I Quattro stili della Pittura Romana - by Valeria Scuderi 21/03/20


Villa dei Misteri - Pompei 
In questo articolo vogliamo esaminare i principali stili della pittura romana, ma prima di farlo occorre introdurre l'argomento con una premessa, ed una introduzione storica.

PREMESSA
L'esigenza di scrivere questo articolo nasce dalla difficoltà nel distinguere e riconoscere i quattro stili della pittura romana, sopratutto gli ultimi tre. Spesso non è semplice distinguerli perché mischiati fra loro, poiché in uno stesso edificio possono coesistere pitture di più stili dipinte in fasi cronologiche diverse, mentre nel terzo e quarto stile spesso vi sono rimandi a modi pittorici precedenti. Inoltre, va osservato come gli affreschi di quarto stile sopravvissuti nella Domus Aurea di Roma, si presentino visivamente assai diversi da pitture coeve affrescate in ambito Vesuviano, dimostrando come il gusto del committente potesse influenzare l'esecuzione finale dei pittori

INTRODUZIONE  STORICA
La pittura romana è tra quelle che meglio si sono tramandate, nella generale rovina della pittura antica

La straordinaria conoscenza di questa pittura è dovuta soprattutto alle uniche condizioni di conservazione di Pompei e delle altre città vesuviane, dove sono stati ritrovati enormi quantitativi di pitture, soprattutto affreschi parietali, databili tra il II secolo a.C. e la data dell'eruzione che le sommerse nel 79 d.C. 

Lo studioso tedesco August Mau classificò la pittura pompeiana in quattro stili, basandosi sulle sue osservazioni, e sulle descrizioni trattate da Vitruvio nel VII libro del De Architectura.

Tuttavia, è bene ricordare che il centro della produzione della pittura romana non fu Pompei ma Rom​a​, dove schemi e modelli decorativi venivano elaborati prima di diffondersi nelle altre provincie

La pittura romana si può, a ragione, definire ​"​eclettica​"​ poiché fuse in se elementi presi a prestito dalla produzione artistica medio-italica (principalmente etrusca e campana) con quella ellenistica, di cui imitò modelli e tecniche, creando innumerevoli copie che, in maniera analoga alla scultura, hanno permesso di conoscere, con una certa approssimazione, gli originali perduti.

I modelli greci furono inizialmente difficili da far accettare a quella parte dei romani più legata alle tradizioni, ma l'intervento di eminenti personaggi pubblici, quali Giulio Cesare e l'imperatore Augusto, promotori di esposizioni artistiche di pittura grecacomportarono un aumento dell’interesse nei confronti di questa espressione artistica.

L'arte, espressione del suo tempo, testimone dei cambiamenti socio-politici e culturali di una nazione e del suo popolo, seppe tradurre in linguaggio figurato l'evoluzione della civiltà romana, attraverso le sue vittorie e conquiste sociali.​ 

​La pittura ad affresco si affermò inizialmente nella decorazione di templi e sepolcreti, ne abbiamo le prime testimonianze a partire dal IV secolo a.C quando prima nel Tempio della Salus (attribuite a Fabius Pictor) e poi nella necropoli Esquilina vennero dipinte scene delle guerre sannitiche. 

La pittura trionfale ebbe origine dalla tradizione di portare in trionfo nei cortei, delle tavole pittoriche raffiguranti le varie fasi della campagna militare che portò alla vittoria. Tale tradizione​, ebbe sicuramente influenza anche sul rilievo storico di epoca imperiale.

​La pittura​ ad affresco​ inizierà a diffondersi anche nelle abitazioni private​ dopo la conquista della Magna Grecia, Cartagine e Grecia, quando l’arte, il bello e lo sfarzo divennero testimonianza della potenza e dominio di Roma sul mar Mediterraneo. Potenza che accrebbe ancor più in epoca Silliana e Cesariana, affermandosi dopo la sconfitta dell’Egitto e l’ascesa al potere di Ottaviano Augusto, primo imperatore di Roma.

I QUATTRO STILI DELLA PITTURA ROMANA
Si individuano quattro "stili" per la pittura romana, anche se sarebbe più corretto parlare di schemi decorativi:
  • Il primo stile (detto ad incrostazione), imita strutture murarie e rivestimenti in marmi preziosi, derivato dalla pittura greca, iniziò a diffondersi a Roma dal II secolo a.C.
  • Il secondo stile (finte architetture e narrazioni pittoriche), databile dal 120 a.C. al 50 a.C. circa, non ha lasciato tracce fuori da Roma e le città vesuviane, eccezion fatta per le pareti affrescate del Santuario repubblicano di Brescia.
  • Il terzo stile (ornamentale), nato in epoca Augustea, continuò a diffondersi negli anni della dinastia Giulio-Claudia.
  • Il quarto stile (illusionismo prospettico), si affermò in età neroniana, distinguendosi dai precedenti per l'inserimento di architetture fantastiche di grande impatto visivo. Questo nuovo stile dilaga presto in tutto l’impero romano e perdura almeno fino al 79 d.C., anno dell’eruzione del Vesuvio che distruggendo le città vesuviane pone fine alla possibilità di classificare ulteriori evoluzioni stilistiche della pittura romana, poiché a Roma e nelle altre città dell'impero, la presenza di pitture successive al I secolo d.C. è molto scarsa.  
Per aiutare il lettore a meglio comprendere le differenze fra i quattro stili della pittura romana, ho utilizzato delle foto e dei link che rimandano ai vari siti archeologici qui esaminati.

Primo stile:
detto anche stile Strutturale o a Incrostazione, diffusa sia negli edifici pubblici che nelle abitazioni, imita strutture murarie con blocchi squadrati (opus quadratum), e eleganti lastre marmoree che disegnano forme geometriche e a meandro, utilizzando in alcuni casi anche elementi in stucco a rilievo, detti crusta, da cui il nome "stile dell'incrostazione". Le pitture di questo stile contengono anche piccoli elementi architettonici, come ad esempio pilastri per la divisione verticale delle superfici.
Le prime testimonianze relative e al primo stile si collocano a cavallo fra la fine del III secolo e II secolo aC. (età sannitica), sia negli edifici pubblici che nelle domus private.

Il primo stile derivava da una profonda ispirazione ellenistica diffusasi a partire dal IV secolo aC.: degli esempi possiamo ammirarli a Delos e in altre città greche, come alcune città sul Mar Nero.
Casa di Sallustio - casa di età Sannitica - Pompei
Il primo stile era giocato sia su monocromi che riproducevano la struttura di un muro in blocchi (talvolta mediante elementi in stucco a rilievo, tendeva a riprodurre il rivestimento delle pareti in opus quadratum, che veniva chiamato anche stile dell’incrostazione), sia sulla contrapposizione di più colori, geometricamente organizzati a imitare i rivestimenti in marmo prezioso, il cui elemento decorativo principale è spesso costituito da cubi, meandri, e losanghe dipinti in prospettiva.

Le austere pareti dipinte in primo stile poggiano su altrettanto sobri pavimenti a mosaico bicromi.
Le pitture in primo stile sono generalmente composte da tre zone che seguono una sequenza fissa:
  • una fascia  superiore decorata con cornici in stucco sporgente.
  • una fascia mediana dipinta che imitava il marmo, il granito o l’alabastro, utilizzando colori come il rosso, il nero, il viola, il giallo e il verde.
  • uno zoccolo solitamente di colore giallo, ma non sempre.
Nella pittura pompeiana di questo stile trovavano spazio anche piccoli elementi architettonici, come pilastri utilizzati per la divisione verticale delle superfici, oppure decorate con cornici in chiaroscuro, finto rilievo e piccole semicolonne in stucco.

Nell’area vesuviana, in particolare a Pompei, questa tecnica è presente nella Basilica, nel tempio di Giove, nella Casa del Fauno e nella Casa di Sallustio. Per quanto riguarda Ercolano, ve ne sono tracce nella Casa Sannitica.

Secondo stile:
anche detto stile architettonicosimula false architetture, con la presenza di colonne, architravi, archi e nicchie dipinte prospetticamente a trompe l'oeil con il chiaro intento di ampliare illusionisticamente le stanze. Il secondo stile vede l'inserimento di quadretti riportati con narrazioni mitologiche, nature morte, e altri soggetti.

Il secondo stile inizia a diffondersi in Italia è a partire dalla fine del II secolo a.C. (in epoca Silliana e Cesariana), negli stessi anni in cui si diffondono i santuari a terrazze tardo repubblicani, su imitazione di quelli ellenistici, come ad esempio quelli della Fortuna Primigenia a Palestrina,  quello di Ercole Vincitore a Tivoli,  o quello di Giove Anxur a Terracina.

Questo stile si differenzia dal primo perché sulle pareti vengono rappresentate strutture architettoniche, come colonnati, frontoni, edicole, porte e finestre, per suddividere lo spazio tramite l’effetto trompe l’oeil (inganna l’occhio) sfondando prospetticamente il limite murario delle stanze superando i limiti dello spazio reale.

L’esempio più antico di pittura di secondo stile, è stato ritrovato a Roma nella casa repubblicana dei Grifi sul Palatino, collocabile tra il 120 e il 90 a.C.
La differenza sostanziale di questo tipo di pittura con quella di primo stile sono le creazioni di cornici e fregi dipinti e non più realizzati in stucco, che riproducono ad esempio, tralci vegetali. Rispetto al primo stile, l’innovazione è fornita dall’effetto a tromp l'oeil, dove con tecniche illusionistiche vengono dipinti finti podi e finti colonnati, edicole e porte, attraverso le quali si aprivano vedute prospettiche.
Parete della Villa di Publio Fannio Sinistore al Metropolitan Art Museum di New York  
L'effetto illusionistico viene ottenuto dividendo la parete su due o tre registri divisi da una falsa cornice marmorea dipinta a monocromo. Nel registro inferiore viene riprodotto uno zoccolo decorato con finte lastre marmoree, o a finto bugnato. Mentre nel registro mediano troviamo un'alternanza di falsi colonnati a imitazione di logge, affacciate illusionisticamente su paesaggi naturalistici, che imitano la campagna, i boschi, il mare, le montagne, i laghi, o altri luoghi naturali. L'uso di questi paesaggi rompeva la monotonia della parete, creando nel muro, fenditure illusionisticamente aperte sul mondo.

Negli anni centrali del I secolo a.C. le architetture illusionistiche diventano sempre più sofisticate ed effimere, allontanandosi sempre più dall'imitazione della realtà, rappresentando architetture peculiari affacciate su paesaggi di fantasia poco probabili
In alcuni casi le cornici architettoniche anziché iscrivere paesaggi, circondano la visione di episodi mitici
Cesta di Fichi - Oplontis
Secondo Vitruvio il secondo stile era una sorta di imitazione di vedute di edifici, colonne e frontoni sporgenti, e negli spazi centrali erano raffigurate, su dei larghi pannelli, scene tragiche, comiche o satiriche che rimandavano a storie mitologiche.

Spesso nei larghi pannelli della zona mediana, venivano riprodotte nature morte con cacciagione guarnite da ortaggi e frutta, oppure scenari teatrali su cui venivano dipinte maschere tragi-comiche, o ancora delle megalografie su cui venivano rappresentate figure umane di ampie dimensioni.  
Un caso particolare, nell’ambito megalografico, è rappresentato dai misteriosi personaggi che appaiono nella Villa dei misteri di Pompei (nella foto), in un interno raffinato e ricco di simboli.
Altri esempi del secondo stile a Pompei sono presenti nella casa di Marco Lucrezio Frontone (nella foto), nel Lupanare, nella domus delle Nozze d’Argento, e nella casa del Criptoportico e in quella di Obellio Firmo. In queste opere si nota per la prima volta in ambito romano un disporsi compiuto delle figure nello spazio che sembra "sfondare" la parete.
Affresco dalla villa di Publio Fannio Sinistore, oggi al Metropolitan Art Museum di New York  
Il luogo dove è presente l’esempio più elegante e ricco di questo stile si trovava nelle ville di Boscoreale, nell’area vesuviana, posteriore al 50 a.C., di cui le pitture sono oggi conservate in più musei, come il Louvre, il Metropolitan Museum di New York e il Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Mentre a Roma, tra gli esempi più interessanti riferibili al secondo stile, vi sono gli affreschi con scene dell'Odissea dalla Casa repubblicana di via Graziosa sull'Esquilino (scoperta nel 1848), che oggi sono conservati nella Biblioteca Apostolica Vaticana dei Musei Vaticani, e che vengono datate tra il 50 e il 40 a.C., probabilmente delle copie, eseguite con diligenza (e qualche errore, come nei nomi trascritti in greco dei personaggi) di un originale alessandrino perduto databile attorno al 150 a.C., oppure di modelli tratti dalle illustrazioni dei poemi effettuate nella biblioteca di Alessandria.
I pannelli che raffigurano episodi dell'Odissea erano collocati nella parte alta della parete dell'ambiente principale, secondo una disposizione che ha un parallelo nei rilievi nilotici dell'atrio della villa dei Misteri di Pompei. Uno dei pannelli più vivaci è quello dell'Assalto dei Lestrigoni (nella foto), con figurette disseminate in un vasto paesaggio, comprendente una visuale aerea e riempito di rocce e alberi, con pastori ed animali. La rappresentazione è arricchita dal nome di ciascun personaggio scritto vicino in greco, che lascia supporre la presenza di modelli ben precisi, magari forniti dalle illustrazioni dei poemi effettuate nell'ambito della biblioteca di Alessandria.

Le tonalità scelte si armonizzano bene tra di loro e la tecnica scelta è di tipo quasi "impressionistico", secondo un metodo che venne ampiamente usato fino a tutta l'epoca medio-imperiale nella decorazione di fregi minori e di pinakes a sportello.


Il secondo stile non ha lasciato tracce fuori da Roma e le città vesuviane, eccezion fatta per le pareti affrescate del Santuario repubblicano di Brescia, databile dal 120 a.C. per le proposte più antiche, fino agli esempi più tardi del 50 a.C. circa.

T​erzo stile: 
definito anche stile ornamentale, vede diminuire la presenza delle false architetture. Nato in epoca Augustea (prima epoca imperiale), cronologicamente coincise per un lasso di tempo al secondo stile arrivando alla metà del I secolo, sotto il principato dell’imperatore Claudio (41-54). 
La testimonianza più antica del terzo stile viene convenzionalmente identificata nella decorazione interna della piramide di Caius Cestius a Roma (nella foto), datata secondo criteri epigrafici intorno al 12 a.C.,
dove osserviamo vaste aree di pittura riempite con un solo colore, che presentavano al centro piccole figure alate, oggetti come crateri o esili candelabra.
La pittura di terzo stile si afferma sotto il principato dell'imperatore Augusto. Una vera matrice del gusto dell’epoca è rappresentata dai dipinti sulle pareti della sua residenza al Palatino, dove caratteristiche del secondo stile tardo si fondono con quelle del terzo stile. Ostentazione e lusso sono aboliti dagli spazi abitati da colui che si proclamava ‘primus inter pares’”.
La caratteristica principale del ‘terzo stile augusteo’ è il rifiuto delle finte architetture, unitamente all’adozione di una decorazione fondata sull’associazione di grandi superfici piane colorate con tinte vivaci e spesso ornate nella parte centrale con grandi pannelli figurati. 

La pittura di secondo stile non ha più quelle caratteristiche prospettiche e illusionistiche proprie del secondo stile. Le architetture perdono del tutto la loro tridimensionalità (alcune volte solo le colonne la mantengono). Lo spazio è suddiviso e riempito con pittura monocroma e colori tenui come il bianco, il crema o il giallo, o come nella stanza delle maschere dove i colori sono più vivaci: rosso, nero, verde. Sulla parete si possono vedere candelabri, calami, bruciaprofumi che in molti casi sorreggono tetti e strutture.  

L’impianto architettonico, divenuto più esile, serve innanzi tutto a mettere in evidenza i pannelli figurati che si dispongono al centro della parete. Le colonne si riducono ad esili fusti, spesso vegetalizzati o trasformati in candelabri​, le loro delicate esilità ne accentuano l’aspetto irreale.​  La policromia si fa più discreta e fa risaltare le raffigurazioni sulle quali si concentra il messaggio visivo.
Negli affreschi della domus trasteverina appartenuta ad Agrippa (nella foto) e su cui in epoca rinascimentale sorse la villa della Farnesina (conservati a Palazzo Massimo alle Terme), o quelli dell’Aula Isiaca al Palatino, si andò delineando una tecnica ricca di decorazione architettonica che riproduceva i grandi edifici ellenistici come colonnati e ampi porticati.


Un altro esempio di terzo stile, è rappresentato dalle Nozze Aldobrandini sono una pittura romana ad affresco della seconda metà del I secolo a.C., conservata presso l'omonima sala della Biblioteca Apostolica Vaticana, che rappresenta una scena di matrimonio, con la partecipazione di Imene e Venere. A lungo ritenuta copia di un originale ellenistico del IV secolo a.C., è invece un prodotto originale della pittura romana di età augustea. Il dipinto, spezzato alle estremità, costituisce parte del fregio della decorazione parietale in terzo stile di una domus dell'Esquilino.
Un esempio grandioso di terzo stile lo possiamo trovare nel tablinum della Casa di Marco Lucrezio Frontone (nella foto), presso gli scavi archeologici di Pompei. Profondamente diverso dal secondo stile nella tridimensionalità, presenta vaste aree di pittura riempite con un solo colore, in prevalenza scure e paragonabili ad odierni tendaggi, che presentavano al centro piccoli pannelli (pinakes) in cui sono raffigurate scene di varia natura. Alcuni esempi di questi ornamenti, solitamente a tonalità più chiare, potevano essere candelabri, figure alate, ramificazioni vegetali. Viene, inoltre, potenziata la presenza del quadro riportato, che appare come una sorta di finestra aperta nel muro, attraverso la quale è possibile assistere a scene urbane.
Altri esempi di questo genere si trovano nella Villa Imperiale a Pompei, e quella di Boscotrecase, detta di Agrippa Postumo.
In concomitanza con la nascita di questo stile, fecero la comparsa i cosiddetti paesaggisti, in quanto dipingevano i dettagli dei giardini con grande maestria, ne è un esempio il giardino dell'imperatrice Livia dipinto nella villa a Prima Porta (nella foto), conservati in palazzo Massimo alle Terme a Roma.
Il dipinto diventa illusione di un grande giardino augusteo
E’ davvero impossibile passare a descrivere i dipinti parietali della villa di Livia Drusilla, moglie di Augusto, senza prima transitare attraverso la magia dalla quale queste opere furono suscitate. Livia, prima delle nozze con Augusto, aveva ricevuto in grembo una gallina bianca lasciata cadere da un’aquila. L’animale domestico che, nonostante l’aggressione, era in perfetta forma fisica, teneva nel becco un ramo di alloro con le bacche. “Gli aruspici ordinarono che il rametto fosse piantato, e questo diede vita al bosco annesso alla villa ‘ad gallinas alba’ (alle bianche galline). I lauri trionfali della famiglia imperiale provenivano da quel luogo, e gli stessi divennero il simbolo della prosperità del lignaggio. Alla morte di Nerone, il bosco si incendiò e tutte le galline morirono”. Il grande affresco della villa di Livia a Prima Porta documenta, nell’ambito del terzo stile, la nascita della cosiddetta pittura di giardini, “spesso in contraddizione con lo spazio reale, paradiso immaginario ma, al contempo, collezione di curiosità botaniche a metà strada tra il giardino di Alcinoo e i paradisi dei re orientali. I dipinti decoravano un ninfeo di grandissime dimensioni (5,90×11,70 m) sprovvisto di finestre”.


Il pittore Studius considerato​ ​l’inventore del paesaggio
Nelle dimore imperiali, al centro dei pannelli che ornano le pareti non appaiono soltanto scene mitologiche o figure divine, ma anche paesaggi e pitture di giardini che costituiscono un altro riferimento all’età augustea.
E’ significativo che l’unico nome di pittore appartenente a quest’epoca trasmesso da fonti scritte sia quello di Studius, il quale secondo Plinio il Vecchio, per primo inventò l’assai leggiadra pittura delle pareti raffigurandovi case di campagna, porti e temi paesaggistici, boschetti sacri, boschi, colline, peschiere, canali, fiumi, spiagge secondo i desideri di ognuno, e in quell’ambiente vari tipi di persone che passeggiano e che navigano, oppure che si dirigono per terra verso le loro ville su asinelli o carri, oppure che pescano o cacciano o anche vendemmiano. Tra i suoi soggetti compaiono anche delle nobili dimore di campagna, raggiungibili attraversando una palude, e delle donne, prese al collo da trasportatori a pagamento, che caracollano sulle spalle dei trepidi facchini.

Quarto stile: 
Il quarto stile, detto anche dell’illusionismo prospettico, si diffuse in epoca neroniana come reazione alla stilizzazione dello stile precedente.
Originato probabilmente dalle novità artistiche legate alla costruzione della Domus Aurea, sfarzosa dimora, che l’imperatore Nerone realizzò nel cuore di Roma tra il 64 e il 68 d.C., il quarto stile si diffuse presto in tutto l'impero. A Pompei moltissime case sono decorate con questo stile in quanto la maggior parte di esse furono ricostruite dopo il terremoto del 62 d.C.  
Nel 1480 un giovane romano, cadendo in una cavità del terreno sull’altura del colle Oppio, si ritrovò in una sala bizzarra ed eccentricamente decorata.​ ​La grotta scoperta, inizialmente creduta un ambiente delle Terme di Tito, era in realtà il soffitto a volta interrato della villa di Nerone, la Domus Aurea.
Ambiente rinascimentale decorato a grottesca
Caratteristica del Quarto Stile è la tripartizione della parete in zoccolo (parte bassa), zona mediana e zona superiore. La zona mediana presenta un’alternanza di larghi pannelli e di scorci architettonici, nei quali riemerge il gusto per le prospettive articolate, come nel Secondo Stile.  Nel pannello centrale si trova sempre un quadro mitologico, mentre nei pannelli laterali la decorazione può spaziare tra quadretti con paesaggi, figure volanti, amorini, medaglioni ritratto, etc.​ ​La zona superiore è decorata con edicole prospettiche ricca di elementi floreali e fantastici. Altro filone compositivo del Quarto Stile, è quello delle "scaenae frontes" che imita le scenografie teatrali e di cui abbiamo testimonianza proprio nella zona superiore dell’affresco di Positano.

Il quarto stile si distingue dagli altri principalmente per l’introduzione di architetture di ispirazione fantasy, dotate di grande scenicità.  A differenza del secondo stile dove le architetture risultavano plausibili, nel quarto stile (così come il terzo stile), queste appaiono come improbabili, bidimensionali e puramente decorative, dal tratto fortemente calligrafico. Adoperando un paragone anacronistico, potremmo paragonare il quarto stile alla frivolezza e all'iperdecorativismo del rococò.

Le pareti erano decorate soprattutto con il colore rosso su fondo bianco o nero, dove tornano un revival di elementi e formule decorative già sperimentate in precedenza come le imitazioni dei rivestimenti marmorei del primo stile, o le ornamentazioni con candelabri, figure alate, tralci vegetali, già viste nel terzo stile.

Il quarto stile e anche detto dell’illusionismo prospettico, perchè paragonabile all’intenso decorativismo, caratteristico dell'arte barocca e rococò, che riempie ogni minimo spazio​, e dove l’accumularsi di elementi decorativi, creano un autentico horror vacui, che non lascia il minimo spazio libero attorno ai riquadri nei quali appaiono elementi paesaggistici o raffigurazioni mitologiche. I personaggi vengono dipinti in pose plastiche o con espressioni enfatizzate. La sensazione di eccesso decorativo è accentuata dal moltiplicarsi delle prospettive architettoniche nella parte superiore della parete e ad ogni angolo della stanza. 
A Pompei, il quarto stile si impose dopo il 60 d.C.: questa datazione abbastanza certa la dobbiamo alla gran parte delle ville pompeiane in cui sono presenti pitture create dopo la ricostruzione della città a seguito del terribile terremoto del 62 d.C., una avvisaglia della disastrosa e tristemente nota eruzione che colpì l’area vesuviana nel 79 d.C. Esempi pompeiani pregiati li ritroviamo nella Casa dei Vettii (come non citare il Priapo per il quale la Casa dei Vettii è famosa) e nella Casa dei Dioscuri, probabilmente affidati ad artisti della stessa bottega. Sempre a Pompei, altri esempi di quarto stile lo possiamo trovare nella Casa di Menandro, nella quale sono presenti piccoli ed eleganti riquadri che raccontano la guerra di Troia.
Palestra - Ercolano

TECNICHE DI PITTURA
Luciana Jacobell​i​, scrive che la tecnica con cui veniva realizzata la pittura parietale nell'antica Roma è detta ad “affresco”, perché si dipingeva sull’intonaco ancora umido (fresco). Ciò faceva sì che i colori si amalgamassero con gli strati preparatori di calce e polvere di marmo formando uno strato compatto e capace di mantenere i colori lucidi e resistenti nel tempo. Il lavoro veniva effettuata “a giornata”: i decoratori iniziavano lavorando sempre dalla parte alta della parete, applicando l’intonaco non sull’intera superficie, ma solo sulla zona che potevano finire nell’arco di una giornata.

La maggior parte dei colori antichi era di origine minerale: i gialli, i rossi, i bruni, alcuni verdi, sono ottenuti per decantazione – e talvolta per calcinazione – di terre naturali. Altri sono di origine vegetale, come il rosa, il nero, ottenuto spesso dal nerofumo. Particolarmente costoso era il blu, conosciuto anche con il nome di blu egizio ottenuto dal riscaldamento di una miscela composta da silicato di rame, calcite e carbonato di sodio come fondente.
Casa dei Vettii, Pompei
I quadri centrali e le vignette laterali venivano realizzati per ultimi. Si lasciava uno spazio libero nel quale i pittori più qualificati (pictores imaginarii) potevano eseguire i quadri – quasi sempre a carattere mitologico – grazie all’aiuto di cartoni. Le cornici, dal motivo ripetitivo, erano realizzate grazie​ ​all’uso di stampi.


ARTICOLI CORRELATI

I pittori di Roma antica replicavano le figure con le sagome di cartone (pubblicato il 19/03/11 su StileArte.it). Un accurato esame delle pitture romane rivela l’utilizzo, nel mondo antico, di sagome standard per la realizzazione di figure. Affreschi in serie, quindi? E’ stato scoperto che, osservando le opere a luce radente, è possibile individuare una successione di impronte identiche di cartoni, ravvisabile in particolar modo in due immagini affrontate di caproni, caratterizzate da avvallamenti ottenuti senza dubbio poggiando una sagoma sull’intonaco fresco. A questa tecnica si ricorreva con frequenza nel Medioevo, e poi si estese ad ogni secolo, ma fino ad oggi non si conoscevano casi di impiego nella classicità: anche se a sagome adibite alla replica delle figure aveva accennato nei suoi scritti Plinio, chiamandole catagrapha. I cosiddetti cartoni o stencil forniscono una forma base, ma permettono poi si mutare lievemente le forme e i colori o possono essere ribaltate specularmente, ottenendo figure all’apparenza diverse, I cartoni erano utilizzati anche per la pittura cavalletto.




La Domus dei Casti Amanti, a Pompei, contiene un affresco significativo sull’orizzonte sentimentale degli antichi romani, tra affetto amicale e sentimento di coppia. La casa fa parte  di un’unica grande Insula che comprende anche la Domus dei Pittori al Lavoro e alcune botteghe e si estende per oltre 1500 metri quadri. Il nome origina dal bacio “casto” che due amanti si scambiano in uno dei quadretti (in foto) di banchetto che decorano il triclinio della casa, con annesso panificio. Si trattava infatti dell’abitazione di un ricco panettiere e all’interno della domus sono visibili  oltre al forno del panificio, splendidamente conservato, con le annesse macine anche le due stalle con i resti di sette animali. Ancora non integralmente esplorata, Vittorio Spinazzola nel 1912 aveva iniziato l’indagine della facciata con il balcone con colonnato,  poi danneggiato nel bombardamento del 1943. Lo scavo è proseguito, a più riprese, dal 1982 fino al 2004, con un ampio progetto di restauro e valorizzazione.


Poco prima dell’evento drammatico del 79 d.C., erano in corso la risistemazione della rete idraulica e, nella Casa dei Pittori al lavoro, il rifacimento della decorazione parietale nel grande oecus: l’interruzione improvvisa lasciò incompleti i quadretti dei quali era già eseguita la sinopia. Indizio dell’abbandono repentino dei lavori sono le numerose coppette ancora piene di pigmenti che l’artista stava adoperando.

Ma qual è il significato del dipinto? Esso si lega parzialmente all’amore, nonostante le due figure centrali si bacino sulla bocca. L’opera, probabilmente una tempera a secco – lo sfarinarsi del colore in un unico strato lo indica – e non un affresco – è un canto all’inizio della stagione estiva che porta sole, gioia, sete di acqua e di amore.



che​ si stagliano su uno sfondo bianco. L'affresco, di forma trapezoidale, probabilmente posto al di sotto di una scala, è emerso alle spalle dello slargo di incrocio tra il Vicolo dei Balconi e il vicolo delle Nozze d'Argento.
Il dipinto molto probabilmente decorava un ambiente frequentato da gladiatori, forse una bettola dotata di un piano superiore, destinato ad alloggio dei proprietari dell'esercizio commerciale o come di frequente, soprattutto vista la presenza di gladiatori, destinato alle prostitute.