell'Insula delle Volte Dipinte
Al pian terreno piccole stanze sono disposte lungo un corridoio che la divide nella sua lunghezza.
La parte ovest del primo piano, forse un unico appartamento, conserva dipinti con elementi architettonici, animali e figure umane su fondo giallo di epoca antonina. La parte inferiore è dipinta a finto marmo.
Nel triclinio, accanto al vestibolo, sono rappresentate figure danzanti femminili e un Priapo.
Nel secondo e attiguo triclinio le pareti sono decorate con un paesaggio e una testa di Zeus-Ammone.
La zona est del pian terreno era probabilmente un albergo dato che le camere sono tutte chiudibili singolarmente e indipendenti. Dai dipinti e dai graffiti si deduce che l'insula fu trasformata in lupanare. Le decorazioni pittoriche delle volte risalgono ad età severiana.
In quest'ala dell'insula vi era anche una cucina e un bagno con bacino per l'acqua portata direttamente dalla cisterna esterna all'insula.
cisterna per l'acqua
Al primo piano, accessibile da una scala esterna, si trova una cucina ben conservata con fornelli e bancone, una latrina e stanze con tracce di decorazione.
scala d'accesso al primo piano dell'Insula delle Volte Dipinte
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A nord dell'Insula delle Volte Dipinte sono l'Insula Trapeziodale e l'Insula delle Muse
Insula Trapezoidale di età adrianea.
ingresso dell'Insula Trapezoidale e letamaio
A nord dell'insula un largo ingresso introduce in un cortile scoperto pavimentato in basalto.
cortile e ambienti laterali dell'Insula Trapezoidale
Fiancheggiano il cortile due sale coperte. Questa era una stalla con due mangiatoie, per gli ospiti che frequentavano l'albergo dell'Insula delle Volte Dipinte.
scale interne al cortile dell'Insula Trapezoidale
Il piano superiore avrà ospitato gli schiavi dei clienti. Esternamente vi era anche un letamaio e una bottega.