TRA LEGGE E SPETTACOLO: il processo nell’antica Roma
pubblicato il 27 novembre 2024 da Diana De Luise
I Romani conquistarono il mondo con il loro poderoso esercito ma lo governarono attraverso il diritto, un’eredità che ha condizionato i sistemi giuridici occidentali ed è tuttora evidente in alcuni principi-base (come la presunzione d’innocenza e l’imparzialità del giudice), nella definizione di alcuni istituti (si pensi al diritto successorio), in formule latine ancora in uso nei tribunali, (ne bis in idem, excusatio non petita, accusatio manifesta), e nella struttura del processo.
Sedi e spazi
Il processo nell’Antica Roma era un evento pubblico, si svolgeva all’aperto nel Foro o, in caso di maltempo, al riparo nelle Basiliche. La cittadinanza accorreva per seguirne le fasi, con curiosità e attenzione crescenti a seconda del calibro dei contendenti e degli avvocati che ne peroravano le ragioni, senza risparmiare colpi bassi, trovate ad effetto e artifici retorici. In sede processuale, infatti, non si esitava a rendere pubbliche anche dicerie e pettegolezzi contro l’accusato, pur di sminuirne la figura e la moralità (circostanze utili soprattutto se ci voleva sbarazzare, tramite il processo, di avversari politici).
pubblicato il 27 novembre 2024 da Diana De Luise
I Romani conquistarono il mondo con il loro poderoso esercito ma lo governarono attraverso il diritto, un’eredità che ha condizionato i sistemi giuridici occidentali ed è tuttora evidente in alcuni principi-base (come la presunzione d’innocenza e l’imparzialità del giudice), nella definizione di alcuni istituti (si pensi al diritto successorio), in formule latine ancora in uso nei tribunali, (ne bis in idem, excusatio non petita, accusatio manifesta), e nella struttura del processo.
Sedi e spazi
Il processo nell’Antica Roma era un evento pubblico, si svolgeva all’aperto nel Foro o, in caso di maltempo, al riparo nelle Basiliche. La cittadinanza accorreva per seguirne le fasi, con curiosità e attenzione crescenti a seconda del calibro dei contendenti e degli avvocati che ne peroravano le ragioni, senza risparmiare colpi bassi, trovate ad effetto e artifici retorici. In sede processuale, infatti, non si esitava a rendere pubbliche anche dicerie e pettegolezzi contro l’accusato, pur di sminuirne la figura e la moralità (circostanze utili soprattutto se ci voleva sbarazzare, tramite il processo, di avversari politici).
Struttura e procedura
A differenza di quanto accade oggi, a Roma non esisteva un ufficio del pubblico ministero incaricato di sostenere l’accusa: ciascun cittadino che ritenesse di aver subito un torto, poteva rivolgersi al Pretore – che normalmente rivestiva il ruolo di giudice – e sostenere le sue ragioni, supportate da prove e testimonianze raccolte a proprie spese, attraverso la postulatio. L’accusatore diventava così un “attore” mentre la controparte assumeva il nome di “convenuto” (termine usati ancora oggi nella medesima accezione).
Dopo una prima valutazione dei fatti, attraverso l’interrogatio, un primo interrogatorio dell’accusato, il pretore decideva se andare avanti o meno con il processo: in caso negativo, il convenuto poteva controquerelare l’attore per calunnia, in caso positivo si apriva la fase che oggi potremmo definire dibattimentale in cui l’accusa – di norma fino a 2 ore di tempo senza poter essere interrotta – preventivava l’elenco dei reati contestati alla controparte che ha sua volta esponeva invece gli argomenti a sua difesa. Dopo l’altercatio, con l’alternarsi di domande e risposte tra le parti, vi era la fase della probatio, in cui si presentavano prove e testimoni. Esaurito il procedimento, arrivava la sentenza: il pretore e i giudici che lo assistevano esprimevano il loro giudizio: A-absolvo o C-condamno. Le pene erano fissate dalle legge e, a seconda della gravità del reato attribuito, andavano dalla semplice multa fino alla pena capitale.
Di norma la sentenza era definitiva: in alcuni casi, ci si poteva appellare – attraverso la provocatio ad popolum – alle assemblee popolari: i comizi centuriati decidevano allora se confermare o meno la condanna dei giudici.