Le Vestali |
“Ego te amata capio” cioè: Io prendo te mia amata, con queste parole il Pontefice Massimo consacrava le Vestali, sacerdotesse della dea Vesta. Da questo momento esse servivano nel tempio la dea per almeno trent’anni impegnandosi a non venir meno al voto di castità fatto, pena essere murate vive in una stanza sotterranea al Campus Sceleratus. Ma dove si trova il Campus Sceleratus?
All’interno del Foro Romano si conservano i resti di un tempio circolare, tra i più antichi e importanti di Roma, dove le sacerdotesse di Vesta erano chiamate a custodire il sacro fuoco d ella città. Scelte ancora bambine (dai sei ai dieci anni) tra le famiglie più facoltose della città, avevano solo due obblighi, tenere il fuoco sacro acceso giorno e notte e mantenere la verginità per oltre trenta anni.
Un destino crudele e al contempo esaltante, seppur mortificate nella loro femminilità, godevano di una posizione privilegiata nella società, che le rendeva le donne più potenti ed influenti dell'Impero. Non erano sottoposte alla potestà paterna, potevano amministrare le loro ricchezze e lasciare testamento, avevano il permesso di circolare sui carri anche durante il giorno, godevano l’onore di immolare gli animali condotti al sacrificio, beneficiavano del potere di cancellare la pena di morte a un condannato qualora lo avessero incontrato lungo il loro cammino, sedevano accanto ai senatori durante processi, sedute politiche e agli spettacoli pubblici (mentre le altre donne erano relegate ai posti situati più in alto).
Accanto a tutti questi privilegi però avevano anche tanti oneri, responsabili del fuoco sacro non potevano permettere che questo si spegnesse, punite severamente dovevano sottoporsi a un lungo cerimoniale di purificazione prima di poterlo riaccendere. Condannate a morte se sorprese a violare il loro voto di castità , nessuno però poteva toccarle, né tanto meno ucciderle, per ovviare a questo venne escogitata una soluzione assolutamente crudele, la sepoltura da vive. Venivano sepolte in una buca con solo un pezzo di pane e una candela a cui il loro destino era inesorabilmente legato.
Parlare di Roma ignorando le sue donne e gli storici personaggi che hanno contribuito a renderla grande ed eterna, è una grossa lacuna che l’associazione culturale Roma e Lazio x te ha deciso di colmare realizzando un ciclo di visite guidate intitolato “Le donne di Roma”, donne che hanno contribuito, ognuna a suo modo, a rendere grande questa città nel corso dei secoli. Il programma di queste e altre visite da noi programmate è consultabile sul sito di Rome4u § Roma e Lazio x te
Parlare di Roma ignorando le sue donne e gli storici personaggi che hanno contribuito a renderla grande ed eterna, è una grossa lacuna che l’associazione culturale Roma e Lazio x te ha deciso di colmare realizzando un ciclo di visite guidate intitolato “Le donne di Roma”, donne che hanno contribuito, ognuna a suo modo, a rendere grande questa città nel corso dei secoli. Il programma di queste e altre visite da noi programmate è consultabile sul sito di Rome4u § Roma e Lazio x te
Articolo curato da Daniela Rossi e Valeria Scuderi dell'associazione culturale Rome4u § Roma e Lazio x te
e pubblicato da RomeToday il 25 maggio 2015
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Templum Vestae
Quell' avanzo
rotondo di opera a sacco, circondato alla base da alcuni filari di blocchi
di tufo, è la sostruzione del celeberrimo tempio di Vesta.
Vesta,
la dea del focolare domestico, fra le divinità della Roma arcaica è una
delle più caratteristiche. Ma mentre il culto domestico dell' età
posteriore, specialmente dell' impero, sparì al confronto di quello dei
penati, il culto invece del focolare pubblico, sacro alla Vesta publica
populi Romani Quiritium, si mantenne sino agli ulti tempi dell' impero
occidentale e sopravvisse finanche alle prime vittorie del cristianesimo.
Nell' interno del tempio, che non conteneva alcun simulacro, le vestali
custodivano il fuoco sacro, il quale ogni primo di marzo, primo giorno
dell' anno romano antichissimo (detto anno di Numa)
veniva riacceso con particolari cerimonie. Oltre all' altare, si
trovava nel tempio il penus Vestae, luogo chiuso con tappeti (forse una
nicchia nella parete), ove erano conservati alcuni simboli misteriosi che
stimavansi pegni della potenza romana: fra essi viene specialmente menzionato
il Palladio che Enea, come si credeva, aveva salvato dalle fiamme di Troia.
L' ingresso
al tempio era severamente proibito a tutti gli uomini, ad eccezione del
Pontefice Massimo: anche le donne non potevano entrarvi che durante la festa
delle Vestalia (7‑15 giugno). Il tempio fu distrutto parecchie volte da
incendi, p. es. nel 241 e 210 av. Cr.; poichè allora
la costruzione dell' edifizio, che imitava l' antica casa rustica
italiana con pareti di vimini e tetto di paglia, forniva abbondante
materiale alle fiamme. Ma anche nell' età imperiale, il tempio,
costruito tutto di pietra e di metallo, più volte rimase
gradementeº danneggiato, p. es. nel terribile incendio sotto Commodo
(191 d. Cr.). Settimio Severo e Giulia Domna lo restaurarono
e i pezzi di architettura venuti alla luce negli ultimi scavi per la
maggior parte appartengono appunto a quel restauro. Nel 394
l' imperatore Teodosio fece chiudere il tempio; nell' ottavo
e nono secolo l' edifizio deve esser caduto in rovina, perchè molti
de' suoi pezzi furono trovati in un muro medioevale tra il lacus
Juturnae e il tempio dei
Castori. Al tempo del rinascimento nulla più si sapeva sul vero
sito del tempio; quindi il nome "tempio di Vesta" fu attribuito
o alla chiesa di S. Teodoro sotto il Palatino, oppure, con assai
minore esattezza, al piccolo tempio rotondo presso il Ponte Rotto. Soltanto agli
scavi recenti del 1872, 1882 e 1901 si deve la notizia precisa del
luogo e della costruzione del santuario.
e pubblicato da RomeToday il 25 maggio 2015
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Templum Vestae
Quell' avanzo
rotondo di opera a sacco, circondato alla base da alcuni filari di blocchi
di tufo, è la sostruzione del celeberrimo tempio di Vesta.
Vesta,
la dea del focolare domestico, fra le divinità della Roma arcaica è una
delle più caratteristiche. Ma mentre il culto domestico dell' età
posteriore, specialmente dell' impero, sparì al confronto di quello dei
penati, il culto invece del focolare pubblico, sacro alla Vesta publica
populi Romani Quiritium, si mantenne sino agli ulti tempi dell' impero
occidentale e sopravvisse finanche alle prime vittorie del cristianesimo.
Nell' interno del tempio, che non conteneva alcun simulacro, le vestali
custodivano il fuoco sacro, il quale ogni primo di marzo, primo giorno
dell' anno romano antichissimo (detto anno di Numa)
veniva riacceso con particolari cerimonie. Oltre all' altare, si
trovava nel tempio il penus Vestae, luogo chiuso con tappeti (forse una
nicchia nella parete), ove erano conservati alcuni simboli misteriosi che
stimavansi pegni della potenza romana: fra essi viene specialmente menzionato
il Palladio che Enea, come si credeva, aveva salvato dalle fiamme di Troia.
L' ingresso
al tempio era severamente proibito a tutti gli uomini, ad eccezione del
Pontefice Massimo: anche le donne non potevano entrarvi che durante la festa
delle Vestalia (7‑15 giugno). Il tempio fu distrutto parecchie volte da
incendi, p. es. nel 241 e 210 av. Cr.; poichè allora
la costruzione dell' edifizio, che imitava l' antica casa rustica
italiana con pareti di vimini e tetto di paglia, forniva abbondante
materiale alle fiamme. Ma anche nell' età imperiale, il tempio,
costruito tutto di pietra e di metallo, più volte rimase
gradementeº danneggiato, p. es. nel terribile incendio sotto Commodo
(191 d. Cr.). Settimio Severo e Giulia Domna lo restaurarono
e i pezzi di architettura venuti alla luce negli ultimi scavi per la
maggior parte appartengono appunto a quel restauro. Nel 394
l' imperatore Teodosio fece chiudere il tempio; nell' ottavo
e nono secolo l' edifizio deve esser caduto in rovina, perchè molti
de' suoi pezzi furono trovati in un muro medioevale tra il lacus
Juturnae e il tempio dei
Castori. Al tempo del rinascimento nulla più si sapeva sul vero
sito del tempio; quindi il nome "tempio di Vesta" fu attribuito
o alla chiesa di S. Teodoro sotto il Palatino, oppure, con assai
minore esattezza, al piccolo tempio rotondo presso il Ponte Rotto. Soltanto agli
scavi recenti del 1872, 1882 e 1901 si deve la notizia precisa del
luogo e della costruzione del santuario.
Fig. 85. Rilievo rappresentante il tempio di Vesta.
(Galleria degli Uffizi, Firenze).
(Galleria degli Uffizi, Firenze).
L' ingresso al
tempio era severamente proibito a tutti gli uomini, ad eccezione del
Pontefice Massimo: anche le donne non potevano entrarvi che durante la festa
delle Vestalia (7‑15 giugno). Il tempio fu distrutto parecchie volte da
incendi, p. es. nel 241 e 210 av. Cr.; poichè allora
la costruzione dell' edifizio, che imitava l' antica casa rustica
italiana con pareti di vimini e tetto di paglia, forniva abbondante materiale
alle fiamme. Ma anche nell' età imperiale, il p164tempio, costruito tutto di pietra
e di metallo, più volte rimase gradementeº danneggiato, p. es. nel terribile
incendio sotto Commodo (191 d. Cr.). Settimio Severo e Giulia
Domna lo restaurarono e i pezzi di architettura venuti alla luce
negli ultimi scavi per la maggior parte appartengono appunto a quel
restauro. Nel 394 l' imperatore Teodosio fece chiudere il tempio;
nell' ottavo e nono secolo l' edifizio deve esser caduto in
rovina, perchè molti de' suoi pezzi furono trovati in un muro medioevale
tra il lacus Juturnae e il tempio dei Castori. Al tempo del rinascimento nulla più si
sapeva sul vero sito del tempio; quindi il nome "tempio di Vesta" fu
attribuito o alla chiesa di S. Teodoro sotto il Palatino, oppure,
con assai minore esattezza, al piccolo
tempio rotondo presso il Ponte Rotto. Soltanto agli scavi recenti del 1872,
1882 e 1901 si deve la notizia precisa del luogo e della costruzione
del santuario.
Fig. 86. Monete di Augusto e di Giulia Domna.
Il tempio si ergeva
sopra una sostruzione rotonda ornata di pilastri; il diametro era di m. 4.
La porta d' ingresso guardava verso oriente; alcuni gradini, le cui
fondamenta veggonsi tuttora sul posta, conducevano al portico circondante la
cella. Questo portico era assai angusto e serviva soltanto di ornamento;
gl' intercolumni erano chiusi da cancelli di bronzo, come si vede dalle monete
e dai rilievi antichi. In molti pezzi dei fusti delle colonne si scorgono
ancora i buchi che sostenevano le aste dei cancelli. Gl' intercolumni
dinnanzi la porta della cella erano chiusi mediante porte di legno, le cui
impostep165stavano
fisse sopra sporgenze di marmo tuttora visibili in alcuni dei fusti.
Il cornicione del
tempio era decorato con rilievi rappresentanti istrumenti di sacrifizio ed
insegne sacerdotali; il cornicione, i lacunari del portico e il
fregio interno della cella, erano di un sol pezzo di marmo lungo quasi tre
metri. In tal maniera le colonne del portico e il muro della cella uniti
insieme, formavano un appoggio sufficiente per la cupola abbastanza larga (v. fig. 88).
Generalmente si p166vuole che la
cupola nel mezzo avesse un occhio rotondo: ma le rappresentanze che ci danno le
monete, fanno più presto credere che quest' occhio fosse sormontato da una
specie di camino di bronzo, forse in forma di un gran fiore, il quale
proteggeva l' interno dalle intemperie.
Dal lato posteriore
(b,
fig. 93: vicino a b presso w sta l' ingresso alla cucina della
casa delle Vestali) si può penetrare nell' interno delle fondamenta. Quivi
gli scavi p167recenti hanno
portato in luce nel centro un pozzo trapezoidale, al quale si è voluto
dare il nome di favissa (ripostiglio
per arredi sacri e votivi fuori d' uso): la situazione di questo
pozzo dimostra che il sacro focolare p168non stava
esattamente nel centro della cella. Il pozzo serviva forse per riporvi
provvisoriamente le ceneri del fuoco sacro che poi, insieme con l' altra
spazzatura del santuario, una volta all' anno (il 15 giugno,
ultimo giorno delle Vestalia), venivano portate in un apposito luogo presso il Clivo
Capitolino, e quindi gettate nel Tevere.
Fig. 87. Pianta del tempio di Vesta.
E poichè nel
tempio non esisteva un simulacro della dea, così durante l' impero fu
edificata lì accanto un' edicola per una statua, sorretta da due colonne
(il fusto di travertino a sinistra è moderno, come anche il pilastro
laterizio a destra). Secondo l' iscrizione dell' architrave,
l' edifizio fu restaurato nel principio del secondo secolo d. Cr. dal
Senato e dal popolo, col pubblico denaro. Accanto ad esso, pochi gradini
di travertino danno accesso alla casa delle Vestali.
Vedi: Varro pr. Gellio XIV, 7, 7; Livius epit. 19; Horatius
sat. I, 9, 8; Dionys. II, 66; Ovid. fast. VI, 265; 437‑454; trist. III.I.27; Tacitus ann. XV, 41; Plinius n. h. VII, 141; Plutarch. Numa 11; Herodian. I.14.1; Cassius Dio LXXII, 24; Orosius IV, 11; Notitia reg. VIII.
Jordan I, 2,
293; 421‑423; Auer, Denkschriften
der Wiener Akademie 1888,
II, 209‑228; Lanciani 225‑228; Boni Noti d. scavi 1900, 159‑191, Atti
del Congresso storico 525‑530; Huelsen, R. M. 1902, 86‑90; Vaglieri 55‑69. Le
monete: Dressel Zeitschrift
für Numismatik 1899, 20‑31.
Fig. 88. Costruzione del tempio di Vesta.
|
Atrium Vestae (la casa delle Vestali)
La
casa delle Vestali, spaziosa e magnifica, ma chiusa a guisa di un
chiostro, trae il nome di Atrium Vestae dalla sua parte più
importante; vogliam dire, il gran cortile cinto di colonne. La casa venne quasi
per intero scoperta nel 1883‑1884, mentre l' ala occidentale tornò
alla luce nel 1901, dopo la demolizione della chiesa di S. Maria
Liberatrice.
Fig. 90. Veduta dell' Atrium Vestae.
|
Il
collegio delle Vestali dapprima si compose di sei e più tardi di sette
sacerdotesse, fra le quali dovevano esservi sempre alcune bambine, atteso che
l' età per l' ammissione era circoscritta tra il sesto
e decimo anno. Venivano scelte dal Pontefice Massimo, col consenso dei
parenti, ed avevano l' obbligo, almeno per trent' anni, di rimanere
severamente rinchiuse nell' Atrio di Vesta. Fra i vari doveri che
a loro spettavano, eravi pur quello di attingere l' acqua santa dalla
fonte delle Camene fuori la porta Capena (sulla via Appia, presso S. Sisto
Vecchio), nonchè di assistere a molti sacrifici, talvolta congiunti con
cerimonie assai complicate. La Vestale che veniva meno a' suoi doveri era
severamente punita; così, per esempio, ove avesse lasciato spegnere il fuoco
sacro, il Pontefice Massimo la castigava battendola a colpi di verga; se
poi avesse mancato al voto di castità, la si seppelliva viva nel Campo
Scellerato, che trovavasi nelle vicinanze della porta Collina (luogo
corrispondente all' angolo settentrionale del Ministero delle Finanze, in
via Venti Settembre). Coteste dure condizioni del sacerdozio, fecero sì che
coll' andar del tempo divenisse sempre più difficile il trovare fanciulle
che si adattassero ad entrare nell' Ordine, ed anche genitori che vi
acconsentissero. L' ammissione tuttavia nell' Ordine, era
facilitata dal fatto che mentre nei tempi antichissimi solo le fanciulle
patrizie avevano il diritto di servire a Vesta, più tardi tale diritto
venne accordato anche a quelle di famiglie plebee, e dopo
i tempi di Augusto, persino alle figlie dei libertini. Quando entravano
nell' Ordine, spesso ricevevano una dote cospicua; lo stesso Tiberio, noto
per la sua parsimonia, donò alla vestale Cornelia due milioni di sesterzi
(5,000,000 di lire). Le Vestali non stavano, come tutte le altre donne, sotto
la tutela del pater familias, ma potevano disporre de' propri beni e far
testimonianza in giudizio, senza prestare il giuramento, che era per chiunque
altro obbligatorio.
Una loro raccomandazione era tenuto in grandissimo conto
per le promozioni, sì civili come militari; se un reo, condotto al supplizio,
s' imbatteva in una Vestale, gli si accordava subito la grazia; al circo,
al teatro, all' anfiteatro, esse occupavano posti d' onore.
Allorquando andavano attorno per la città, erano precedute da un littore,
e gli stessi consoli cedevano loro il passo. Avevano inoltre il diritto,
riserbato alle sole imperatrici, di girare in carrozza per le vie di Roma; ed
un' offesa fatta alla loro persona, era punita con la morte. Ma non
ostante tutti cotesti privilegi, nei secoli posteriori, come rilevano con vera
soddisfazione i Padri della Chiesa, difficilmente si trovavano fanciulle
che volessero dedicarsi al culto di Vesta, laddove i monasteri cristiani
rigurgitavano di vergini a Dio consacrate. Nel 382, Graziano confiscò
i beni delle Vestali; la casa poi servì di alloggio agli ufficiali della
corte imperiale, e in appresso a quelli della corte pontificia. Dopo
l' undecimo secolo l' edifizio fu abbandonato e cadde in rovina.
Quello che tuttora rimane dell' Atrio
sopra terra, appartiene all' edifizio imperiale, le cui parti più antiche
non sono anteriori al primo secolo dopo Cristo. Delle costruzioni preaugustee,
solo pochi avanzi furono rinvenuti circa un metro sotto il livello del gran
cortile: sono quasi esclusivamente resti di pavimenti composti di piccoli pezzi
di marmo bianco e colorato, il cui orientamento corrisponde alla
"Regia vecchia". Certamente l' antica casa delle Vestali
aveva dimensioni più modeste di quella del tempo imperiale; accanto ad essa,
sotto la pendice del Palatino, si trovava un bosco sacro (Lucus Vestae),
il quale poi sparì per i vari ingrandimenti fatti alla casa.
p172Si distinguono nella casa delle
Vestali tre gruppi di sale e stanze, appartenenti a diversi periodi;
la parte più antica (segnata in nero sulla figura 93)
ad oriente del cortile, contiene camere di uffizio o di ricevimento,
e sembra costruita nella seconda metà del primo secolo d. Cr.; le due
ale a mezzogiorno e a ponente del cortile (segnato a tratteggio
scuro, fig. 93)
contengono stanze d' alloggio che dovranno attribuirsi alla metà del
secondo secolo; finalmente il lato settentrionale, più danneggiato degli altri
e con appartamenti meno notevoli, appartiene per avventura ai restauri di
Settimio Severo.
Fig. 91. Tempio di Vesta e casa delle Vestali.
Il gran cortile, che può dirsi Atrio ovvero
Peristilio, ha ricevuto la forma che oggi vediamo anche in parte dai restauri
Severiani. I diversi edifizi anteriori che lo circondavano, avevano piani
di altezze differenti; per nascondere queste diversità, il cortile fu
circondato da un portico a due file di colonne sovrapposte, ma senza
soffitto intermedio. I fusti inferiori delle colonne sono di cipollino,
quelli superiori di breccia corallina. Nell' asse longitudinale del
cortile si trovano parecchi bacini per l' acqua (i muri sporgenti
sopra terra sono modernamente suppliti), anch' essi forse spettanti
all' edifizio Severiano. Il più grande di essi (d) venne
colmato già quando nel centro del cortile fu eretta una fabbrica di pianta
ottagonale, le cui fondamenta, composte di grandi tegoloni quadrati, rimangono
tuttora. Probabilmente vi si deve riconoscere una specie di giardino,
ultimo ricordo del Lucus Vestae da
lungo tempo scomparso. Questo ottagono, come dimostrano i bolli dei
mattoni, è dell' età dioclezianea. Il nome di Penus
Vestae che gli si è voluto dare, è affatto erroneo.
Ornamento speciale del cortile erano le
statue delle Vestali situate nel portico inferiore con apposite iscrizioni alle
basi, commemoranti le loro virtù e i loro meriti. Di una sola base,
fu trovata la parte inferiore al posto antico (presso la lettera e nell' angolo
sud-ovest); quasi tutte le altre furono rinvenute negli ultimi giorni
del 1883, nell' estremità occidentale dell' atrio formanti un
cumulo, la cui costruzione fece chiaramente riconoscere, che tutte erano
destinate a sparire in una calcara medievale. In terra giacevano le basi
scritte, messe orizzontalmente; sopra di esse stavano i torsi delle
statue, con le braccia, le mani, i piedi e tutte le parti
sporgenti mozzate; i frantumi poi erano adoperati per riempire gli
interstizi fra i torsi. Di nessuna statua perciò si può indicare la base
con l' epigrafe relativa. Le epigrafi, ad eccezione di una sola
(Praetextata Crassi filia; in una piccola base che ora sta nel lato
settentrionale del cortile) sono posteriori a Severo. Le sacerdotesse,
i cui nomi ci vengono rivelati da questi monumenti, e da altri
trovati nell' atrio in tempi anteriori (le lapidi segnate con * non si
trovano più nell' atrio), sono:
Numisia Maximilla | 201 d. Cr. |
| |||
Terentia Flavola | 209, 213, 215 d. Cr. | ||||
* | Campia Severina | 240. | |||
* | Flavia Mamilia | 242. | |||
Flavia Publicia | 247, 257. | ||||
Coelia Claudiana | 286. | ||||
* | Terentia Rufilla | 300, 301. | |||
C . . . . . | 364. | ||||
* | Coelia Concordia | 384. |
Tutte le statue sono erette a Vestali
Massime, chè a queste solamente, e non già alle semplici
sacerdotesse, si apparteneva il diritto di avere statue onorarie.
L' abbigliamento sacerdotale che indossavano, si componeva di una sottoveste
(stola) e di una sorta di mantello (pallium), ambedue di lana bianca. Uno
scialle (suffibulum) tenuto da una spilla (fibula) ricopriva loro il capo quasi
interamente, lasciando soltanto scoperta la fronte e l' attaccatura
dei capelli. Di sotto, all' orlo anteriore dello scialle, appariva la
cappigliatura, divisa, secondo la rituale prescrizione, in sei treccie (seni
crines), non di capelli propri, sì bene posticci, cui si attorcigliavano nastri
di lana nera e rossa. Cotesta arcaica e poco comoda acconciatura portavano
le Vestali durante tutta la vita; laddove le donne romane erano obbligate ad
adottarla soltanto nel dì delle nozze, quale buon augurio, perocchè la
sposa doveva mantenere la fedeltà al marito, nella stessa guisa che le
sacerdotesse alla dea. La meglio conservata fra le statue dell' atrio
mostra sul petto i resto di un monile in bronzo (catenella
e medaglione), il quale non sembra facesse parte dell' abbigliamento
ufficiale, ma sì bene fosse una speciale distinzione. Merita pure di esser notata
tra le statue del cortile, quella di un uomo (imperatore?), la cui barba di
marmo era mobile. Le altre imagini delle Vestali, e specialmente le
migliori rispetto all' arte, vennero trasferite al Museo delle Terme
Diocleziane.
L' ala settentrionale della casa, per
essere assai danneggiata, non permette di decidere a quale scopo
servissero le singole camere. Nella stanza posta nell' estremità est (f),
sono stati trovati sotto il livello dell' età imperiale, avanzi di
un' ara quadrata, composta di ceneri e di resti di sacrifizi,
l' orientamento della quale corrisponde alle menzionate costruzioni
antiche sotto il cortile. Il vano che le sta daccanto con nicchie nelle pareti,
sembra essere stato un cortile o un triclinio estivo. Dinanzi
all' ingresso, verso il cortile, si vede una base di marmo con
l' iscrizione: Flaviae L(uci) f(iliae) Publiciae, religiosae
sanctitatis v(irgini) V(estali) max(imae), cuius egregiam morum
disciplinam et in sacris peritissimam operationem merito in dies respublica
feliciter sentit, Ulpius Verus et
Aur(elius) Titus (centuriones) deputati ob eximiam eius erga se
benivolentiam g(rati)p(osuerunt). La statua quindi era dedicata alla Vestale
Massima, Flavia Publicia "la cui immacolata castità e profonda
conoscenza di tutte le cerimonie, vengono giornalmente riconosciute dallo Stato
pei loro felici successi" (un' altra iscrizione celebra la medesima
Vestale per la ragione che essa "in tutti i gradi del sacerdozio,
inserviente agli altari di tutti i numi e custodendo il sacro fuoco
con pio animo giorno e notte, era meritamente pervenuta al suo
alto posto"). I dedicanti erano duecenturiones
deputati (ufficiali che, come i corrieri delle ambasciate moderne,
facevano il servizio fra il governo centrale di Roma e le amministrazioni
delle singole provincie), i quali avevano ottenuto per
l' intercessione della sacerdotessa, una promozione o una
onorificenza (petito eius ornatus, dice in un' altra epigrafe posta alla
Vestale Campia Severina un tribuno della prima coorte aquitanica).
Il lato orientale è forse anteriore
all' incendio Neroniano: nelle sue mura non sono stati trovati mattoni con
bolli. Quattro gradini conducono in una sala (appellata
comunemente tablinum) già coperta con una vôlta a botte: il pavimento
di marmi colorati è stato restaurato rozzamente in un tempo tardo. Da
ambedue i lati della sala si aprono tre celle (i, fig. 93;
ora in parte servono da magazzino per sculture), credute a torto stanze di
alloggio per le sacerdotesse. Ma poichè il numero senario difficilmente sarà
casuale, così alcuni credono che queste celle abbiano formato una specie di
sagrestia, e che ognuna delle Vergini abbia avuto la sua cella per
conservarvi i vestiti ed arredi sacri. Accanto alle stanze
a destra si trova un cortile scoperto (k,
ora chiuso al pubblico) con una fontana ornata di nicchie per statue. In quel
vano sotterraneo a vôlta, che si appoggia alla parete di fondo delle
celle, furono rinvenuti parecchi vasi di terracotta, in parte di forma arcaica.
Nel lato meridionale,
dinanzi le camere passa un corridoio. Le prime stanze sono fortemente alterate
da muri di un' età tarda innestativi. La prima camera (l) si
tiene per un forno, nella seconda (m) sta
un mulino di lava ben conservato. Ambedue le camere hanno il pavimento
rialzato circa 70 cm .
sopra quello del corridoio: un simile rialzamento si osserva nella quarta
stanza (n),
ove sopra il pavimento primitivo fu messo un altro, sorretto da un 'vespaio' di
mattoni, per ripararlo dall' umidità. Un pavimento di mattoni, nello
stesso livello più alto del corridoio, si trovava anche, fino al 1899,
nella stanza quinta (o):
quando esso fu tolto, si scoprì un bellissimo pavimento di opus
sectile marmoreo, forse appartenente al secondo secolo d. Cr.
Presso a questa
camera, una scala conduce ai piani superiori (chiusi da un cancello), ove si
trovano gli appartamenti delle sacerdotesse. Si entra in un corridoio
fiancheggiato a destra da parecchie stanze da bagno, con gli apparecchi
pel riscaldamento (le bocche delle stufe si vedono in un andito angusto dietro
alle vasche). Quindi voltando a sinistra si passa accanto ad una fontana
con bacino di marmo ed arrivasi ad alcune camere situate sopra e dietro
il tablinum, dalle quali si gode una bella veduta non solo su tutta la
casa, ma sulla Sacra Via fino alla basilica di Costantino. Ivi rimane pure il
principio di una scala conducente ad un piano più alto ancora, e poichè
già ci troviamo al terzo piano (compreso il mezzanino sopra il pianterreno),
così è da tenere che la casa avesse per lo meno quattro piani,
e verso il Palatino probabilmente cinque; donde inoltre s' inferisce
che era assai spaziosa per le sei sacerdotesse e la loro numerosa servitù.
— Ed ora ritorniamo alla scala (a sinistra, presso p,
una porticina mena alla Nova Via), e per essa al pianterreno.
Nell' ala meridionale, passata la
porta q,
rientriamo nel corridoio, ove si vedono avanzi di un bel pavimento di marmo;a sinistra
si trova una stanza (r),
col pavimento rialzato e con un muro parallelo alla parete di fondo,
inserito in appresso per riparare il vano dall' umidità; dirimpetto
all' ingresso sta una base esagona di marmo, con iscrizione onoraria
a Flavia Publicia. Dall' altra parte, attigua al corridoio è una
camera, nella quale recentemente fu scoperto un bellissimo pavimento di vari
marmi: giallo, portasanta, pavonazzetto ecc. Nell' angolo in
fondo a destra, una porta (presso s) dà
accesso ad un andito stretto, sotto il cui pavimento nel 1899 furono
trovate 397 monete d' oro dell' ultimo periodo dell' Impero
occidentale. La maggior parte di esse appartiene al regno dell' imperatore
Antemio (467‑472); vi sono 345 pezzi col ritratto suo e dieci con quello
di sua moglie Eufemia; e perciò è da credere che il ripostiglio,
forse nel 472, allorquando le orde di Ricimero presero
e saccheggiarono Roma, fosse nascosto da un impiegato della corte
imperiale, il quale aveva la sua dimora nella casa delle Vestali. Le monete ora
si conservano al Museo delle Terme Diocleziane.
All' estremità dell' ala meridionale,
due scale mettono al piano superiore; nella parete del piccolo vestibolo
a piè della scala si trova una nicchia per un' immagine sacra cui
è attigua una sala con abside (u),
il pavimento della quale è stato rappezzato rozzamente nel principio del
medio evo.
Nell' angolo nord-ovest del cortile
(presso v)
sono tre grandi basi di marmo, scavate precisamente in quel luogo
nel 1883. Esse avevano servito per materiale da costruzione in una
casupola medioevale. Sotto il pavimento di mattoni di una delle camere, fu
rinvenuto un vaso di terracotta con 835 monete, delle quali 830 erano di conio
anglo-sassone e portavano i nomi dei re Alfredo il Grande (876‑904), Edoardo I
(900‑924), Athelstan (924‑940; questi sono i più numerosi), Edmondo I
(940‑946), e i nomi altresì di alcuni arcivescovi di Canterbury.
Questo ripostiglio rappresenta un obolo di S. Pietro, spedito, come
sovente accadeva, dal secolo ottavo in poi a Roma, dai Britanni cristiani.
Insieme con le monete stava nel vaso una fibula d' argento con
l' iscrizione: Domno Marino papa. Tali fibule servivano come insegne
di ufficiali superiori della corte pontificia nel medio evo; e quindi
è da credere che un impiegato del papa Marino II (942‑946) avesse quivi
nascosto il tesoro a lui affidato, forse per ripararlo in occasione di una
delle scorrerie dei Saraceni allora frequenti. Anche queste monete ora sono
conservate nel Museo delle Terme.
La base di marmo che sta più vicino
all' ingresso, secondo attesta l' apposita iscrizione, sosteneva una
statua dedicata dal collegio dei pontefici sotto la presidenza del
Pontefice massimo Macrinio Sossiano, ad una Vestale Massima "erettale per
la sua castità e moralità, non meno che per l' ammirevole sua pratica
nei sacrifizi e nelle cerimonie". Il nome della sacerdotessa
è abraso con molta cura, di modo che non ne resta leggibile se non la sola
lettera prima C. Quale sarà stata la cagione di questa condanna della
memoria di lei? La data incisa sul alto destro della lapide (9 giugno
364 d. Cr. "sotto il consolato del Divo Ioviano — successore di
Giuliano l' Apostata, che regnò soli otto mesi — e Varroniano")
ci addita un tempo in cui i seguaci del paganesimo cercavano, con grande
energia, a ravvivare di nuovo il culto dei numi antici e durante il
quale tra cristiani e pagani erano contese molto vivaci. Se in un tempo
come quello, una Vestale fosse stata condannata per una grave colpe commessa
contro la castità, un tal fatto eccezionale nelle nostre fonti contemporanee —
che sono assai numerose — certamente non sarebbe passato sotto silenzio.
È molto più probabile che questa Vestale sia uscita dall' Ordine per
volontà propria. Ora il poeta cristiano Prudenzio, che scrisse sotto Teodosio,
celebrando i trionfi del cristianesimo, dice: "il Pontefice depone la
benda sacerdotale e riceve la croce, e la Vestale Claudia entra nel
tuo santuario, o Lorenzo" (vittatus olim pontifex adscitur in signum
crucis aedemque Laurenti tuam Vestalis intrat Claudia). Onde è molto
verisimile che la Vestale, il cui nome appunto comincia con una C, sia proprio
quella che, deposto il sacerdozio di Vesta, si era fatta monaca in uno dei
conventi presso S. Lorenzo fuori le mura. Naturalmente allora
i pontefici vollero cancellare il suo nome dalla base onoraria.
Ritorniamo per la porta c (a destra
accanto la scala si vedono i resti di una camera con suspensurae per
il riscaldamento sotto il pavimento), e passiamo dietro al tempio, ove,
presso w,
è l' ingresso alla cucina e alla dispensa della casa delle
Vestali (la comunicazione esistita in tempi antichi fra essa e il cortile,
ora è interrotta). Passata un' anticamera, si entra nella cucina ove
a destra sta il grande focolare: dietro alla cucina è la
dispensa (y) ora
chiusa con un cancello, nella quale furono trovate molte anfore, piatti,
catinelle ed altri vasi da cucina. Vi fu anche rinvenuto un gran serbatoio di
piombo per l' acqua. In uno dei vasi si trovò un pezzo di focaccia
carbonizzata, ma ben conservato.
Le camere nel lato esteriore dell' ala
settentrionale (zzz),
secondo la loro pianta e costruzione, fanno parte della casa delle
Vestali, con la quale tuttavia non stanno in nessuna comunicazione. Ivi forse,
almeno nel pianterreno, si trovavano botteghe d' affittare (tabernae), le
quali, lungo la continuazione della Sacra Via, erano assai numerose. Sotto
i muri laterizi dell' età imperiale sono tornati alla luce molti
avanzi di costruzioni più antiche di tufo e travertino (pareti con resti
di affreschi, pavimenti composti di piccoli pezzetti di marmo, mezze colonne
con basi e un gran canale di tufo per lo scolo delle acque).
L' orientamento di questi avanzi corrisponde a quello della Regia
e delle costruzioni antiche sotto il cortile della casa delle Vestali.