Galleria Borghese - Riassunto di Vincenzo Vacca
Roma. Galleria Borghese.
Nel 1612 il Cardinale Scipione Borghese, nipote del Papa Paolo V, seguendo le mode del tempo, raccolse una immensa collezione di opere d’arte nella villa del suo casato alle porte di Roma, dando vita alla Galleria Borghese, uno dei più importanti ed eleganti musei europei.
Nell’entrare (dall'ingresso originale) si viene immediatamente travolti dalla maestosità della sala d’ingresso dipinta da Mariano Rossi, tanto da pensare che tutto il museo sia cosi imponente.
Ma nel corso della visita si scopre che le altre sale pur bellissime e ricchissime sono molto più intimi e discrete perfette per metterci a nostro agio durante la visita. Infatti solo la prima sala aveva lo scopo di glorificare i fasti del casato dove i suoi componenti sono raffigurati nello splendido affresco epico nel soffitto.
In essa vi si trovano tante opere d’arte da Augusto primo imperatore, agli antichi mosaici raffiguranti la vita dei gladiatori romani.
Ma l’opera più significativa è il Marco Curzio a cavallo. Il Cardinale Scipione venuto in possesso di una statua romana raffigurante un cavallo privo di testa e di gambe, incaricò lo scultore Pietro Bernini del suo restauro.
Lo scultore non solo la restaurò ma vi aggiunse la figura dell’eroe Romano Marco Curzio nella sua groppa.
Il lavoro fu talmente ben riuscito che nessuno anche oggi saprebbe riconoscere le parti antiche e quelle moderne.
Oltrepassata la sala ci si trova in quella chiamata sala degli enigmi e delle prove in quanto chi entra appunto viene messo alla prova delle sue capacità di capire e di distinguere un insieme di opere d’arte talmente diverse tra loro da non avere nessun nesso logico, all’apparenza tutto sembra al proprio posto, ma subito ci si immerge in un profilo di statue, busti, basso rilievi, che ci portano nel mondo antico, ma è un inganno, le cose che sembrano antiche sono moderne e le cose che sembrano moderne sono in realtà antiche.
Chi entra viene subito ammaliato dalla bellezza di Paolina Borghese sorella di Napoleone scolpita dal grande artista del 700 Antonio Canova. Essa è raffigurata nelle sembianze di Venere vincitrice, con la mela, simbolo del trionfo, in mano. Tutti restano affascinati dalla sua bellezza e nessuno nota uno dei più grandi capolavori di suoi tempi: l’Erma di Bacco di Luigi Valadier. Opera in bronzo e marmi preziosi.
Da qui si passa nella sala del David del Bernini del 1624. Questo è un suo autoritratto, non solo perché ha il suo viso, ma anche perché il suo autore come il David è pronto alle sfide del mondo, contratto orgoglioso coraggioso proprio come il David nell’ attimo in cui scaglia la pietra sul gigante Golia. Nella sala si trova un’altra opera d’arte eccelsa l’antico sarcofago romano del 2° secolo dopo Cristo, diviso in due sezioni con la rappresentazione delle fatiche di Ercole.
Lasciata la sala del David si passa a quella di un altro capolavoro del Bernini: Apollo che afferra la ninfa Dafne nell’istante in cui essa per sfuggirgli si trasforma in un albero di alloro. Tutto il gruppo statuario è imperniato da un senso assoluto di leggerezza che si contrappone alla pesantezza della materia e del marmo stesso.
Nella stanza vi è un'altra versione della storia, nel quadro di Dosso Dossi del 1520, in versione pittorica che è completamente differente da quello del Bernini. Apollo è lontanissimo dalla ninfa è la guarda con sguardo sognante con in mano uno strumento musicale, opera più improntata ai valori romantici che a quelli dell’età classica.
Nella parete opposta, un altro quadro dell’artista del 500: la maga Circe che guardi verso l’alto, verso la volta dove vi è un ulteriore versione della storia.
Dopo aver ammirato queste bellissime opere si passa alla sala degli imperatori, una vera e propia enciclopedia dell’età classica con tanti personaggi dagli imperatori avvolti in marmi preziosi, agli altorilievi che raccontano le gesta degli dei dell’olimpo alle pareti e sul soffitto la storia di Galatea e Polifemo.
Al centro della galleria si trova con tutta la sua magnificenza il gruppo statuario del ratto di Proserpina con la sua forza espressiva e la delicata potenza dei corpi, dei muscoli e della morbida pelle, scolpiti in maniera eccelsa. Fantastiche le delicatissime e morbide carni di Proserpina che affondano tra le dita possenti di Plutone. Un gruppo statuario in cui la prospettiva cambia continuamente dalla posizione da cui si osserva e il cane Cerbero con le sue tre teste sembra darci la dimensione dello spazio e con esso il modo esatto da cui osservarla.
Da questa magnifica sala si passa in una più piccola dove ci accoglie una copia della famosissima statua del 2° secolo l’Ermafrodita, Il quale a sua volta non è l’originale della collezione Borghese, essendo stata venduta nel 1807 insieme ad altre 153 statue,160 busti da Camillo Borghese a Napoleone suo cognato e ora si trovano tutte al museo del Louvre a Parigi.
Lasciata la sala si passa ad ammirare un altro gruppo marmoreo del Bernini:
Enea che fugge da Troia con il padre Anchise e figlio Ascanio
Allegoria delle tre età dell’uomo: giovinezza, maturità e vecchiaia.
Nella sala si trova anche Il Vassoio coi puttini del 600 che nonostante sia un opera di una bellezza e delicatezza estrema, nulla ci è pervenuto della sua storia e del suo autore.
Da qui si passa nella sala egizia con i suoi geroglifici e le sue pitture, con al centro il gruppo marmoreo del satiro con delfino, statua greca antica con testa del 500.
Dopo la sala egizia troviamo quella del saturo danzante di epoca romana, ma alle pareti vi sono ovunque riferimenti alle vicissitudini del dio Bacco, questo perché in origine qui si trovavala statua del Sileno e Bacco poi finita anch’essa al Louvre.
E’questa la sala del Caravaggio. Qui sono esposte le sei opere più importanti dell’artista. La sua opera giovanile: Il ragazzo col canestro di frutta e nella stessa parete il San Gerolamo e IL San Giovanni. Ma le più famose sono La Madonna dei palafrenieri e il Davide con la testa di Golia, suo ultimo autoritratto. I Palafrenieri del Papa vollero sostituire un vecchio quadro della loro altare in San Pietro, e commissionarono l’opera al Caravaggio. Il quale in questo quadro rappresenta la Vergine che sostiene il figlio Gesù mentre insieme schiacciano la testa del serpente simbolo del peccato originale sotto lo sguardo vigile di santa Marta sua madre, mentre nell’altro famosissimo quadro, c’è l’ultimo autoritratto prima della sua tragica morte, infatti la testa di Golia non è altra che la sua testa da offrire al papa nella speranza del suo perdono dalla condanna a morte, egli non fece in tempo a consegnare il quadro in quanto mori nelle spiagge laziali mentre tornava a Roma.
Al 2° piano della villa sorge la Pinacoteca,
al centro della quale c’è una bellissima statua di marmo nero Il Sonno dello scultore Algardi rivale all’epoca del Bernini. Vicino si trova il primo lavoro del Bernini: Giove con la capra Almantea che nutri il dio quando venne confinato in un isola deserta per sfuggire al padre Cronos , che lo avrebbe divorato. Il Bernini è ancora presente in tre autoritratti della giovinezza della maturità e della vecchiaia, posti tra due busti praticamente identici del padrone di casa, il Cardinale Scipione Borghese. Sulla volta è raffigurata l’incoronazione di Giove mente alle pareti, tra splendidi altorilievi di marmo giallo degli Dei greci, si possono ammirare una miriade di capolavori dell’arte. Tra la fuga di Enea da Troia di Federico Barocci, il poeta delle luci, considerato l’ultimo quadro del 1500 e la caccia di Diana. Dove una ragazzina guarda insistentemente chi osserva. Un quadro che guarda lo spettatore! Oltre la galleria si trova la stanza di due capolavori di Tiziano: la Venere che benda Amore e
L’Amore sacro e l’Amor profano.
uno dei più belli e commoventi quadri della storia dell’arte. L’ ho vidi per la prima volta all’età di otto anni in compagnia di mio padre, a quell’età non diedi molto ascolto alle sue parole che con entusiasmo cercava di trasferirmi la sua bellezza.
Lo rividi poi da ragazzo e tutto cambiò, mi innamorai di quel bellissimo volto triste ed assorto, e ancor di più della sua storia. Mi affascinò cosi tanto che dopo anni e dopo gli infiniti cambiamenti dovuti al passaggio delle diverse età della vita, eccomi ancora qui ad ammirare ancora una volta questo volto, ad osservare la sua eterna ed immobile bellezza, lei si senza tempo e a godere della sua infinita dolcezza sempre uguale a se stessa al contrario di me completamente diverso da quel bambino che la vide per la prima volta. In questa immensa opera d’arte è impresso tutto il genio di Tiziano che volle tramandare nel tempo la storia di una bellissima donna. Ma chi era questa bellissima ragazza? Dove viveva? Quale fu la sua storia?
Tutto questo Tiziano ci svela in questa bellissima e commovente opera d’arte. Dove essa viveva ci viene svelato osservando lo sfondo con un cielo sereno con qualche pigra nuvola, un cielo rassicurante nell’ora che precede il crepuscolo, un cielo in cui la tempesta è passata. Sotto il quale appare una guglia, un campanile, un piccolo borgo, tranquillo e sereno che si affaccia verso una insenatura.
A quei tempi Vi era solo una città serena nella sua grandezza, per di più immersa nell’acqua Venezia, anch’essa con una grande guglia tendente al cielo, il campanile di San Marco.
La sensazione di tranquillità sparisce un po’ più a valle, alla vista di due cavalieri, avvolti in un copricapo rosso, seguiti da due levrieri con un collare anch’esso rosso al collo che inseguono un coniglio in fuga.
Ci troviamo nel mezzo di una battuta di caccia e il rosso che domina la scena è il colore del sangue. Ma tutto si placca di nuovo con la rassicurante presenza di un gregge che pascola tranquillo col suo pastorello che non si preoccupa della scena di caccia, addirittura gli volge le spalle, ma non solo; egli è indifferente anche alla scena amorosa che si svolge vicino, sicuramente egli conosce sia i cacciatori che gli amanti, conosce tutti e non se ne cura. Inoltre si trova nel bel mezzo della vita (gli amanti) e la morte (la scena di caccia). Conosciamo solo un pastore con queste caratteristiche. Questa è l’unica concessione che il Tiziano fa al mondo spirituale, a Dio, ma il fato che sia una figura indifferente ci fa capire che è totalmente ininfluente alla storia che si racconta. Poi all’improvviso, a sorpresa, tutto si colora di un rosso vivo, È un drappo di stoffa preziosa, forse orientale, avvolto in un modo capriccioso che incornicia un corpo bellissimo e nobile, come la seta del drappo o la striscia di stoffa bianca poggiata per nascondere allo sguardo la nuda femminilità.
Un ombelico perfetto campeggia su un ventre in leggera torsione che il braccio destro sorregge con la mano poggiata su una base di marmo perfettamente levigato. In lontananza le montagne riverberano una luce brillante su una valle nascosta da una foresta in penombra, la nudità del corpo della donna è incorniciato dalla nudità perfetta della natura e su tutto domina la luce che fa esplodere il colore del cielo, riflessi che si specchiano in un vassoio pregiato d’oro e argento nudo anch’esso in quanto vuoto, dietro il quale vi è un'altra lastra di marmo.
Quanta materia c’è in questo quadro, materia inorganica come l’oro, la seta, il marmo ed organica come la clorofilla degli alberi, e la pelle morbida dei corpi.
Al centro del quadro appare un bimbo anch’esso nudo e come tutti in questo quadro indifferente a ciò che lo circonda ma assorto nel suo gioco, come già gli amanti, il pastore e i cacciatori. Il suo interesse è solo nel giocare con l’acqua nel scuoterla muoverla, da ciò si capisce che le lastre di marmo sono i bordi di una vasca. Il bambino è alato, quindi esso è un ambasciatore d’amore, è l’amore che agita l’acqua, acqua che è essenza di vita, quindi è l’amore che da forma alla vita.
Spostando ancora lo sguardo appare una mano racchiusa da un guanto, e ancora più in la una candida veste ci porta al cospetto di una donna completamente vestita che ha fatto dei suoi vestiti un dovere, una necessità, Essa lega la sua nudità alla sfera dell’intimo, proteggendola con le sue candide vesti e tutti gli accessori femminili che la rendono una qualità preziosa da preservare, eccola quindi cinta da lacci merletti e diademi . Ciò nonostante, essa stringe in mano un rametto di fiori nostalgia della natura spontanea selvatica, nuda. Ma sarà nostalgia o aspettativa? Sarà il desiderio di tornare o lasciarsi andare, concedersi ora alla spontaneità dell’amore? un tessuto rosso che avvolge il suo braccio è una macchia di passione in un mare di candore. Essa incomincia a lasciarsi trasportare dalla passione.
Un po’ più in la, due conigli, simbolo universale di fertilità, con la loro presenza, lo confermano. Essi ci rivelano che questa ragazza è una sposa promessa, e quelle sono vesti messe li per poi esser tolte come una gabbia da cui una volta aperta si invola l’amore, esse servono a trasformare l’amore profano … nell’ amore sacro. Il puttino sicuramente, nonostante la sua indifferenza, è in missione, soffia le nuvole dal cielo, e lui che dona verità all’essere ed energia alle acque immobili della vasca, trasformandole in portatrici di vita. La donna è stata immortalata nel momento più importante, nel momento in cui medita sulla risposta da dare al suo sposo. Dalla sua risposta dipende il futuro di entrambi. Quale donna in ogni tempo non è stata e non sarà immersa in questa magica situazione; quale donna non ha avuto o avrà lo stesso dilemma? Dilemma dal quale dipende non solo il futuro suo e del suo amante, ma il futuro dell’umanità, La risposta dalla quale dipende l’esistenza delle generazioni future! Responsabilità data in dono ad ogni donna in ogni tempo. Ma la storia continua e sulla parte sinistra un cavaliere sul suo cavallo bianco a fretta di arrivare, porta sicuramente un messaggio, si avvicina al borgo con una grande torre, torre imponente, di difesa,
È un borgo poco illuminato da una luce che arriva dal basso, quasi ad indicare che diversamente da quello visto in precedenza, solare e luminoso, questo ha conosciuto la disgrazia, il dolore.
Qui il sole deve ancora sorgere, mentre sull’altro stava dolcemente tramontando. C’è un senso di sventura di dolore nei suoi abitanti mesti, tristi, immobili, sicuramente hanno conosciuto la sofferenza dell’invasione nemica, ma essi non sono spaventati alla vista dello straniero, elegantemente vestito che avanza.
Egli è diverso dai due cacciatori. Questo triste borgo ci dà un profondo senso di sventura, di dolore, accentuato se possibile dalla posa della donna elegantemente vestita. La risposta a tutto questo affanno ci appare al centro del quadro stesso, nel basso rilievo, dove la violenza, solo accennata nei cacciatori esplode.
Qui si scorge la scena di un sequestro quando un braccio disarciona un amazzone mentre il suo cavallo fugge via. Questo è il quarto cavallo che troviamo nella storia, anch’esso bianco come quello dell’elegante cavaliere e in un certo qual modo mette in relazione i due episodi. Una pianta nasconde un pezzo del racconto, un racconto del passato, altrimenti non sarebbe descritto in un bassorilievo romano che ci svela che la vasca in cui il puttino gioca con l’acqua è un antico sarcofago che come tutti i sarcofagi è simbolo di morte. In esso da una bocca fuoriesce dell’acqua, che pur non è reintegrata da nessun altra fonte. Ciononostante il livello della vasca rimane invariato e il puttino può continuare a giocare. L’acqua si autogenera come la vita che rappresenta che si tramanda grazie solo a se stessa. Ma la violenza deve ancora raggiungere il suo apice, un uomo viene percosso a morte mentre una donna è costretta a guardare. Ecco svelato il dramma: Pietruccio Bagarotto è l’uomo e la donna è Laura sua figlia. Costretta ad assistere all’agonia del Padre. Ecco scoperta l’identità della bellissima protagonista. Essa è Laura Bagarotto Nobildonna della città di Padova, il cui padre fu giustiziato da un tribunale veneziano! Ma il dramma non finisce qui, accanto al carnefice, all’uomo che uccise suo padre, è raffigurato uno stemma: lo stemma della famiglia di Nicolò Aurelio, L’uomo che dovrà scegliere come marito. Solo ora possiamo comprendere l’infinita tristezza di questo volto rivolto verso il dolore e la sofferenza della sua anima. In questo quadro dove nessuno si occupa degli altri lei non fa eccezione, il suo sguardo non vede non tradisce emozioni, anzi, è oltre le emozioni, e completamente rivolto al suo infinito dolore, in bilico tra odio e amore per quell’uomo che dovrà essere il suo compagno nella vita. Ma Tiziano con questo dipinto ci svela che l’arte non emette sentenze ne ripara ingiustizie, ma il suo compito è quello di lenire le ferite dell’esistere e costringere tutti ad ascoltare la voce dell’anima che impotente alle tragedie del passato si oppone a quelle del futuro. Immersa nel suo dolore Laura non si avvede della dea nuda al suo fianco che la guarda con infinita dolcezza. Essa la chiama quasi l’accarezza piena di amore sincero. Essa la esorta, la supplica, affinchè non faccia del dolore la sua tomba, ma la esorta a rinascere a lasciare il dolore alle spalle. Qui appare tutto il genio dell’artista in quanto nei lineamenti delle due donne si riconosce lo stesso identico volto di prospetto e di profilo. Quindi la stessa donna, l’una protegge gelosamente un urna preziosa contenente qualcosa di fisico, l’altra col braccio innalza verso il cielo una lucerna poco preziosa contenente solo del fuoco; il percorso è tutto qui; solo Laura può scegliere se abbandonare le esperienze dolorose e materiali del passato e cominciare una nuova vita priva dell’odio a cui il passato la incatena. Decidere di trascorrere il resto della vita col solo bagaglio di una lampada e una fiamma che illumina il suo camino, la sua scelta è tutta li. Una scelta che tutti noi che ammiriamo quest’opera, siamo chiamati dall’artista a compiere. Scegliere tra la pesantezza dell’avere e la leggerezza dell’essere. Una vita di avidità, rimpianti e rancori da cui liberarsi, per andare verso le passioni, purificate dal male della vita. Mai questo invito al perdono, al trascendere dalle passioni del vivere è stato espresso con tanta intensità e poesia come in questo quadro. Si saprà poi che Laura visse a lungo insieme al marito Nicolò. Ma se Laura abbia deciso poi di abitare l’altra sua casa, quello splendido corpo seminudo o sia rimasta incastrata nei panni, nei guanti in cui l’abbiamo trovata, non lo sapremo mai. Di sicuro la scelta tra due mondi femminili cosi distanti è un fardello che ogni donna porta ancora oggi nascosto nel suo animo. Ma quanti di noi sia uomini che donne ci siamo posti lo stesso quesito almeno una volta nella vita? Chi di noi non ha mai avuto il desiderio di cambiare e per tante ragioni, sia per paura o per responsabilità non è riuscito a compiere. una scelta tanto coraggiosa che solo questa donna ebbe il coraggio di fare tanto tempo fa.