Marco Gavio Apicio e la cucina Romana


Marco Gavio Apicio  
è stato un gastronomo, cuoco e scrittore romano vissuto a cavallo fra il I secolo a.C. e il I secolo d.C.. 

Dalle testimonianze di Cassio Dione (LVII, 19, 5), della Historia Augusta (II, 5, 9), dallo scolio a Giovenale (IV, 23), da Seneca (Dialog. XII, 10, 8) e da Tacito (Ann. IV,1) possiamo fissare la data di nascita di Apicio  intorno al 25 a. C.

Descritto come amante dello sfarzo e del lusso dalle fonti, egli costituisce la nostra principale fonte sulla cucina romana.  

Non sappiamo nulla sulla famiglia di Apicio

Il nome di Apicio è da sempre legato alla gastronomia, alle buone pietanze, alle cene succulente. 

Conosciamo tre  personaggi con questo nome: un Apicio vissuto molti anni prima di Cristo che inveisce contro la legge Fannia proposta da Rutilio Rufo per limitare l’eccessivo lusso dei banchetti romani; un Marco Gavio, soprannominato Apicio dal nome del famoso ghiottone che visse nel secolo precedente, operante sotto Tiberio; un Apicio vissuto sotto Traiano specializzato nella conservazione delle ostriche. Al secondo di costoro si deve la raccolta di ricette gastronomiche che costituisce il nucleo preponderante del De re coquinaria.

Apicio dunque non è un cognomen trasmesso tramite rapporti familiari, ma un soprannome che si dava a certi personaggi per il loro amore per lo sfarzo. 

Non esiste un vero e proprio corpo biografico del personaggio, e più che altro ci sono stati trasmessi vari aneddoti sconnessi gli uni dagli altri. Quello temporalmente più antico pare essere quello tramandatoci da Marziale, secondo il quale Apicio avrebbe cenato a casa di Mecenate.

Forte sembra essere stato il suo rapporto con la famiglia imperiale, specialmente con Tiberio. Sembra infatti che Apicio e Druso minore, figlio dell'imperatore, fossero in buoni rapporti o che almeno si conoscessero. Infatti Plinio il Vecchio ci dice che una volta il gastronomo convinse Druso a non mangiare delle cymae (semi o cime di cavolo) in quanto cibo popolare.

Inoltre sembra che una volta Tiberio, vedendo una grossa triglia in un mercato, scommise che l'avrebbero comprata Apicio o Publio Ottavio; i due iniziarono allora a contendersi il pesce finché Ottavio se lo aggiudicò.

-

Molto ricco, passò alla storia per le sue stravaganze culinarie: manicaretti a base di talloni di cammello, intingoli di creste tagliate a volatili vivi, triglie fatte morire nel garum della migliore qualità, oche ingrassate nei fichi secchi e ingozzate con mulsum, lingue di usignoli, di pavoni e di fenicotteri, “pasticcio di lingue di pappagalli parlatori” 


Le sue ricerche culinarie non dovettero essere in realtà così stravaganti, ma è sicuro che molti dolci e soprattutto salse presero il suo nome. Non bisogna dubitare del fatto che Apicio abbia realmente composto un’opera di cucina, anche se sembra piuttosto che egli ne abbia composte due: una spesso citata, unicamente sulle salse; un’altra su piatti completi.

Morte
Anche la morte di Apicio ci è stata tramandata come un aneddoto a sé stante, con delle dinamiche quasi satiriche. Infatti pare che egli morì suicida quando s'accorse che il suo patrimonio, ridotto a soli dieci milioni di sesterzi, non gli avrebbe più consentito il tenore di vita a cui era stato abituato.



Apicio e le sue ricette
Apicio, noto come primo cuoco nella storia, leggendario buongustaio a cui si attribuisce il De Re Coquinaria, in cui vengono tramandate numerose ricette degli antichi romani. Il libro non sembra essere altro che un collage di mani ed autori, che tuttavia ci riporta un prezioso estratto di alcune fantasie culinarie romane.

Virgilio racconta che la prima comunità discendente dai troiani aveva una dieta povera in cui non compariva o quasi la carne. Allo stesso modo, durante le prime espansioni sulla penisola italiana, il regime alimentare era principalmente basato su legumi, verdura e latticini. Fu con la progressiva conquista della Magna Grecia che a Roma si cominciò a produrre olio, vino e a sviluppare centri urbani molto grandi, con conseguenti limitate le possibilità di coltivazioni. Fu così che aumentò vertiginosamente il consumo di carni, specialmente di maiale.

Successivamente all’epoca augustea si colloca il trionfo dell’ars culinaria, in cui si rese celebre Marco Gavio Apicio protagonista di numerosi aneddoti. Si narra che Apicio nutrisse le anguille con i corpi degli schiavi, o che si sia suicidato dopo aver dilapidato tutto il suo patrimonio in folli banchetti. Le portate che presentava agli ospiti erano quanto di più eclatante potesse trovare: pappagallo o fenicottero arrosto, creste di volatili vivi, calli di cammello, utero di scrofa, ghiri ripieni o ancora cervo cotto in acqua, latte e olio (in tre stadi differenti).


De re coquinaria di Marco Gavio Apicio
Nel III o forse IV sec. dell'era volgare fu compilata una raccolta di ricette a nome di Apicio, il De re coquinaria (L'arte culinaria), in dieci libri, forse un rimaneggiamento di un antico ricettario di Marco Gavio. Altra ipotesi è che l'autore di tale opera sia stato un certo Celio (il cui nome compare in alcuni codici dopo quello di Apicio), ma probabilmente il nome Celio appare un inserimento congetturale di epoca umanistica. Si tratta di appunti frettolosi e disordinati che costituiscono, tuttavia, la principale fonte superstite sulla cucina nell'antica Roma.

Il De re coquinaria è un testo molto complesso e costituito da più sezioni non omogenee tra loro, perché probabilmente composte in più secoli (dal I a.C. al IV d.C.). L’opera  è costituita da   ricette di salse e di piatti completi. 

La raccolta composita che noi abbiamo si può datare in base alla lingua intorno al 385 d.C.: epoca in cui un compilatore non molto preparato in materia, tanto da confondere i fondi dei cardi con le ostriche, ma abbastanza esperto in medicina, deve avere assemblato varie ricette di Apicio e di altri autori. Il suo latino era povero dal punto di vista letterario, ma  adatto al linguaggio dei cuochi dell’epoca. Si trattava di un’opera di uso corrente, alla quale si aggiungevano in margine varianti e nuove ricette, dando così vita poco a poco, edizione dopo edizione al corpus di cui disponiamo.

Libro primo
Il primo libro contiene suggerimenti vari , dal come preparare un vino speciale , al come rendere chiaro il vino nero , come conservare a lungo certa frutta aromatico e certe verdure , come conservare a lungo la carne , come riconoscere il miele cattivo , come conservare le olive verdi in modo da poterne sempre ricavare l’ olio e come preparare le salse adatte a tartufi , ostriche , ecc…

Libro secondo
Il secondo libro , o Sarcoptes , è dedicato all’ impiego di carni tritate . E’ da sottolineare , finalmente , l’ uso di alimenti poveri ed erbe aromatiche . Le ricette sono perlopiù di facile esecuzione .

Libro terzo
Il libro terzo , o Cepuros , è dedicato agli ortaggi . Verdure , frutta , formaggio , legumi e farinacei erano la base dell’ alimentazione dei romani. Apicio spiega con cura come conservarli al meglio e li considera quasi una ghiottoneria e soprattutto un cibo sano , buono , quasi benefico . Lo ritiene un saporito medicinale e non solo un contorno .

Libro quarto
Apicio contraddistingue il quarto libro con il nome di Pandette che è un nome di origine greca , che significa “ contenitore di ogni cosa “ ed è proprio questo il significato che aveva in mente l’ autore , vista la varietà degli alimenti qui trattati . Ricette per salse , torte , piatti di verdure , antipasti , piatti con frutta cotta  e formaggi .

Libro quinto
Libro quinto o dei legumi : grande sagra dei legumi e delle varie farine che se ne ricavano . Piselli e lenticchie molto spesso servono per fare una farcia da inserire in una sorta di pasta dura che viene chiamata conchiglia .

Libro sesto
Nel libro sesto si parla di come cucinare cacciagione da piuma e animali da cortile.Appaiono in questo capitolo struzzi, gru, fenicotteri, pavoni e pappagalli con le indicazioni per preparare salse particolarmente adatte alle loro carni.

Libro settimo
Il libro settimo viene pomposamente chiamato delle “ Vivande prelibate “ C’è un poco di tutto e serve a farci comprendere cosa ghiottoni dell’ epoca giudicavano squisito. Vagine sterili , calli di dromedario , cotenne , piedini di maiale e di cinghiale , fegato d’ oca , poppa di scrofa , lombi , rognoni , prosciutti.

Libro ottavo
Il libro ottavo è dedicato a quei quadrupedi di cui si mangiavano normalmente le carni. Apicio inizia questo capitolo con cinghiale e continua con cervo , camoscio , capretto , agnello , lattonzolo , maiale , lepre.

Libro nono e decimo
Capitolo nono il mare , capitolo decimo il pescatore. Sono interamente dedicati al pesce , ai molluschi e ai crostacei , ma più che della preparazione vera e propria di queste carni Apicio si preoccupa di consigliare le salse più adatte. Solo raramente le carni di pesce nelle sue ricette hanno il sopravvento sulle spezie.




L'importanza del condimento
I commensali di Roma antica disponevano di numerosi prodotti provenienti da ogni parte dell'impero. Le classi più elevate potevano così organizzare sontuosi banchetti con cui intrattenere e spesso stupire i propri ospiti. Il ricco apparato di piatti, sia semplici sia elaborati, prevedeva carne, pesce e verdura generosamente condite da salse dolci e salate.
A dispetto delle tecniche di preparazione del cibo, sono i condimenti i veri protagonisti della cucina romana: la salsa base di pesce (garum o liquamen), il mosto cotto e rappreso (defrutum), il miele, verdure, spezie, venivano usate in abbondanza come condimenti, sia singolarmente che mescolate tra loro, generando un'infinità di gusti diversi (molti dei quali disgustosi al palato del commensale moderno).
I vari frammenti di Apicio testimoniano l'importanza del condimento: in particolare del garum, utilizzato ovunque come ai giorni nostri viene impiegato il comune sale da cucina; nei diversi appunti del cuoco le ricette che prevedono questa salsa sono ben venti. 
Di fatto, la composizione e la modalità di preparazione del garum appaiono tuttora di natura incerta: questo è dovuto probabilmente al fatto che, essendo così popolare, nessun cuoco aveva la necessità di scriverne la ricetta. Si crede che potrebbe somigliare alla colatura d'alici di Cetara (per saperne di più CLICCA QUI)